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I
Jaguars - Intervista a Silvio Settimi |
Direttamente dal centro pulsante dell'era beat pubblichiamo una intervista esclusiva per Musica & Memoria del chitarrista, vocalist e autore della maggior parte dei brani dei Jaguars, Silvio Settimi (nella foto a destra Silvio oggi e ieri). Sui Jaguars vedi anche: La discografia dei Jaguars / Il famoso furto di strumenti |
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Come sei entrato nei Jaguars? |
Forse fu la noia, che mi condusse quel giorno di
agosto (1966? .. 65?) al campo di baseball di Nettuno. Me lo sono chiesto
migliaia di volte nel corso della mia vita come io, la negazione dello sport, mi
trovassi lì quel giorno. Se non in quel posto mi avrebbero trovato lo stesso o
forse se ne sarebbero andati senza fare altri tentativi, nessuno lo sa, di fatto
la mia vita quel giorno cambiò.
A quel tempo meditavo, dopo avere cercato invano un impiego, di intraprendere la
carriera militare, pur sapendo di non essere un persona adatta a quel tipo di
vita, e così me ne stavo lì, dietro quella rete di metallo, a guardare
intorno.
La moda dei capelli lunghi non mi aveva neanche sfiorato, ero, per così dire,
uno normale.
Tre individui intanto si avvicinavano, tre capelloni. Mi facevano dei gesti e
sorridevano amichevolmente, «che cavolo vonno questi » - pensai. Li
riconobbi quando erano a due metri da me: Giovanni,
Pino, Luigi.
(Giovanni Gallo, Pino Bianchi, Luigi Fratini, n.d.r.)
Li avevo conosciuti due o tre
anni prima, suonavano e dormivano, in quattro in una cabina, in uno
stabilimento chiamato "Il Pioniere", dalle parti di Lavinio, una
cosa da film di Fellini, dove una sera capitai durante una delle
scorribande vacanziere. |
Una voce così potente non si era mai sentita da
quelle parti. Continuai a frequentarli fino alla fine delle vacanze, poi tornai
a Roma e ci perdemmo di vista per un po', fino a quando non mi vennero a cercare
per propormi di entrare nel gruppo.
Loro avevano deciso di fare quella professione a tempo pieno, lasciando la
scuola e tutto il resto, avevano comprato strumenti nuovi, le divise, sapete ..
tutti vestiti uguale, insomma una cosa seria.
Avevano un impegno fisso da Zanussi, una
enorme sala da ballo che esiste ancora, il cui proprietario, Amedeo, era stato
batterista e apprezzava la serietà di questi ragazzi. Si suonava il giovedì,
il sabato e la Domenica. Io accettai l'offerta, ma durò solo una settimana, non
ce la facevo, dovevo anche studiare, tuttavia rimanemmo in contatto.
L'anno dopo rientrai nel gruppo, avevo finito con la scuola, c'era da fare dei
provini alla RCA e partecipai. Preparammo, oggi si chiamano cover, alcuni pezzi
dei Beach Boys ed altro.
Non mi ricordo come finì, mi sembra che ci furono solo promesse, io mi iscrissi
all'università e ci perdemmo nuovamente di vista.
Un giorno mentre frugavo tra gli scaffali di un negozietto di dischi mi capitò
in mano un 45 giri, nella foto di copertina quattro individui si riflettevano su
una borchia di una Volkswagen ... I Jaguars - Barbara
Ann ... Credimi ti amo". «guarda questi - pensai - ... si
chiamano Jaguars e si fanno fotografare con una Volkswagen ». Poi guardai
meglio la foto - sapete la sfericità deforma le immagini.. - e li riconobbi:
Giovanni. Pino, Luigi e un altro che non conoscevo «ce l'hanno fatta,
sono contento..» - pensai. Forse avevo perso un'occasione. All'università ci andavo tutti i giorni e avevo anche capacità, ma ero sempre
senza una lira e a casa non c'era tanto da spendere, lavorava solo mio padre che
faceva il falegname, così feci la richiesta di entrare nell'esercito come
ufficiale. In attesa di essere chiamato ero andato, come ormai da molti anni in
vacanza a Nettuno. Mi ero sempre trovato bene lì, ma quell'anno non riuscivo a
rilassarmi, non mi divertiva niente, mi sembrava come una punizione, forse
furono veramente la disperazione e la noia a portarmi quel giorno al campo di
baseball.
