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Il mercato della musica: dal CD al digital download

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In questa pagina è ripercorsa la storia del mercato della musica dal 2004 al 2010, gli anni che hanno visto il passaggio progressivo del CD al digital download e l'inizio dell'affermazione del passaggio allo streaming con la musica su YouTube. Vai a: Situazione aggiornata con i dati del mercato anno per anno.

 

Il mercato della musica dal 2004 al 2010: Il_calo_delle_vendite_dei_CD / I giovani non comprano più i CD / Perché il CD ha perso attrattiva? / La musica via Internet (legale) è la risposta? / Se sparisse all'istante la pirateria? / La qualità, l'ascolto, il valore della musica? / Possibili_scenari_alternativi_o_paralleli / La sparizione progressiva dell'intermediazione / Gli editori ombra / Un altro modello di business / La licenza collettiva / Se il P2P gratis sparisce, che fine fa l'ADSL? / Sintesi / Appendice: La composizione del costo del CD

Vedi anche, sugli stessi argomenti, in Musica & Memoria:

La distribuzione su Internet e il P2P / Gli standard e il passaggio al digitale / La diffusione / La distribuzione / La radio / Le majors del disco  / L'alta definizione / Il digitale terrestre / Un confronto con il passato: gli album più venduti negli anni '60 / Le FAQ di Musica & Memoria

 

Il calo delle vendite dei CD

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Il mercato della musica su supporto pre-registrato, quindi negli ultimi anni, essenzialmente, su CD, è effettivamente in contrazione? Si, non è una leggenda o una lamentele pretestuosa delle majors del disco, è vero che nell'ultimo decennio il volume di vendite e di profitti è andato calando con ritmi fino al 20% rispetto all'anno precedente (con ovvie differenze tra i vari paesi). Vedi in proposito gli ultimi dati di vendita. Tenendo conto che l'economia nei paesi occidentali è globalmente cresciuta con percentuali dal 1% al 8% nelle differenti nazioni, nonostante gli inevitabili cicli negativi, il dato è ancora più preoccupante per le case discografiche.

I dirigenti delle case discografiche hanno trovato un colpevole per questo stato di cose (ovviamente diverso da loro stessi), localizzato nella pirateria e nello scambio file tra utenti (il peer-to-peer o P2P) che peraltro, nell'ultima legislazione italiana (legge Urbani) sono sostanzialmente equiparate. Ma è veramente così?

 

I giovani non comprano più i CD

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Una diminuzione dell'abitudine all'acquisto è effettivamente stata rilevata da varie fonti, ed è altrettanto verificabile un forte ricorso al download di file dalla rete. Non si capirebbe infatti altrimenti il boom dei lettori portatili MP3 e iPod, è improbabile che siano riempiti solo di file musicali auto-prodotti a partire dalla propria discoteca. Con le memorie in continua crescita dei lettori la carica del dispositivo richiederebbe centinaia o migliaia di CD, raramente presenti nelle case dei giovani italiani e del resto del mondo.

Rimane il download legale sicuramente in crescita in parallelo alla decrescita delle vendite di CD e arrivato allo stesso livello in USA nel 2011, ma non in misura tale da compensare il calo. E soprattutto, per caricare un iPod o un lettore MP3 con, ad esempio, 1000 canzoni (molte di meno di quante ne entrerebbero) occorrerebbero circa 1000 Euro ...

E' indubbio quindi che un giovane affamato di musica trovi molto comodo collegarsi ai vari sistemi P2P e cercare e scaricare le canzoni che ha sentito alla radio o delle quali ha sentito parlare gli amici, e quindi riempire il suo lettore (e il suo PC).

Ma questo, anche se su scala ben diversa, si faceva già ai tempi delle musicassette (MC): invece di Internet c'erano i dischi prestati dagli amici o le canzoni registrate dalla radio o dal sintonizzatore Hi-Fi. Solo che all'epoca (anni '70 e '80) le compilation su MC o i dischi interi copiati su una C90 (due dischi per cassetta) erano considerati una specie di assaggio o di prova d'acquisto, alla quale spesso seguiva l'acquisto del disco vero, il grande LP, dal valore visibile. E infatti le vendite prosperavano e le majors si preoccupavano poco dellea duplicazione non autorizzata per mezzo musicassette.

Quindi la domanda giusta è: perché invece ora soltanto una percentuale minima della musica ascoltata si trasforma in album acquistati?
Se la percentuale fosse appena più alta le majors avrebbero i conti a posto.

Un passo indietro? Vedi: La musica e il nuovo mezzo Internet / un passo avanti? Vedi: Il CD sarà l'ultimo supporto fisico?

 

Perchè il CD ha perso attrattiva?

