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Intervista a Roberto Guscelli - I Satelliti

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Naturalmente la prima curiosità riguarda i vostri inizi: come si sono formati I Criker’s (il primo nome del complesso, ndr)? Come mai avete scelto questo nome? E’ stato un processo di scelta complicato come hanno raccontato in tanti, il momento più delicato per un complesso beat?

 

Già nel 1959 io partecipavo a concorsi per dilettanti in giro per la Toscana. Ne vincevo tanti cantando “You Are My Destiny” o “Diana” di Paul Anka, “Forever” di Joseph Damiano, ed anche “Impazzivo per te” di Adriano Celentano. E’ nel 1960 che ho cominciato a pensare ad un gruppo. Piero Baronti, compagno di scuola, aveva la stessa mia idea, pertanto ci siamo uniti e poi, nel giro di pochi mesi, abbiamo “ingaggiato” Giovanni Barontini – mio vicino di casa - Franco Marcheschi e Roberto Ghiozzi. Tutti digiuni di strumenti, ma convinti più che mai a tentare l’avventura. Praticamente partendo da zero, dopo due anni di prove abbiamo fatto la nostra prima e timida apparizione in un locale da ballo di Cenaia (PI), poi da lì è seguito (velocemente devo dire) tutto il resto. Il nome “The Criker’s” è nato così, sotto la spinta - e come potrebbe essere altrimenti! - dell’anglomania imperante di qui tempi. Non ci fu una grande ricerca né tanto meno una disputa tra noi. Piacque subito e così fu.

 

Il vostro secondo nome, I Satelliti, invece come è nato?

 

Diventammo I Satelliti perché questo era il nome che Ricky aveva già dato ad un suo precedente gruppo, quello che praticamente sostituimmo dopo la serata di Certaldo.

 

Che generi di musica ascoltavate in prevalenza?

 

Si ascoltava un po’ di tutto, rock puro, folk e r&b, da Ray Charles a Chuck Berry, Gene Vincent, molto Shadows, Bo Diddley…

 

Qual era il vostro rapporto con la musica, eravate già professionisti e/o conoscitori dei vostri strumenti o tutto è nato assieme al complesso?

 

No, come ti ho detto prima, siamo un gruppo nato tra amici sia di scuola che vicini di casa. Ognuno di noi ha iniziato a studiare il proprio strumento poi, abbiamo cominciato a provare insieme. Per darti un idea del rapporto tra noi e gli strumenti, una sera ho incontrato Giovanni che mi dice: “Ho saputo che stai mettendo su un gruppo. Mi piacerebbe farne parte”. Che strumento suoni? gli chiedo.”Nessuno” mi rispose. Dal momento che avevamo bisogno di un bassista, gli dissi: “Impara il basso e sarai dei nostri”. E così fece. E’ stata dura ma anche elettrizzante vedere ad un certo punto che cominciavamo a concludere qualcosa. In pratica siamo partiti insieme e senza mai cambiare elementi siamo arrivati al professionismo e poi allo scioglimento.

 

Com’è iniziato il sodalizio con Ricky Gianco?

 

Il sodalizio con Ricky capita in un momento “molto particolare” per noi, poiché come ti ho già anticipato, eravamo proprio nel mezzo di una bella fregatura (d’altra parte eravamo solo dei diciottenni, e seppure ben "scafati" pensavamo allora molto di più al successo che non alla grana) messa in atto da un impresario (farabutto) fiorentino. Tre mesi di contratto per una lunga serie di concerti in Firenze e dintorni e per di più sotto le feste di Natale, ultimo dell’anno e carnevale. Praticamente tenevamo due o tre concerti a settimana, che allora però si chiamavano “esibizioni”. Ci dava sempre dei piccoli acconti perché diceva -pensa che faccia tosta!- “che i vostri soldi sono più sicuri in tasca mia che nelle vostre, poiché spendereste tutto e tornereste a casa senza una lira”. E noi gli credemmo.