Le cose non collimano con le storie ufficiali o la tua storia con i Jaguars è stata costellata di abbandoni? |
Le cose non ti collimano perché la storia comincia
quando quei tre tipi, orfani del chitarrista mi trovano al campo di baseball di
Nettuno e mi propongono di rientrare nel gruppo.
Ci penso ci ripenso e poi accetto. All'inizio non avevo né chitarra né
amplificatore,
mi arrangiai con roba in prestito, una chitarra Eko
da due soldi sulla quale Achille Carloni (era un mio amico) aveva fatto scrivere
da un'abile mano "Fender".
Dopo un paio di mesi di prove e di serate si doveva fare il nuovo disco.
Fino ad allora i testi delle cover dei Jaguars erano del tipo "...io amo te
.. Tu ami me .. Ritornerò, pensami ..." e così via. Io scrissi le parole
di due pezzi "Il treno della
morte" e "Il tempo passerà"
Apprendo ora dal tuo sito che "Il treno della morte" era "The
russian spy and I" degli Hunters.
Quell'intermezzo alla russa mi
evocava immagini di un campo nomade, una tribù il cui capo, sentendosi
vicino alla fine, richiamava intorno a sé la sua gente e
trasmetteva il suo messaggio ... |
L' interpretazione vocale che diede Pino non mi ha mai
convinto, ma decidemmo di fare un pezzo per uno. Così andò...
Quello che registrarono in seguito I
Jaguars, escludendo
Oggi si (del
maestro Enrico Simonetti, era la sigla di
una trasmissione TV da lui condotta con Isabella Biagin nel 1967, "Lei non si
preoccupi") una canzone del festival di Napoli,
e i pezzi del sogno americano, uscì tutto dalla mia penna e me ne assumo tutte
le responsabilità.
In altre interviste hai parlato di tue periodiche uscite dal gruppo per altri impegni, ti sostituivano altri nelle serate o i Jaguars rimanevano in tre? |
Le entrate e le uscite erano prima che tutto
iniziasse, quando loro suonavano da Zanussi, e non ricordo se si chiamassero
già Jaguars, ignoro, ora che ci penso, anche perché decisero di chiamarsi
così.
In realtà il primo ad uscire fu Pino, credo nel 1969, e rimanemmo in tre,
andammo avanti per qualche mese poi entrò nel gruppo un giovane di nome Vittorio
Nocenzi (il futuro musicista del Banco
del Mutuo Soccorso, n.d.r.), andammo avanti qualche altro mese e
me ne andai io. Luigi e Giovanni con altri due continuarono, ma non era la
stessa cosa e tutto fallì.
Ci ricostituimmo, credo fosse il carnevale del 1971, per qualche serata, tra cui
una indimenticabile
a Villa Fiorio a Grottaferrata in cui era presente Giuseppe
Ungaretti, che ci invitò al tavolo e ci offrì un bicchiere di vino.
Come sceglievate i pezzi stranieri di cui fare una cover? li sentivate alle radio inglesi oppure da dischi di importazione, o ve li proponevano i discografici? |
Alla casa discografica arrivavano dei dischi nuovi e
poi si stava sempre con le orecchie aperte, ogni fonte era buona. A quei tempi
un disco uscito in America poteva anche impiegare un anno ad arrivare da noi.
C'era un loro amico di Ciampino, fissato con Elvis e tutto quello che era
americano, tanto che finì a lavorare all'ambasciata americana, che era
abbastanza informato e procurava delle novità.
Clamoroso fu quando - suonavamo a Torino - conoscemmo un certo Cesare, che era
fratello di Jerry dei Brutos (Note)
- non so le li ricordi - Jerry era quello con un dente solo. Insomma questo
Jerry che girava per il mondo con i Brutos inviava al fratello tutte le novità
discografiche che trovava.