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Nei vari articoli sull'argomento si propongono diverse possibili cause, che valutiamo criticamente:

  • La crisi economica, i pochi soldi a disposizione dei giovani: ma gli stessi giovani spendono senza problemi cifre importanti nella telefonia mobile, un tempo in prevalenza nelle suonerie, poi nelle app per smartphone; le suonerie hanno raggiunto anche dati di vendita eclatanti, nel 2004 ad esempio per lo scarico di suonerie, risponditori e simili (sempre musica è, e si pagano i diritti d'autore) il fatturato in Italia è stato quasi uguale a quello dell'intero mercato CD+DVD dello stesso anno.

  • L'incidenza dell'IVA, che è al 20% (o 21%) anziché al 4% come nei libri (e si paragona sempre un disco di Beethoven al libro sulle barzellette su Totti per dimostrare che il libro non ha di per sé un valore culturale). Certo il prezzo potrebbe scendere del 16%, ma dalla composizione del costo del CD si vede facilmente che i margini ci sarebbero egualmente, e infatti le case discografiche vendono dischi (ristampe) anche a 5-6 €.

  • La misera confezione del CD, paragonata allo splendido LP (magari con fotona interna formato poster, testi leggibili anche senza lente d'ingrandimento ecc.): certo il vecchio LP (ancora sulla breccia, contro ogni previsione) dimostrava in modo evidente il suo valore intrinseco, e soprattutto non era realizzabile in casa. Ora invece chiunque può realizzare un CD, copertina e stampa sul dischetto inclusa, e sa che in tutto il prodotto di base non costa più di 2 Euro. Nulla di strano che ritenga 20 €, dieci volte tanto, un prezzo esagerato per l'oggetto. Considerazione peraltro confermata dalle stesse case discografiche, che vendono i CD in offerta speciale a prezzi variabili tra i 5 e 15 €. Non si tratta quindi di una questione di feticismo che favoriva il bel LP contro il brutto CD di plastica, quanto piuttosto di un mancato riconoscimento del valore.

  • La musica riempitivo. Il disco LP conteneva al massimo 45-50' di musica, quindi una decina di canzoni o poco più, spesso meno. Il CD è partito con 74' (per contenere la 9° di Beethoven) per arrivare poi a 90' e più. Gli album sono quindi arrivati velocemente a 14-15 canzoni, quindi la dimensione e l'impegno (per l'ascolto) che un tempo era riservata ad un doppio LP. Il doppio LP era però relativamente raro, riservato ad artisti in particolare fase creativa, spesso composto da un disco in studio ed uno live. Ora è come se ai musicisti si chiedesse di essere costantemente nella fase di picco creativo. Nulla di strano che i dischi, anche quelli migliori, contengano un discreto numero di canzoni non memorabili, i cosiddetti "filler". Il risultato è che i potenziali clienti sono ulteriormente scoraggiati: non solo il prezzo è elevato, ma di quel CD verranno ascoltate soltanto alcune canzoni. Cosa facilissima grazie allo standard CD e al comando skip. D'altra parte tornare alla durata degli LP è ormai impossibile, il CD corto è visto ormai fatalmente come un oggetto di minor valore. Funzionerebbe solo se costasse meno, ma non è questa la intenzione delle majors.

  • La competizione con altri media. Il disco (e la cassetta) dominavano il settore dell'entertainment negli anni '70, ma dagli anni '80 si sono affacciati altri supporti e mezzi di intrattenimento domestico che hanno rappresentato una potente alternativa:

I videogiochi su supporti specializzati (Playstation, Nintendo) o su CD / PC

I DVD contenenti film (a noleggio o in acquisto)

I telefonini e gli smartphone come mezzo di intrattenimento (suonerie, true tones, risponditori, giochi, radio FM, web radio, iTunes, YouTube)

I PC come sorgenti per la visione di film o l'ascolto di musica

YouTube come sistema di intrattenimento semi-interattivo

I DVD Video con registrazioni audio e video di concerti

I Blu-Ray Disc con film e video in alta definizione

E naturalmente occorre aggiungere alla lista gli altri media che esistevano anche prima (radio,TV, cinema) e quelli che arriveranno.

Essendo il tempo e il budget disponibile per l'intrattenimento forzatamente limitato, anche se in crescita rispetto agli anni '70, è evidente che la gran parte dei soggetti, giovani e non, potendo suddividerlo su una offerta più ampia, abbia diminuito in media la quota dedicata alla musica.

   

Gli altri comparti che operano su formati digitali hanno gli stessi problemi?

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Videogiochi e cinema viaggiano ormai solo su supporto digitale, e quindi presentano gli stessi problemi di protezione dei diritti. Anche questi settori subiscono una forte presenza della pirateria, come è ampiamente noto, e combattono con successo variabile il fenomeno. Per esempio nel settore del cinema esiste in più la protezione basata sul codice regionale, che rende impossibile (o meglio, difficile) vedere un DVD acquistato in USA in Italia e viceversa.