Dopo un po’ però ci vennero dei sospetti e questi li sollevò Bob Ghiozzi, il tastierista (una ‘profezia’ più che azzeccata, tanto che da lì in poi fu soprannominato “Il Profeta”). Chiedemmo a quel punto i nostri soldi e lui disse ok, domattina li ritiro in banca e ve li do. Non l’abbiamo più visto. E noi lì a Firenze con l’albergo da pagare e senza una lira in tasca. E’ in mezzo a questa disperazione dunque - presa da noi però alla ‘garibaldina, cioè senza troppe tragedie - che Moschini, famosissimo impresario fiorentino di grandi nomi della musica, tramite un suo agente ci consigliò di andare ad assistere ad un concerto di Ricky Gianco che si teneva in un locale di Certaldo (FI).

L’agente ci presentò a Ricky e spiegò la nostra situazione, pregandolo di farci suonare subito dopo il suo concerto, cosa che Ricky accettò di buon grado. E così, in una sala gremita all’inverosimile e proprio al cospetto di Ricky, ci presentammo al pubblico. Sarà stata la voglia di fare del nostro meglio o forse (e questo è più probabile) la fame che cominciava a farsi sentire, che facemmo un successo tale che una volta scesi dal palco, Ricky, dopo essersi complimentato con noi, buttò lì una proposta che ci lasciò basiti: “Ragazzi, siete proprio in gamba. Volete diventare il mio gruppo”? Inutile dire quale fu la nostra risposta.

 

Lavorando con Ricky Gianco avete cambiato repertorio o c’è stata continuità con il periodo precedente?

 

No, l’indirizzo musicale, - pur avendo subito un aggiornamento grazie proprio a Ricky -, non si è distaccato molto da quello precedente. Certo avere accanto un musicista come Ricky, uno tra i migliori chitarristi in circolazione allora - e tutt’oggi - ci ha dato grandi stimoli, migliorandoci di conseguenza.

 

Qual era il vostro rapporto col movimento beat, eravate in qualche modo influenzati o collegati con esso?

 

Il ‘mondo beat’ per noi era solo uno slogan e niente più, pertanto non ci sentivamo particolarmente coinvolti o influenzati da esso.

 

Nelle foto sembrate piuttosto “capelloni”. Hai qualche aneddoto sull’effetto che facevano in positivo (ragazze) o negativo (adulti)? Sembravano tutti ipersensibili, allora, a questo particolare che ora ci sembra trascurabile.

 

Capelloni ma non troppo. Questo era il nostro motto. Siamo stati sempre una via di mezzo tra il taglio alla Beatles e le chiome alla Rolling. Nonostante questo - oggi sembra buffo a dirlo - in certi casi venivamo chiamati “capelloni” in maniera …dispregiativa. Con le ragazze il discorso era un altro…

 

Chi era il “leader” tra voi (se ne avevate uno)?

 

Tutti e nessuno. Ognuno aveva le sue competenze in seno al gruppo.

 

Chi curava il vostro look? La vostra casa discografica o ci pensavate voi?

 

Il look era una cosa del momento. Abbiamo seguito sempre la via della spontaneità, aiutati in questo caso da delle amiche ‘girovaghe’ che di volta in volta ci fornivano di indumenti originali che loro stesse scovavano al mercatino di Portobello Road a Londra, a quei tempi - dopo Carnaby Street - un "must" in quanto a mode stravaganti e originali.

 

Avete inciso cover da gruppi e cantanti di grande rilievo come Yardbrds, Lovin’ Spoonful, Troggs, Donovan. Come è avvenuta la scelta? Una vostra idea o di qualcuno della casa discografica? Erano canzoni che conoscevate e amavate già in originale?

 

Riuscivamo ad avere in anteprima le copie di dischi che uscivano sia in America che in Inghilterra, pertanto avevamo la possibilità di scovare del materiale valido prima di altri. A quei tempi l’importazione dei dischi dall’estero non era veloce come oggi, tanto che in alcuni casi questi arrivavano in Italia addirittura sei mesi dopo. Una volta ascoltato il disco originale si decideva se farlo o no, naturalmente con l’approvazione di Ricky e il benestare poi della casa discografica. Il nostro modo di far musica era abbastanza ampio, pertanto Yardbirds, Lovin’ Spoonful, Troggs, Donovan e Bee Gees rappresentavano per noi un percorso musicale interessante, ardito se vogliamo, ma stimolante.