«…sentite questo…» - disse Cesare in torinese - e mise sul piatto "Hey
Joe" di Jimi Hendrix…
evitammo non so come lo svenimento.
Per me l'effetto fu quello di Charlie Parker
….. Cesare fu così gentile da copiarci su un nastro tutte le novità.
Arrivati a Roma ascoltammo il nastro ed era un disastro, si sentivano le piste
sovrapposte una al dritto e l'altra a rovescio, non conoscevamo nessuno che
avesse un registratore stereo ed eravamo gelosi del nastro così tirammo giù
quello che ci interessava in mezzo a quel casino.
È probabile che sia stato io il primo a suonare "Hey Joe" e solo
successivamente, quando uscì il disco in Italia, potemmo ascoltare com'era
veramente, ma il feeling era quello giusto
Sempre riguardo alle cover, ti ricordi se "Credimi ti amo" era una cover ufficiale di "Spirit of America" dei Beach Boys? |
Si, il testo è stato scritto da Luigi Fratini così
come quello di Barbara Ann. Se per
ufficiale intendi richiedere i permessi etc. etc., assolutamente no. Tanto che
questi furono i primi esempi di plagio spregiudicato di quell'epoca riportati in
una trasmissione televisiva recente.
Di Wilson su "Credimi ti amo" non c'era neanche l'ombra a livello di
diritti d'autore. Idem "Barbara Ann" e "Ritornerò in
settembre".
Torniamo agli inizi dei Jaguars, avete formato un complesso perché eravate appassionati della musica, ma quale musica ascoltavate prevalentemente agli inizi degli anni '60 e per quali vie (radio, dischi)? |
Per quanto mi riguarda all'inizio
degli anni '60, in casa mia c'era solo la radio, e ascoltavo quello che
trasmettevano, il rock and roll e i nostri cosiddetti urlatori, Mina,
Celentano , Tony Dallara, …rieccolo
..., che a quei tempi erano il nuovo, mi piaceva molto Buscaglione
- lui e Carosone erano i Frank Zappa dell'epoca - di cui mi piaceva
cantare qualche canzone, come "Eri Piccola Così", e poi c'erano
i cantautori Paoli, Bindi etc. etc. |
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La mia prima esibizione fu
proprio con "24000 baci"
(foto a sinistra). Era il 1961. |
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Cosa avevano combinato gli organizzatori? |
Qualche tempo dopo, parecchio tempo dopo, mi trovavo a
Tarquinia, dove ho dei parenti, avevo smesso da parecchio con le feste di paese,
e in una vetrina vedo una mia foto …. Domenica in piazza canterà Silver Sett
ecc ecc …. Coome!!???? Insomma si presentano la domenica il gatto e la volpe
con un tale che poteva vagamente somigliarmi, spacciato per Silver Sett. Con mio
cugino ci recammo dai responsabili del comune (che pagava) a denunciare la
truffa.
Insomma alla fine decisi che avrei cantato io. Non fu un saggia decisione
perché salito sul palco mi ritrovai tra le mani la chitarra del falso Silver
Sett completamente scordata, volutamente scordata, cominciai a suonare e feci
una figura di m..., per fortuna quelli dell'orchestra mi conoscevano, entrarono
e tutto andò bene. Quei figli di p.... non mi avevano mai dato una lira,
sembrava anzi che mi facessero un favore e quando decisi di smettere pensarono
di trovarmi un sosia, chissà quante feste avranno fatto con il falso Silver
Sett. Poi un giorno dai giornali seppi che il gatto era stato arrestato per
varie truffe.
Quindi così hai iniziato ai cantare. E a suonare? |
Non avevo una chitarra, ma la desideravo, e così
insistendo e insistendo mio padre me ne fece costruire una da un suo conoscente,
una bella chitarra classica artigianale, che io distrussi cercando di farla
somigliare il più possibile ad una chitarra elettrica.
Incominciai a trovare le note dei pezzi dei Champs
che mi facevano impazzire ("Beatnik", "Gone Train" ecc.)
Intanto la chitarra si scordava e io continuavo a trovare la note cambiando
posizione.