Anche in questi comparti la pirateria provoca una diminuzione dei profitti tale da condurla ad uno stato di crisi? Evidentemente e come noto, no. L'industria cinematografica mondiale sta vivendo uno dei periodi di maggiore prosperità della sua storia, e proprio il DVD (e ancor prima, il VHS) rappresenta uno strumento per la moltiplicazione dei ricavi. Analogo discorso vale per l'industria dei videogiochi, che non conosce crisi.

Come si vede è improbabile che la pirateria sia la causa del calo dei profitti nel segmento della musica, al massimo può essere considerata uno degli elementi di complessità che il management delle case discografiche deve gestire per superare la crisi.

 

La musica via Internet (legale) è la risposta?

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Sicuramente ha tutte le caratteristiche gradite ai giovani: si può selezionare solo quello che si vuole, si può ottenere quasi istantaneamente, si può utilizzare in mobilità.
Ha però un costo tutt'altro che basso; circa 1 Euro a canzone (4-5 minuti) richiede un investimento di 10-12 € per una carica di musica sufficiente a coprire il tragitto casa-scuola e viceversa. Dieci Euro al giorno, 50-100 al mese (tenendo conto del riuso), troppo per la maggior parte dei giovani.

Esiste anche un modello alternativo, quello dell'abbonamento, per ora proposto negli USA o comunque nel circuito internazionale (Napster 2.0, Rhapsody, Spotify): un contratto con un importo da 10 o 15 $ al mese (o più) e la possibilità di scaricare un numero variabile di brani (40 canzoni a 10$ al mese nel caso di eMusic, in numero illimitato nel mese a 15 $ per Napster, ma è una offerta promozionale). Alternativa interessante, ma che richiede comunque una carta di credito, una garanzia, un legame, e che lega ad un portale, e quindi alla musica in esso presente (che non copre sempre tutti gli interessi musicali).

Quindi per ora non è la risposta, ed è necessario ancora qualche affinamento. E comunque non è disponibile in tutto il mondo, e sicuramente non ancora in Italia.

 

Se sparisse all'istante il P2P?

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Ma i profitti delle majors risalirebbero con la repressione del P2P e degli alti sistemi di distribuzione non legale? Se la diffusione non autorizzata di materiale sotto copyright sparisse all'istante, i profitti delle case discografiche ne avrebbero un beneficio? Dalla esperienza USA parrebbe di sì, i siti per il download legale (iTunes in primis) hanno garantito profitti alle majors, e sono decollati anche (non solo) grazie alla repressione.

Ma in un ipotetico scenario nel quale eMule e compagni siano definitivamente spariti, siamo sicuri che i giovani si rivolgerebbero soltanto agli acquisti di canzoni o interi album via Internet, per caricare i loro lettori portatili o crearsi comunque la propria colonna sonora?

Sul CD già abbiamo detto che non risponde più, come prodotto e come formato, alle esigenze dei giovani, escludendo quei pochi appassionati di musica disposti ad impiegare il loro tempo per ascoltare l'album come opera completa, in silenzio e concentrati, davanti all'impianto hi-fi.

L'acquisto di brani singoli, tramite un portale come iTunes, naturalmente in quantità limitata dal budget mensile disponibile, sarebbe invece molto più coerente con l'attuale uso sociale della musica. I prezzi potrebbero poi diminuire in caso di esplosione del mercato e della concorrenza, tenendo conto che i costi all'origine (sono beni immateriali) non sono alti e quindi margine ce n'è ancora parecchio. Estrapolando dai dati analoghi nel settore delle suonerie e servizi a valore aggiunto per cellulari (ca. 10€ mese, ma per servizi con tempo di vita superiore), potremmo ipotizzare un acquisto medio di 20-40 canzoni nuove al mese, eventualmente con la formula dell'abbonamento, a cui si aggiungerebbero quelle scaricabili in forma promozionale gratuita, che potrebbero salire in numero, in caso di ampliamento del mercato.

Rimane però un dubbio sulla forma di pagamento. L'acquisto mediante portale richiede obbligatoriamente una carta di credito o, in alternativa, la disponibilità di un plafond (o di un abbonamento) messo a disposizione da un'altra persona (in possesso di una carta di credito), quindi tipicamente da parte di un adulto a favore di un ragazzo.

A confronto è molto più semplice e diretto l'acquisto di servizi VAS (value added services) per telefoni cellulari: vengono detratti dal credito residuo della carta SIM, che può essere ricaricata in contanti mediante schede acquistabili ovunque. Un sistema quindi alla portata di ragazzi di qualsiasi età (basta che ricevano la "paghetta") e di famiglie che non utilizzano carte di credito (in Italia sono ancora molte). Non a caso alcuni portali per il digital download (come Playlouder) stanno stringendo ancora con i gestori dei telefonini per poter utilizzare le diffuse ricariche con carte prepagate. In parallelo si diffonde il sistema di pagamento NFC (near field communication).