 

Ascoltavate le radio straniere, Radio Luxembourg ad esempio, per conoscere in anteprima i successi stranieri, in particolare nel Regno Unito?

 

La scoperta di Radio Luxembourg e Radio Caroline risale ai tempi dei Criker’s. Tutto il giorno lo passavamo a far prove su prove e queste sessioni duravano anche dopo la pausa della cena. Le due emittenti in lingua inglese trasmettevano solo a notte fonda e non sempre erano ben captabili, quindi armati di un piccolo registratore si ascoltava aspettando il “pezzo ghiotto”. E’ in questa maniera che si ‘catturò’ “Stand By Me” di Ben E King, “Runaway” di Del Shannon, “Tell Laura I love her” di Ricky Valence … Insomma, distrutti dal sonno ma felici…

 

Conoscevate e confrontavate la vostra con le altre cover degli stessi hit, per esempio Finirà dei Templari e Un rifugio per noi dei Nomadi?

 

Ad essere onesti, no. Non le abbiamo mai confrontate e se devo essere sincero i gruppi che tu hai menzionato non li conoscevamo neppure, cioè mai sentiti. Apprendo solo adesso che anche loro hanno fatto una versione italiana di For Your Love. Quella dei Nomadi, seppur completamente diversa dalla nostra, si l’abbiano sentita.

 

I Troggs erano un gruppo beat purista, gli Yardbirds facevano rock blues e “covavano” già l’hard-rock, i Lovin’ Spoonful anticipavano il sound West Coast, Donovan era un campione del folk. Generi così diversi perché eravate eclettici o perché i gusti in quegli anni cambiavano a grande velocità?

 

Vedi, per scelta avevamo deciso di non rinchiuderci in un determinato clichè, anche perché -come dici tu - i gusti cambiavano così velocemente che era quasi impossibile rimanere ancorati ad un genere. Questa scelta comunque a lungo andare non si è rivelata vincente, e credo che sia stata la causa della fine - o dello smembramento - di molti gruppi a cavallo degli anni ‘70.

 

Qualche domanda sul personaggio Ricky Gianco. Prima di tutto una curiosità. Lo conoscevate e apprezzavate già? Non lo consideravate un esponente della “vecchia guardia”? In fondo aveva iniziato con il rock ‘n roll a fine anni ’50 con brani come “Precipito”.

 

Ricky è sempre stato con noi un grande “amicone” nonché un valido “maestro”. Memorabili le tante giornate passate insieme sia in giro per l’Italia che a Livorno o a Milano. Quando infatti c’era da preparare qualche pezzo nuovo da inserire nel repertorio e se noi come gruppo magari essendo impegnati non avevamo tempo per raggiungerlo a Milano, allora lui con la sua “Jaguar E Spider rossa” ci raggiungeva a Livorno e per ore e ore ci rinchiudevamo in sala prove.

 

A parte questa domanda “irriverente”, come era in quegli anni, al di là delle qualità musicali che tutti conoscono, anche dal punto di vista umano è stato una “bella persona” come testimoniano in tanti?

 

Ricky era - ed è tutt’ora - un grande professionista, pertanto niente doveva essere lasciato al caso. Caratterialmente poi Ricky era un tipo sempre pronto alla battuta, tanto che gli scherzi tra noi in viaggio, ma soprattutto negli alberghi dove ci fermavamo, erano all’ordine del giorno.

 

Gianco non vi ha “regalato” una sua canzone?

 

Sì, nate molte volte da delle nostre idee e rifinite da lui e da Gian Pieretti, con il quale avevamo ottimi rapporti. Siamo noi infatti che gli abbiamo fatto "la base" de Il Vento dell’Est.

 

Hai da raccontare qualche episodio significativo o curioso dei vostri tour o spettacoli con Gianco?