Seguivo insomma la progressiva scordatura finché un giorno un tale che
conoscevo mi chiese di provare la chitarra, appena suonata disse "ma questa
è tutta scordata", la accordò e mi mostrò un paio di accordi.
Nel giro di una settimana avevo imparato tutti gli accordi maggiori e minori,
cercandoli ad orecchio ne insegnai qualcuno anche al mio accordatore.
Cominciai ad accompagnarmi le canzoni da solo ed imparai come solista pezzi che
ogni apprendista chitarrista di quell'epoca doveva imparare , come "Apache"
(degli Shadows) "Sleep Walk" ecc.
Il padre di un mio amico, Lallo, era rappresentante di dischi alla Ricordi
e quindi potevamo ascoltare tutte le novità.
Quindi con Lallo e Carloni, un altro amico radiotecnico con lieve tendenza alla
falsificazione, formammo un gruppo con velleità di incidere dischi, ci
presentammo alla ricordi per un'audizione e per poco non ci cacciano via,
riuscimmo solo a fare un paio di serate alla Siesta sulla via Pontina, non ti
dico che disastro….
E i tuoi influssi musicali? |
Un giorno mi capitarono in mano un paio di dischi
extended play, Charlie Parker l'uno, The
Modern Jazz Quartet (MJQ) l'altro. (Note)
Non ho parole per descriverti cosa fu per me l'ascolto di Lover
Man, si aprì un universo, lo ascoltai tanto di quelle volte da
poterlo seguire a memoria nota per nota, solo dopo seppi che la particolarità
di quella storica incisione era che al termine Charlie Parker, in preda ad una
crisi venne ricoverato al Camarillo Hospital e ci restò per un bel pezzo.
Non meno folgorante fu l'ascolto di "Three Degrees East Two Degrees
West" del MJQ un pacato blues di John Lewis.
Tempo un paio di mesi, tornando indietro nella storia del jazz, con l'aiuto
della rivista Musica Jazz conoscevo molto del passato e del presente di quella
musica.
Era il 1964, conservo ancora l'intera collezione di questa rivista fino ai
giorni nostri, purtroppo l'annata 1964 non è completa. L'unica cosa che sia
riuscito a conservare in vita mia.
A quei tempi dovevi girare mezza città per comprare Musica Jazz, un giorno per
trovarla e tutto il mese per leggerla e rileggerla, le recensioni dei dischi, le
foto che robba !!!!!!!
Nel 1965 all'aula magna dell'università, alla quale mi ero iscritto quell'anno,
facevano dei concerti, tra cui il MJQ e Segovia, indescrivibile l'emozione di
trovarsi di fronte a questi musicisti.
Poi seguirono i lunedì del Sistina: Oscar Peterson,
Dizzy Gillespie Big Band, Ray
Charles, Thelonious Monk, Stan
Getz, Ella Fitzgerald, più tardi
Miles Davis con Chick
Corea all'inizio della famosa svolta.
E siamo arrivati al 1966.
Tutti i dischi che compravo, fatta eccezione per il primo LP di Duane
Eddy, erano di jazz, quei bei dischi Atlantic
da 3mm di spessore.
Questo era il mio bagaglio culturale musicale, o meglio questi erano i miei
gusti, quando mi trovai come un fesso allo stadio di baseball di nettuno, …
sconfitto dal Silvestroni (Note).
Riguardo agli altri Jaguars, ascoltavano - ma bisognerebbe chiederlo a loro
- prevalentemente musica rock and roll, di italiano … di cantautori poco e
niente, hanno sempre pensato che fosse roba di secondo ordine,
mi parlavano di gruppi e cantanti che non avevo mai sentito nominare né
ascoltato.
Sono sempre stati esterofili al punto da cantare in inglese, in pubblico, i
dischi che avevano inciso in italiano, come se fosse una vergogna, semmai la
vergogna era cantare senza capire…. tipo "a uanna ganawa".
Di loro solo Pino, essendo nato in Egitto, forse
laggiù a scuola lo insegnavano, conosceva l'inglese.
Credo di averti detto come ci conoscemmo. Per certi versi in quel periodo
eravamo circa sulla stessa onda.