In parallelo sta aumentando la capacità di memoria dei telefonini, sia interna, sia esterna (con le compattissime schede SD, ormai disponibili in tagli da 2GB e oltre) e la velocità di trasferimento, prima con le evoluzioni del GPRS (Edge, I-Mode) e poi con UMTS (3G) e in seguito con il 4G (o LTE). Telefonini o smart phone con grande capacità di memorizzare canzoni (sul modello iPod) e quindi in grado di unire le due funzioni.

Da queste considerazioni nasce l'ipotesi di uno scenario alternativo che vede, almeno per l'Italia, l'acquisto da portale ristretto ad un pubblico maturo e abbiente, e la massa orientata progressivamente all'acquisto di musica tramite telefonino e rete mobile, probabilmente a costi e qualità ancora più ridotti.

In questo scenario i lettori MP3 fascia bassa (quelli senza disco rigido) vanno a sparire, sostituiti dai telefonini divenuti terminali di intrattenimento multimediale, smartphone dotati come standard di radio FM 3 web, memoria interna ed esterna ad alta capacità, decoder per MP3, WMA, AAC, ed altri sistemi di intrattenimento (giochi, TV, YouTube, iTunes, ecc.).

Se per avventura quindi le case discografiche riuscissero a bloccare tutti i siti P2P in questo scenario si assisterebbe probabilmente ad una temporanea eclissi di quanto resta delle abitudini attuali e ad una veloce riconversione verso lo smartphone o le sue evoluzioni come mezzo principale di intrattenimento.

 

La qualità, l'ascolto, il valore della musica?

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Dal punto di vista della qualità, cara a noi appassionati di musica e Hi-Fi, ma a pochi altri, e poco o nulla alle majors, le notizie non sono buone. Per essere scaricabili in streaming via GPRS (anche se con sistemi di compressione avanzatissimi come quelli della società Chaoticom o, in seguito, anche via 3G, i livelli di compressione dovranno essere incrementati rispetto a quelli compatibili con l'ADSL veloce e i potenti lettori portatili a disco fisso, come l'iPod. Un passo indietro rispetto a risultati sonori che, con il tradizionale MP3 a variable bitrate 160-320 o ancora meglio con AAC e WMA, non sono troppo distanti dalla qualità CD, per musica non troppo complessa. Solo con il 4G (LTE) si potrà arrivare a prestazioni audio comparabili.

In sintesi la diffusione della musica a pagamento via Internet e/o via etere è sicuramente un mercato in espansione, in grado di compensare in parte la diminuzione delle vendite della musica su supporto fisico su CD (e suoi eventuali successori).
Una musica fruita però come sottofondo, come accompagnamento, destrutturata rispetto alla dimensione dell'album, alla quale la musica era arrivata nella seconda metà degli anni '60  per impulso dei Beatles, dei Pink Floyd, dei Moody Blues.

 

I negozi in rete e l'esclusiva

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I portali internet per la distribuzione della musica a pagamento dovrebbero rappresentare da una parte il superamento del P2P gratuito (e quindi non legale) e dall'altra un canale alternativo e più efficace alla tradizionale distribuzione tramite negozi, o anche tramite Internet ma sempre su supporto fisico (Amazon, eBay, Tower Records ecc.). co

Nella fase iniziale di questo nuovo canale di vendita, sino a metà degli anni 2000, operavano più soggetti (più portali) che avevano il problema di contrattare il catalogo con le majors e le indies piuù importanti. I portali quindi non potevano garantire la disponibilità di tutta la produzione, e fornivano al cliente una selezione parziale.

Una situazione superata da metà del decennio con l'affermazione mondiale di iTunes della Apple, dove in pochi anni è stato trasferito praticamente tutto il catalogo della musica pubblicata nel mondo, presente e passata. I concorrenti (Rhapsody, Napster 2.0., Spotify) hanno anche loro beneficiato di questa apertura (obbligata) delle case discografiche. Sono quindi superate le preoccupazioni che esprimevamo nella precedente stesura di questa pagina riguardo ai vincoli residui sul catalogo. Cercando tra la musica liquida disponibile su iTunes e quella solida sui vari negozi nazionali di Amazon si può trovare praticamente ogni album che ci interessa, con l'esclusione, in parte, della classica, che è comunque sempre stata all'avanguardia per la distribuzione via rete.

 

Possibili scenari alternativi o paralleli

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Non è detto però che questo scenario, così congeniale alle majors, sia alla fine quello prevalente. Tutta l'esperienza del P2P, ormai, forse, alla conclusione (la repressione istituzionalizzata la sta conducendo verso un'area marginale, contigua a quella della pirateria sul software) si è infatti consolidata attorno a due binari paralleli:

 

la copia illegale (e istantanea) delle stesse canzoni scelte e spinte dalle majors via heavy rotation o MTV

lo scambio libero di materiali musicali appartenenti ad ogni spazio e ad ogni tempo, messi in condivisione da una comunità che è arrivata ai tempi d'oro del P2P a milioni di persone, appassionate di musica, contemporaneamente presenti in rete

 

Il primo sistema di scambio è una semplice forma di parassitismo ed elusione dei diritti. Il gioco è sempre condotto dalle majors. Se per motivi misteriosi decidono di spingere un gruppo chiamato Maroon 5 con un video ad alto costo e la imposizione del loro singolo estratto dall'album in heavy rotation su tutte le radio commerciali del pianeta, questo sarà un successo, entrerà nelle varie hit-parade e anche il popolo del P2P, questa parte del popolo degli ascoltatori sotto il controllo delle majors, cercherà e scambierà quel brano. Nulla di strano che su eMule o BitTorrent si trovassero migliaia di copie di questi successi commerciali.