 

Ce ne sarebbero tanti. Mi ricordo però un viaggio notturno con lui in Jaguar da Terracina a Milano dopo un concerto e sotto un diluvio universale. Sembrava di essere su di una slitta poiché l’auto a causa dell’acqua procedeva a zigzag e Ricky a ridere ad ogni contro sterzata per rimetterla in strada mentre io invece me la facevo sotto.

 

Siete rimasti in contatto negli anni successivi? Gianco è praticamente rimasto sempre attivo, sino al tour in questi mesi con lo scrittore Massimo Carlotto.

 

Certo che siamo tutt’ora in contatto. Ci sentiamo spesso al telefono e l’ultimo nostro incontro risale a qualche mese fa. Un paio di settimane fa ci siamo promessi di vederci tutti a Livorno per una rimpatriata e una scorpacciata di pesce come ai nostri tempi.

 

Avete anche condiviso concerti e tour con un personaggio poliedrico e interessante come Antoine. Qualche aneddoto e ricordo di questo originale musicista?

 

Con Antoine al top del successo europeo partecipammo alla sua prima tournée in Italia. Toccammo un infinità di città dal Nord al Sud con palazzetti dello sport gremiti all’inverosimile di giovani. Mi ricordo che all’inizio del tour, in un albergo del Nord Italia, in sala ristorante si sedette al nostro tavolo e la prima cosa che ci disse fu: “Anche voi in camicia a fiori? Credevo di indossarle solo io” vedendo un paio di noi che sfoggiavano appunto quel tipo di indumento.

 

Tornando alla vostra esperienza discografica. Avete provato anche a proporre qualche brano composto da voi?

 

Si, lo abbiamo fatto, ma una buona cover, allora, non la rifiutava nessuno. Oggi è difficile capire tutto questo, ma in quegli anni bisogna tener conto che il pubblico era sfegatatamente “esterofilo” in fatto di gusti musicali. La musica inglese o americana era la più seguita, dettava legge sul nostro mercato, pertanto non seguire questa tendenza era estremamente rischioso e la dimostrazione a quello che dico è che allora, nessun gruppo o solista - anche di nome - si è sottratto a questa regola. Comunque c’era la volontà di una produzione nostra, e i primi timidi tentativi sono stati “Mondo mio” (disco dell’estate), “Che ore sono” e “Quando sei con me”, musiche scritte da me e da Franco Marcheschi con la supervisione di Ricky.

 

Avete pianificato o proposto all’epoca un LP tutto per voi?

 

Avevamo pianificato un 33 giri ma non abbiamo avuto il tempo materiale per farlo. All’inizio i concerti non ci lasciavano tempo per fermarci in sala a lungo e poi aspettavamo il momento più opportuno per mettere insieme un tot numero di pezzi di un certo valore. Lo scioglimento del gruppo poi ha vanificato tutto, lasciando al nostro attivo solo un discreto numero di 45 giri.

 

Quali erano gli altri gruppi italiani che apprezzavate di più, magari per esperienza e conoscenza diretta?

 

23) Apprezzavamo i Rokes per la loro professionalità “anglosassone”. Avevamo poi grande stima per i Camaleonti (il compianto Paolo Di Ceglie era un nostro grande amico), per i Quelli (eccezionale Franz Di Cioccio) e per i Ribelli, stimatori ed ‘amicissimi’ di Gianni Dall’Aglio.

 

Come è stata portata avanti la promozione dei vostri dischi, la casa discografica è stata all’altezza delle vostre aspettative?

 

In quanto a promozione della nostra immagine e della nostra produzione, la Ricordi -oggi BMG- ha lavorato … bene. Un solo neo. Molti mesi prima che ancora uscisse in Italia “A Whiter Shade of Pale” dei Procol Harum, facemmo ascoltare questo disco ad un nostro produttore, (oggi mi sfugge il nome) poiché fulminati dal brano avevamo subito deciso di farne una nostra versione. Dopo averlo ascoltato il produttore ci gelò: “No, ve lo sconsiglio. Un disco simile non venderà una copia in Italia”. I Dik Dik, arrivarono dopo, e si sa come andò a finire con “Senza luce”.