Mentre iniziava la vostra attività esplodeva la swingin’ London coi Beatles e gli Stones, e in America, dopo il surf dei Beach Boys arrivava il folk, e poila musica West Coast dei Buffalo, dei Byrds. Eravate al corrente di tutte queste tendenze, a voi contemporanee? |
I Beatles uscirono nel 63? Beh loro suonavano alla sala Zanussi (foto). |
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Suonavano musica da ballo, cha cha cha, valzer, insomma
quello che serviva, il gruppo non aveva una fisionomia propria, i loro
modelli erano gli Shadows, Cliff
Richard, Brian Poole and the Tremeloes,
naturalmente i Beach Boys. Questi
ultimi presero il sopravvento a giudicare dai loro primi dischi. |
Sicuramente i Jaguars avevano una preferenza per i Beach Boys, vedi le cover di Barbara Ann e Spirit of America. Non erano distanti dalla vostra tendenza verso sonorità più dure, non vi sembravano, come a molti all'epoca (ingiustamente) datati e troppo soft? |
Il mio pensiero verso i Beach Boys l'ho trovato ben descritto in un testo di Jimi Hendrix "Third stone from the sun":
Third Stone From The Sun
Oh strange beautiful grass of green
with your majestic silken scenes
Your mysterious mountains
I wish to see closer
May I land my kinky machine
Although your world wonders me
with your majestic superior cackling hen
Your people I do not understand
So to you I wish to put an end
And you'll never hear surf music again.
A me piaceva la musica nera: Ray
Charles del periodo Atlantic, mi piaceva Bob
Dylan, mi piaceva anche qualcosa di folk, naturalmente dopo il jazz
Gli altri avevano una vera e propria idolatria per i Beach
Boys.
Esisteva in sintesi a tuo avviso uno stile Jaguars? |
Il gruppo suonava bene ma non aveva una personalità,
questa poteva essere costruita solo attraverso composizioni nuove, trovare
insomma qualcosa da dire.
Quando entrai io ci provammo con le mie canzoni, ma gli arrangiamenti erano
carenti.
Il procedimento dovrebbe essere che una canzone nuova la suoni 1000 volte e devi
essere pronto a variare finché non funziona prima di metterla su disco. Noi
facevamo l'opposto: andavamo in sala con un minimo di arrangiamento e quello
era. Il tempo era limitato e non potevi dire alla fine "buttiamo
tutto". I nostri dischi erano in sostanza dei provini, un punto di
partenza.
A volte basta variare una parola, un accordo …il senso cambia e tutto
funziona.
Non so, questa è una mia idea,
ma se avessimo intitolato "Il treno della
notte" quello che era "Il
treno della morte" non ci sarebbe stata quella sorta di
censura, non provata naturalmente, ma che senso ha lanciare una canzone
vecchia quando hai investito su una nuova? |
I Jaguars non erano un quartetto bensì due trii virtuali. Le due anime venivano fuori divise tra due generi musicali. A pensarci oggi penso che mancasse una guida "spirituale", un George Martin, qualcuno che potesse indicare una strada, che ci aiutasse a liberarci dei difetti che avevamo, e poi nessuno di noi era un genio.
Qualcun altro di voi conosceva il jazz? Il batterista Giovanni in particolare conosceva i grandi batteristi jazz come Art Blakey o Max Roach e i loro assolo? |
Giovanni non solo conosceva i grandi batteristi, ma
poteva anche suonare jazz, secondo me questo avrebbe dovuto fare, oggi sarebbe
uno dei migliori in Italia (altri batteristi caciaroni hanno avuto più fortuna
- ….che ho detto POOH???) e forse avrei dovuto provarci anch' io, ma nei
locali dell'epoca, esclusi quelli dedicati, uno o due a Roma, il jazz era tabù.
Era uso a quei tempi che ci fossero due gruppi che si alternavano su palco.
Il segnale era "Blue Moon". Quando
partiva questo pezzo c'era l'avvicendamento che doveva essere indolore, il
pubblico lo sapeva e qualcuno ne approfittava per rifarsi il trucco o per
svuotare il pappagallo. Quindi ad uno ad uno i musicisti si sostituivano e solo
quando la sostituzione era completa si partiva col programma.