Il problema per le majors è quindi in questo caso solo recuperare questo popolo di clienti, ancora sotto il proprio controllo per le scelte musicali, ma riottoso a sottostare ai costi eccessivi (l'intero album per una sola canzone) ed orientato ad una fruizione diversa (l'ascolto in mobilità). Un problema quasi risolto con iTunes e ancor meglio indirizzato con lo scarico via smartphone, e il supporto della repressione, magari aggiungendo quello che le majors ancora non fanno o fanno con estrema prudenza e timidezza: la promozione gratuita o semi gratuita di brani laterali o già ammortizzati.

L'unico punto interrogativo per questo percorso di recupero intrapreso con decisione dalle majors, anzi dalla intera associazione RIAA e anche dai musicisti più affermati, o da molti di essi, è la creatività dei programmatori e la anarchia insita in Internet, priva come noto di una gerarchia e di un vertice riconosciuto. I tentativi ci sono, sono stati sperimentati sistemi di P2P non localizzabili e non reprimibili, per ora sono ancora lontani dal risultato sperato, non tanto per l'efficacia del sistema, ma per la scarsa accoglienza degli utenti (catalogo limitato), ma se avranno successo i detentori dei diritti si troveranno ancora una volta a lottare contro una evasione generalizzata di quanto loro dovuto.

 

La sparizione progressiva dell'intermediazione

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E' il secondo scenario, che presenta però i pericoli maggiori per le majors e in generale per tutto il sistema del diritto di copia. Uno scenario nel quale entrano in gioco anche i produttori di musica e soggetti intermedi che potremmo chiamare editori non ufficiali.

I produttori di musica, un gruppo rock amatoriale, o un DJ, o un gruppo jazz, hanno a disposizione ora tecnologie, tutte imperniate attorno al PC, che consentono a costi bassissimi, senza ricorso a veri e propri studi di registrazione, la produzione di brani di qualità dignitosa, comunque accettabile dagli ascoltatori e paragonabile a quella dei gruppi "professionali". La strada per fare conoscere il loro prodotto tramite una radio ad alta diffusione o tramite una casa discografica è solitamente preclusa, o comunque ardua, a meno di conoscere personalmente un conduttore, o di essere i Maroon 5 ed essere prescelti per motivi imperscrutabili, pur in assenza di qualsiasi talento o tratto distintivo. E non dimentichiamo che anche un videoclip, se c'è alla base una idea buona, è realizzabile con una semplice videocamera digitale amatoriale e un software di editing come Pinnacle.

Ma Internet fornisce altri canali. All'inizio lo stesso canale P2P. che per questo uso è del tutto legale (la canzone è di dominio pubblico). Certo bisognava arrivare comunque ai potenziali ascoltatori-scaricatori, magari facendo parlare di sé in qualche altro modo, con qualche elemento "scandaloso" nelle canzoni, oppure semplicemente con il metodo del tam-tam, intermediari forum e siti e magari qualche radio incuriosita. Poi è arrivato YouTube, ottima idea diventata universale grazie all'intervento del gigante Google. YouTube è una ottima vetrina per qualsiasi nuovo gruppo con buone idee. Moltissimi visitatori che usano ormai questo media come alternativo alla televisione per l'entertainment passivo e totale facilità di accesso.
Il brano e il nome del gruppo o del musicista possono entrare per questa via direttamente e senza intermediazioni nel mercato mondiale.

Certo, gli autori, all'inizio, non ci guadagnano niente. Ma c'è il valore difficilmente pesabile della fama (che è già sottinteso ad una miriade di siti web no-profit) e ovviamente la possibilità di utilizzare la fama conquistata per passare al livello successivo, quello di autori che vendono i loro diritti.

E qui rientrerebbero le majors o comunque gli editori indipendenti, riconducendo quest'area di libero scambio della musica, di contatto diretto o addirittura di interscambio tra produttori e consumatori ad un fenomeno marginale, ad un'area di transito verso il mercato controllato.

Ma andrà davvero così? Il passaggio allo sfruttamento economico dell'opera degli autori richiederà sicuramente degli intermediari, difficilmente i musicisti potranno occuparsene direttamente, sopra una certa soglia di volume. Ma perché dovrebbe essere proprio una major o anche una casa indipendente ad occuparsene, aggiungendo i suoi costi di struttura, dimensionati per un altro mercato, basato sulla distribuzione dei supporti fisici, sui canali, sulla pubblicità, sugli eventi?