 

Una domanda sugli studi di registrazione. Come avveniva il processo di registrazione dei vostri singoli? In unica soluzione con più riprese del brano o già con qualche sovra-incisione? Erano studi ben attrezzati?

 

Gli studi di registrazione erano i migliori sul mercato. Fonoroma, Philips…Si lavorava sull’analogico, dodici/ventiquattro piste. Grandi tecnici. Per i mezzi a disposizione in quei tempi devo dire che a lavoro finito il risultato era ottimo. Ricky Gianco poi in studio era un “mostro” di bravura nel trovare suoni e soluzioni tecniche. E si inca**ava pure se non riuscivamo a raggiungere ciò che lui voleva. Un vero mago. La registrazione comunque partiva sempre dalla base ritmica, basso e batteria. Poi su un’altra pista si passava alla stesura degli accordi, e in successione degli assolo, della voce (che spesso sovraincidevo), dei cori ed infine degli effetti. A questo punto si passava alla miscelazione di tutte le piste a cui partecipava in maniera determinante Ricky, il quale seduto al banco assieme al tecnico smanettava volumi e timbri.

 

Gli strumenti erano una ricchezza per i complessi dell’epoca (ma anche ora). Tu che chitarra o chitarre usavi? E gli altri del gruppo?

 

Gli strumenti erano importantissimi e questo lo avevamo capito fin dai nostri primi passi nei Criker’s. Grazie ai nostri genitori infatti, dopo i primi strumenti (dozzinali) passammo immediatamente al top: chitarre Fender Stratocaster, Basso altrettanto Fender, batteria Ludwig (i Beatles insegnano!) e organo Hammond. Quattro o cinque chili di cambiali a testa…

 

Per finire, un salto ad oggi. Se tu dovessi indicare tre gruppi di oggi che lasceranno un segno, come molti gruppi e musicisti degli anni ‘60 che si ascolteranno anche tra dieci anni, che nomi ti verrebbero in mente?

 

Sai che a questa domanda non so rispondere? Il motivo è che oggi tutto è cambiato e la musica è diventata - secondo me - un prodotto di consumo “usa e getta”. Quanti si ricordano per esempio chi ha vinto l’ultimo Festival di Sanremo? Io sono il primo a non ricordarlo. E così è per i gruppi che si accavallano uno sull’altro, spariscono e si rifondano. Oggi l’artista è quello sconosciuto che indovina un pezzo, vive quel momento di gloria e poi sparisce. E’ cambiato anche il modo di vivere la musica da parte dei giovani. Allora un disco di successo aveva lunga vita, oggi poi c’è internet dal quale scarichi tutti i dischi che vuoi, e sono talmente tanti che poi si smarriscono nella memoria. No, onestamente non saprei dire… Di certo rimarrà gente del calibro di Vasco Rossi, Zucchero, De Gregori …Come vedi gente “non più giovane”…e siamo sempre lì.

 

E poi: qualsiasi altra curiosità o episodio interessante che non mi è venuto in mente di chiedere …

 

L’ultima domanda la rivolgo io a te: Credi che tra oltre quarant'anni troveremo in commercio una compilation con dei gruppi che oggi hanno suonato in un locale mitico? Questo può essere un po’ l’appendice alla domanda precedente che ti fa capire quanto furono importanti e innovativi, allora, quelli che oggi vengono ricordati come i “meravigliosi anni ‘60”.

 

E la risposta non può che essere affermativa: molte cose buone si fanno anche oggi, ma i costi di produzione bassi hanno ampliato enormemente l'offerta. Sicuramente dal nostro "osservatorio" di Musica & Memoria abbiamo scoperto che esiste, continua e cresce un grande interesse sugli anni '60 e sul Beat, anche tra chi per motivi anagrafici non ha proprio potuto viverli di persona ...

 

© Musica & Memoria Giugno 2007 / Intervista di Alberto Truffi / Riproduzione non consentita

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