Una sera io e Giovanni portammo Blue Moon su un binario pseudo jazzistico, la
reazione del gestore del locale non si fece attendere …. Uscì di corsa dal
suo ufficio agitando la braccia…
Niente jazz …. Niente jazz …
Come erano organizzati i vostri concerti? Preparavate una scaletta e la seguivate o improvvisavate sul momento in base alle reazioni (o alle richieste) del pubblico? |
Concerto è una parola impegnativa. Allora si suonava
tutti i giorni, si facevano periodi di una settimana a volte quindici giorni,
era come un posto fisso, quando andava bene, nei locali tipo Piper,
Kilt, Titan,
potevi suonare quello che volevi, fermo restando che si doveva ballare.
E si riusciva a fare un minimo di scaletta.
Quando invece capitava di suonare nei night club la cosa era molto complicata,
si decideva quasi sempre al momento. La pista era piccola e doveva essere sempre
piena, la gente doveva ballare questo era il metro
dei gestori. In questi posti andavano bene le lagne dei Beach
Boys, non certo "Fire" di Jimi
Hendrix.
Un concerto che ti è rimasto particolarmente impresso per il coinvolgimento del pubblico? |
Un giorno, mi racconta Luigi - siamo negli anni '80 -
fa amicizia con un tale napoletano al campeggio, e parlando viene fuori la
storia dei Jaguars quando eravamo a Napoli.
Questo domanda … ma che c'era uno che cantava … "All or nothing"?
(Il successo degli Small Faces, n.d.r.)
…. Indimenticabile … io c'ero …
Era un concorso di cantanti esordienti al teatro Politeama. Noi in quel periodo
ci trovavamo a Napoli e ci invitarono come ospiti d'onore per eseguire tre
canzoni.
Il presentatore non era stato informato di questo e dopo il primo pezzo, "All
Or Nothing" appunto,
si ripresentò sul palco e aspettava che ce ne andassimo per fare posto al
prossimo …
un'altra figura di m... Pardon!!!!.
Se il napoletano del campeggio dice che era indimenticabile gli credo.
Avete fatto anche concerti all'estero? |
No.
Quanto era importante per voi il successo commerciale? In alcune interviste avete parlato delle occasioni perdute a causa delle carenze della casa discografica CDB. Il rammarico è di non essere diventati un gruppo di maggiore seguito o di non aver potuto seguire completamente le vostre inclinazioni musicali? |
Col successo commerciale campi e poi magari puoi
seguire le tue aspirazioni. È un punto di vista sbagliato, ma sembra che noi la
pensassimo così. Inutile dare le colpe ad altri. Oltre a saper suonare ci
vogliono altre qualità.
Che noi non avevamo.
Sempre restando sul lato prosaico: perché accettavate ingaggi evidentemente lontani dalle vostre aspirazioni, come la partecipazione in coppia con Tony Dallara al Festival di Napoli? Necessità o acquiescenza ai discografici? |
Se c'era una possibilità di andare in televisione bisognava sfruttarla, questo era il concetto, perché la gente dice: …. è stato pure in televisione …
C'erano degli altri complessi beat italiani (o inglesi trapiantati in Italia) che rappresentavano un riferimento per voi? |
Per me i riferimenti erano quelli che ho citato prima. Non ti so dire per gli altri. Luigi ammirava i Primitives (Note) mi sembra, non tanto per la musica quanto per il look, nel quale noi eravamo carenti.
Seguivate in qualche modo la scuola dei cantautori genovesi che nello stesso periodo si affermava (De Andrè, Tenco, Lauzi) o li consideravate musicalmente datati? |
In parte ho già risposto a questa domanda. Posso
aggiungere che quando cantavo per gli amici "La
ballata del Michè" De Andrè era conosciuto da pochissimi,
direi quasi da nessuno.
Possono essere musicalmente datati gli arrangiamenti, quelli sono legati al
tempo, ma per l'opera, quando è valida, non esistono date.