Se il gruppo che ha conquistato la sua fama su YouTube vuole vendere le sue canzoni successive (o video-clip), può anche rivolgersi direttamente a un portale. Dei 99 centesimi che di solito sono richiesti per scaricare un brano da questi portali quanti vanno alla casa discografica e quanti all'interprete e/o agli autori? Non lo sappiamo, ma sicuramente in questo caso la intermediazione non è necessaria, e l'autore può ricevere una remunerazione più elevata, o vendere il brano a un prezzo più basso.

Al limite è anche possibile che lo stesso portale si faccia carico di parte dei compiti solitamente svolti dal mediatore, cioè dalla casa discografica, e in particolare di quelli promozionali e di visibilità; è nelle condizioni di farlo, anche a costi bassissimi grazie alla tecnologia Web, ed è suo interesse farlo.

Era proprio questa una strada seguita dal portale Vitaminic, con una forma di condivisione della promozione con gli autori e una proposta del portale come strumento di contatto tra domanda e offerta (modello B2B - Business To Business). Una strada seguita anche dalla iniziativa e dal portale Magnatune. Una strada comunque ancora agli inizi perché Vitaminic ha chiuso a febbraio 2012 e Magnatune non sembra per ora in grado di uscire da una dimensione poco più che amatoriale.

 

Gli editori ombra

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Esiste poi il mondo degli editori ombra. L'interesse primario delle majors a fermare il P2P come canale di diffusione di materiale ad elevato potenziale commerciale (le novità musicali in classifica, i film recenti) mette in secondo piano una vasta area grigia rappresentata dalla diffusione di materiale meno commerciale, semi legale o legale.

Rimanendo nel campo della musica, si parla di album o singoli fuori catalogo, cioè pubblicati in CD, ma ormai introvabili anche sul mercato Internet (Amazon o eBay) o su richiesta, o addirittura mai ripubblicati su CD, quindi fruibili, anche trovandoli come fondi di magazzino o usati, soltanto avendo a disposizione un giradischi analogico, eventualità ormai assai rara a livello di massa, pur essendo questo standard tutt'altro che superato e, anzi, addirittura in crescita.

Una situazione quindi nella quale il materiale diffuso via Internet è fuori dai diritti, ma i detentori dei diritti stessi non lo mettono in commercio, impedendo la fruizione (e anche il guadagno degli autori che hanno ceduto i diritti agli editori). E' questa ad esempio la situazione di grande parte del beat italiano, un genere di grande interesse, ma dove la domanda non incrocia l'offerta.

E' illegale e reprimibile la replica e la distribuzione (gratuita) di materiale coperto da diritto di copia ma per il quale il detentore di diritti di copia non prevede la distribuzione in alcuna forma, sostanzialmente oscurandolo? O ancora, qual è la situazione giuridica di chi rivende l'originale usato, diventato in tal modo raro e quindi assai caro, traendone un profitto che esclude sicuramente sia l'editore sia l'autore?

Non abbiamo risposta certa a questi raffinati casi giuridici, che vedrebbero ai sensi della attuale legge italiana probabilmente nel primo caso la condanna del distributore, pur non avendone questi tratto alcun profitto, e nel secondo la sua assoluzione, pur ricavandone egli un profitto, ma siamo convinti che eventuali sentenze sarebbero difformi o forse contrastanti.

Resta il caso del materiale per il quale i diritti sono ormai scaduti (essendo superati i 50 anni dalla pubblicazione), e per il quale i vari canali P2P potrebbero essere un canale alternativo di diffusione non perseguibile, competitivo a quello già esistente ed attivo delle ristampe (tipicamente operanti sul canale distribuzione di massa rappresentato dalle edicole).

 

Un altro modello di business

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Stranamente il modello di business più semplice e più gradito probabilmente a tutti gli attori, e peraltro già ampiamente sperimentato nel cinema, è stato soltanto adombrato, ma mai perseguito. In questo modello i detentori dei diritti, le majors del cinema, li vendono al canale di diffusione (le televisioni) che poi recuperano i costi dai clienti finali. Lo stesso avviene anche nella vendita dei diritti sul calcio o altri sport. 

Nel caso della musica le case discografiche avrebbero dovuto vendere i loro diritti e i loro cataloghi, limitatamente alla diffusione in formato compresso via Internet, ai gestori dell'accesso ad Internet. Questi già si fanno pagare dai clienti per l'accesso (in parole povere, per la connessione ADSL) e così alimentano il mercato.