Veniamo al Settimi chitarrista e musicista, come è nata la tua passione per la musica? |
La prima volta che ho visto gente suonare. La passione
è nata lì.
Si capiva che avevo questa passione e volevo imparare la musica, ma mia madre
opponeva ferma resistenza perché lo studio della musica poteva distrarmi dalla
scuola. Posso capire questa su sua decisione, le veniva da una vita di
precarietà e di insicurezza, tanto che desiderava per me un posto fisso.
Così per cultura o non cultura familiare la musica l'ho vissuta come una cosa
secondaria che la puoi fare quando ti sarai sistemato.
Invece non è così, iniziare lo studio della musica da piccoli è fondamentale
e rimane per tutta la vita, così come ti rimane il concetto negativo espresso
sopra.
Così quando ho potuto mettere le mani su una chitarra, senza una guida, senza
informazioni, ho fatto quel che ho potuto.
Ero in sostanza un analfabeta, oggi un po' meno: pensa che prima di avere una
vera chitarra, mi esercitavo con un'asse di legno su cui avevo teso delle corde
con delle viti e segnato immaginari tasti nei punti rilevati ad orecchio, in
sostanza la scala maggiore.
Le corde erano ricavate da un freno di bicicletta sbucciato.
Hai avuto degli esempi, dei riferimenti per il tuo stile? |
Stile significa che quando suoni gli altri ti riconoscono o per il suono o per il fraseggio o per altri piccoli particolari, non so se ci sia uno stile nel mio suonare bisognerebbe chiederlo ad altri.
I chitarristi della stessa epoca (Clapton, Harrison, Richards, più tardi Hendrix) ti hanno influenzato? Ascoltavi e studiavi i loro assolo? |
Hendrix, che ho visto nel suo concerto al Brancaccio
(Note), mi ha fulminato ma non mi sono mai messo
a studiare gli assolo, cercavo di cogliere il feeling del pezzo questo si.
Certamente alcuni passaggi te li devi studiare.
Molte delle sue canzoni finirono nel nostro repertorio: "Fire",
"51st Anniversary", "The Wind Cries Mary", "Foxy
Lady" ... ne dimentico sicuramente qualcuna.
Per quanta passione avessi non ho dedicato molto tempo a questo.
L'idea dell'archetto di violino sulla chitarra elettrica a chi è venuta? |
Non ti so dire esattamente, può darsi che l'avessimo
visto da qualche parte, forse qualche foto sulle riviste inglesi o americane che
compravamo per i testi delle canzoni.
Bisognava andare dal giornalaio di via Veneto, ce le aveva solo lui.
Certo è che tentammo di farne la nostra particolarità, poi le cose andarono
come andarono
Riguardo alla voce, ti è venuto naturalmente il particolare canto "strozzato" o hai avuto dei modelli? |
In parte ho già risposto quando parlavo di come erano
registrati i dischi.
Fatta la base vai a cantarci sopra e ti accorgi che è troppo alta e siccome non
puoi rifare tutto canti lo stesso e viene fuori "Devi combattere" con
la rabbia in corpo, in netto contrasto col coretto insulso che mettemmo alla
fine del pezzo.
A parte questo ho sempre cantato un po' oltre la mia estensione, che sarebbe di
baritono basso.
Hai avuto anche una carriera parallela di autore di canzoni o di testi per cover di altri cantanti e complessi beat; quali brani tuoi sono stati pubblicati su disco? |
Scrivevo sempre, prendevo appunti, monconi di canzoni
che ogni tanto Luigi mi ripropone e che mi lasciano perplesso poiché io non ne
ho più memoria …did I really do that?.
Uscito dal gruppo ho continuato per un po' a scrivere canzoni fino ad ottenere
un contratto con la Vedette, presentato da Roby
Crispiano (Note).
Scrissi per il gruppo Panna Fredda la
canzone "Delirio" il retro del
loro primo disco che andò meglio della facciata A,come loro stessi affermano
nel loro sito (www.italianprog.com/a_pannafredda.htm, n.d.r.).
Il contratto con la Vedette prevedeva 12 canzoni l'anno, cosa che rispettai il
primo anno, poi, visto che non gli andava mai bene niente, smisi.