Una "tassa" ineludibile perché la tecnologia è fuori dalla portata dell'utente, e il cerchio si chiude, con soddisfazione di tutti. Le case discografiche che prendono una quota da ogni contratto ADSL o simile stipulato, o in proporzione al traffico, gli utenti che hanno l'illusione (come nella TV) di avere la musica gratis, i gestori TLC che possono sviluppare ancora di più la banda larga e magari introdurre ancora altre forme di guadagno, come la vendita di musica a maggiore qualità, ma a pagamento, o di contenuti annessi, o la introduzione di pubblicità associata alle operazioni di download.

Apparentemente un uovo di Colombo, rimasto allo stato embrionale per alcuni motivi strettamente economici:

  • Le case discografiche sono strutturate per la vendita via supporti materiali, che in questo modello sarebbero calati a livello di settore di nicchia, per mantenere il fatturato e gli utili attuali avrebbero dovuto ristrutturarsi pesantemente (chiudere settori e aziende, licenziare) e chiedere molto per la vendita di diritti (e il il valore dei diritti, in un campo così nuovo, non è facilmente definibile)

  • Dall'altro lato i potenziali acquirenti sono tutt'altro che ansiosi di pagare per qualcosa che già hanno gratis (o avevano) tramite il P2P da loro stessi tollerato; l'ADSL lo vendono lo stesso, niente fa pensare che si venderebbe di più se fosse ancora più facile scaricare la musica, perché diminuire gli utili se nulla lo impone? Diverso sarebbe il discorso se la efficace repressione del P2P illegale facesse diminuire i contratti ADSL (vedi) ma nell'era dei piani a breve termine e dei pre-consuntivi trimestrali questo è l'ultimo dei problemi per il management.

  • La pubblicità e le altre forme di introito alternativo in Internet continuano ad essere un punto interrogativo, quindi ancora una volta, da parte dei gestori, perché rischiare?

In sintesi venditori titubanti, acquirenti poco o nulla interessati: nulla di strano che l'affare non sia decollato, almeno per ora.

 

La licenza collettiva volontaria

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Un modello di business alternativo, legato alle iniziative volonterose in corso per superare il concetto stesso di diritto d'autore e adeguarlo ai nuovi mezzi di trasmissione e fruizione dei contenuti, è la licenza collettiva volontaria (proposta tra gli altri da Creative Commons (http://creativecommons.org) finanziata anche da soggetti importanti come la fondazione Hewlett (legata ovviamente all'HP).

L'obiettivo è rendere il P2P legale assimilando gli utenti che mettono a disposizione della rete P2P i loro contenuti ad un centro di diffusione (come una trasmittente radio) e regolarizzando la loro posizione mediante il pagamento di una quota forfetaria mensile (ovviamente assai ridotta, si propone qualcosa dell'ordine dei 5 $) ad una società (o insieme di società) di esazione, che poi ridistribuiranno i diritti in quota ai detentori del copyright. Lo stesso modello quindi della nostra SIAE con le emittenti radiofoniche. 

Una idea abbastanza logica, nella quale il grandissimo dei soggetti dovrebbe garantire i livelli di renumerazione necessari ai cedenti i diritti, naturalmente tutta da verificare la disponibilità degli altri soggetti a questo sviluppo, in un momento di transizione e di poca chiarezza sugli sviluppi del mercato.

 

Se il P2P gratis si eclissa, che fine fa l'ADSL?

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Scaricare gratis musica e poi film da Internet è stata la killer application per la diffusione domestica dell'ADSL, o della banda larga in generale, questo è ormai chiaro. Quindi i gestori dovrebbero fare un monumento a Shawn Fenning e al suo Napster. Ma cosa accadrebbe in caso di successo totale o quasi delle majors del disco e del cinema nella repressione del P2P illegale?
I sottoscrittori dei contratti ADSL farebbero disdette di massa, non avendo più nulla di interessante o sufficientemente motivante da cercare in Internet?
E' possibile anche che qualcuno lo faccia, ma nel frattempo sono cambiate alcune cose:

  • la tecnologia è andata avanti e il costo dell'ADSL è diminuito, quindi il risparmio legato alla disdetta è diventato col tempo se non trascurabile, comunque non tale da giustificare i fastidi annessi;

  • i siti si sono uniformati nella impostazione alla larghezza di banda, quindi l'utilizzo diventa difficile e lento tornando al modem a 56K (che invece progressi non ne hanno fatti o quasi);

  • i servizi su Internet sono aumentati (pagamento bollette, enti pubblici vari, e-commerce, eBay, Amazon) e giustificano per molti utenti l'accesso ad internet indipendentemente dal download

  • servizi video gratuiti come YouTube o streaming in tempo reale di programmi TV si sono moltiplicati rendendo comunque obbligatoria una elevata larghezza di banda

In sintesi è assai improbabile, ormai impossibile, una fuga di massa nel caso di uno spegnimento dei servizi P2P, magari i più accorti passeranno a contratti ADSL semi-flat, ma i gestori TLC non si accorgeranno neanche del fenomeno.
Altro ottimo motivo per non spendere neanche un soldo per l'acquisto dei diritti a forfait, e per lasciare il problema della difesa dei diritti di copia alle majors.

 

Sintesi 

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In sintesi si vanno delineando nel mercato della musica, a seguito delle rivoluzione digitale, più sistemi di distribuzione e fruizione paralleli, contemporanei e sovrapposti, tra i quali è però assai difficile prevedere il peso relativo a tendere.

  • distribuzione di musica prevalentemente commerciale o di puro intrattenimento, ricondotta alla forma canzone, e veicolata in prevalenza via rete GSM / UMTS e destinata all'ascolto in streaming con telefonini multimediali (smartphone), solo in formato compresso;

  • distribuzione di musica sia in formato canzone sia in formato più ampio, destinata alla costituzione di librerie musicali e distribuita in digital download (musica liquida) sia in formato compresso sia in qualità standard e alta;

  • distribuzione di musica su supporto fisico in formato album, con complemento di contenuti extra-musicali ma di valore riconosciuto (copertina in materiale "nobile", immagini, testi, testi tradotti, extra in formato video o altro)  e in formato CD, SACD o altro ancora (che recuperi i contenuti e il valore del vecchio LP), destinata all'ascolto casalingo su un impianto ad alta fedeltà, in condizioni di concentrazione.

Naturalmente i tre canali / usi ipotizzati potranno essere mischiati, per esempio l'impianto ad alta fedeltà potrà riprodurre contenuti provenienti da Internet o rete wireless, oppure ancora i supporti fisici potranno essere trasferiti e riprodotti anche in mobilità o, ancora, nella confezione del supporto fisico potrà essere contenuto un secondo supporto (anche eventualmente una memory stick) per riprodurre gli stessi contenuti in auto, o sul telefonino, o su lettori portatili, senza mettere a rischio di perdita o danneggiamento il "prezioso" supporto primario.

Le tecnologie disponibili sono molte e quindi molteplici sono anche gli scenari, poche e incerte, o almeno non chiare al momento, sono le mosse degli attori principali del mercato.

Da non sottovalutare inoltre la debolezza attuale degli organismi regolatori e dei cartelli nell'elettronica, con la conseguente proliferazione di standard (basta pensare ai diversi formati per le schede di memoria) e la altrettanto conseguente prudenza degli acquirenti potenziali (almeno per gli acquisiti impegnativi), dettata dal fondato timore di trovarsi con qualcosa di inutilizzabile, o di difficile reperibilità, in futuro, e alle prese con le incompatibilità tra standard diversi.

 

Appendice: La composizione del costo di un CD

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Il costo di un CD a prezzo pieno (20-21 €) si può scomporre in: costi di produzione, costi di distribuzione, tasse (IVA).
L'IVA è attualmente in Europa al 20%, il costo prima delle tasse è suddiviso in media in:

 

Costi di produzione

70%

autore

8%

 

artista-esecutore

8%

 

stampa

15%

   

casa discografica

39%

       

Costi di distribuzione

30%

distribuzione (B2B)

15%

   

vendita al dettaglio (B2C)

15%

   
 

Da notare quindi che le major controllano il 55% del costo del prodotto, mentre il 30% è controllato dal canale di distribuzione, e il 15% dalle fabbriche per lo stampaggio, settori tipicamente controllati da altre società.
Nota: B2B = business to business, B2C = business to customer.

(Fonte: Wanadoo - France Telecom - 2001)

Una analisi più dettagliata della composizione del costo del CD si può ricavare anche da uno studio sul mercato finlandese della musica nel 2005 (di Hanna Virtanen, ETLA - Research Institute of the Finnish Economy). Il prezzo medio del CD nel paese scandinavo è analogo a quello italiano (poco più di 21 € al pubblico), la moneta è la stessa, varia di poco l'IVA (18%), si possono quindi considerare i dati significativi anche per il mercato italiano. La composizione vede un peso percentuale importante (un terzo del totale, 33%) della catena distributiva (wholesale, ingrosso e retail, dettaglio).

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Revisioni

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Maggio 2011, 15: aggiornamento generale. introducendo in particolare il nuovo ruolo rappresentato da YouTube per la conoscenza delle nuove proposte.

Novembre 2006, 23: composizione del costo del CD, ulteriori dati

Maggio 2006, 29: dati 2005 del mercato delle musica digitale

Ottobre 2005, 23: P2P Radio (Mercora)

Luglio 2005, 22: Inserimento della composizione del costo del CD; revisione generale dei contenuti

Giugno 2005, 2: Aggiornamenti sui telefonini per l'ascolto della musica. Considerazioni di sintesi ulteriori su P2P e catalogo.

Aprile 2005, 3: Dati sul mercato della musica digitale

Marzo 2005, 6: Integrazione delle forme di pagamento: abbonamento

Marzo 2005, 6: I negozi in rete e l'esclusiva

Marzo 2005, 6: Altro modello di business (licenza condivisa)

  

     

© Alberto Maurizio Truffi - Musica & Memoria / 2005 - 2012

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