Avevano ragione loro? È molto probabile.
Come hai vissuto il passaggio di decennio e la eclissi del beat? |
Al ritorno da Londra nel settembre 1970, segui un
periodo di sbandamento. Per caso iniziai a lavorare nel 1971 in una stamperia
d'arte, un lavoro che mi affascinava.
Poi il militare dopodiché, non c'erano più alibi, ho continuato a lavorare in
quel campo, a comprare dischi di jazz, a suonare per me stesso, finché non sono
finito dove sai. Sono sempre stato in contatto con Giovanni, con il quale più
volte abbiamo formato un gruppo, così tanto per non morire, ma niente che valga
la pena di menzionare.
Il beat si eclissava e con lui un'epoca irripetibile.
Shadows |
Uno dei più popolari gruppi inglesi dell'era pre-Beatles, in origine gruppo di supporto di Cliff Richard, ebbero un successo mondiale con il non dimenticato brano strumentale "Apache", autentico manifesto della chitarra elettrica, e poi con "Man Of Mystery" e "Kon-Tiki". |
Champs |
Un gruppo strumentale americano (2 chitarre, sax, basso e batteria) di genere latin-jazz ricordati soprattutto per il successo mondiale nel 1958 del brano "Tequila", composto dal sassofonista Chuck Rio, e ripreso innumerevoli volte. |
Brutos |
Un gruppo italiano essenzialmente di cabaret, in pratica una parodia di un gruppo musicale (tre su quattro dei Brutos erano, come prevedibile, veramente brutti e truccati per esserlo), famosi nei primi anni '60 e protagonisti di spettacoli, televisione e pubblicità (il carosello della cera per pavimenti Grey). |
Modern Jazz Quartet |
Uno dei più celebri ensemble di musica jazz degli anni '50. Raccolti attorno al grande pianista John Lewis, si proponevano di presentare il jazz con la stessa importanza e esigenza di concentrazione normalmente richiesta per la musica classica, facendolo uscire dal "ghetto" della musica da ballo o per club. Da qui il nome di "quartetto" e la propensioni per brani a tempo lento. Approccio opinabile ma grandissimi musicisti e grandissime cose. |
Brancaccio |
Cinema-teatro di Roma centro utilizzato fino agli anni '70 per concerti di musica rock. Qui si tenne, tra l'altro, l'unico concerto a Roma di Jimi Hendrix, che lasciò senza fiato i ragazzi che andarono ad assistervi, per la distanza siderale con quello che normalmente si sentiva. Si racconta che il musicista fece anche il numero di dare fuoco alla chitarra, tra lo sconcerto degli impresari (e dei Vigili del fuoco), ma anche del pubblico. |
Roby Crispiano |
Vero nome Roberto Castiglione, uno dei più autentici cantanti beat italiani, buon seguito a metà degli anni '60 (soprattutto con il brano Uomini uomini) e quindi l'abbandono della scena per non scendere ai compromessi richiesti nella fase declinante del beat. |
Silvestroni |
Famoso ingegnere chimico e professore universitario, autore del testo di chimica usato per l'esame di Chimica I ai corsi di Ingegneria e di altre lauree scientifiche, alla Università La Sapienza di Roma. |
Settevoci e la censura |
Trasmissione televisiva a base musicale del
pomeriggio del sabato, la prima condotta con successo da un giovane Pippo
Baudo. Era una specie di gara nella quale il successo dei
cantanti presenti era decretato dall'"applausometro", una specie
di rilevatore automatico della intensità dell'applauso del pubblico in
sala. Non si è mai capito se ci fosse veramente un sensore o la scala
fosse manovrata da un funzionario RAI sulla base del suo senso dell'udito. |
Garbatella |
Il quartiere di Roma da cui provengono tutti i Jaguars, e al quale sono sempre stati molto legati. Per saperne di più sul popolare, vivace e ora anche alla moda quartiere di Roma: www.rionegarbatella.it |
Roberto Guscelli
(I Satelliti) |
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© Musica & Memoria 2004 / Intervista di Alberto Truffi / Riproduzione non consentita |
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