Continua l'uso improprio della tecnologia, e in particolare della
DTT, per
risolvere problemi di equilibrio del mercato televisivo che, nella
particolare situazione italiana, si intrecciano, addirittura, con la
guida dell'intero paese.
La storia è nota. La televisione digitale terrestre in quanto tale
c'entra poco, è solo un nuovo strumento a disposizione del
duopolio televisivo RAI-Mediaset,
affermatosi a metà degli anni '80 come "stato di fatto" e poi sanato da
una serie di interventi legislativi. Nel corso degli anni e
nell'altalena del potere, che ha visto in maggioranza prevalere gli
sponsor e poi i componenti diretti del suddetto duopolio, si sono
avvicendati anche periodi di prevalenza della parte avversa. E in una di
queste occasioni, diversi anni fa, sono state assegnate mediante gara
le concessioni a trasmettere a livello nazionali. Soltanto che non tutte
le frequenze erano
realmente libere, in parte erano già state utilizzate, sempre come
"stato di fatto", dal gruppo Fininvest-Mediaset.
Alcuni assegnatari delle frequenze, in particolare
La7 (allora Tele Montecarlo) e
Europa 7 (del finanziere Di Stefano) non avevano quindi
disponibilità delle frequenze assegnate. Un po' come l'assegnatario di
una casa popolare che si trova la casa occupata. La7, nel frattempo
acquisita dal gruppo Telecom Italia,
aveva comunque già una copertura nazionale, seppur non completa, e ha
sempre signorilmente evitato ogni protesta. Si suppone però che tale
signorile atteggiamento sia dipeso dalla tradizionale vicinanza dei
vertici della Telecom, pur privatizzata e passata di mano nel corso
degli anni, con il potere politico-televisivo. Europa 7 invece non era
in grado di trasmettere come rete nazionale e aveva come unico asset
l'assegnazione delle frequenze, e si è dedicata quindi ad una attività
legale, anziché imprenditoriale; senza nessun esito in Italia, dove il
duopolio ha continuato a rispondere alle varie sentenze con interventi
diversivi o nuovi provvedimenti legislativi tesi a mantenere la
situazione di fatto.
La DTT è stata appunto in Italia uno di questi interventi diversivi. La
legge Gasparri proponeva una accelerazione del tutto irreale (e
infatti totalmente disattesa) della migrazione al digitale per aumentare
le frequenze disponibili e quindi rendere inutile la cessione delle
frequenze a suo tempo occupate da Mediaset. Come se fossero costruite
nuove case per gli assegnatari delle case popolari al fine di non far
uscire gli occupanti abusivi.
Una successiva sentenza della Corte Europea alla quale aveva fatto
ricorso Europa 7, non trovando
soddisfazione in Italia, aveva avviato una procedura di infrazione verso
il nostro paese, poi sospesa dal DDL Gentiloni,
che avrebbe in teoria risolto ogni problema (vedi)
riordinando tutto il settore. In 15 mesi di iter parlamentare e 20 mesi
di governo del centro sinistra il DDL Gentiloni non è però neanche
arrivato all'esame dell'aula (evidentemente bloccato dal potere di
interdizione del sistema-duopolio, presente anche all'interno
dell'Unione di CS, vedi) ed è
stato quindi anch'esso, nei fatti, una diversione, un provvedimento
"salva Rete 4".
Uscito di nuovo di scena il centro sinistra
nel 2008 e tornato al
governo il centro destra, con alla testa il proprietario di Mediaset, si
poneva di nuovo il problema di trovare una nuova diversione per fermare
la procedura di infrazione, visto che evidentemente il DDL Gentiloni non
esisteva più, era decaduto. Uno dei primi atti del nuovo governo è stato quindi un
decreto legge che tirava di nuovo fuori il passaggio al DTT. In estrema
sintesi si trattava di una sanatoria ulteriore dello "stato di fatto"
con la motivazione che le frequenze analogiche entro pochi anni (il
fatidico e ormai prossimo 2012) sarebbero state dismesse e nel nuovo
mondo digitale ci sarebbero state abbastanza frequenza da soddisfare sia
Europa 7 sia Rete 4. Europa 7 avrebbe fatto ricorso nuovamente, come è
ovvio, ma il procedimento di infrazione sarebbe stato sospeso dalla
necessità di esaminare la nuova legge (un decreto è una legge immediata)
e il duopolio avrebbe guadagnato quei 2-3 anni necessari per arrivare
effettivamente alla diffusione della tecnologia digitale e ad una nuova
distribuzione delle frequenze, non penalizzante per il duopolio stesso.
L'opposizione, ormai rappresentata quasi solo dal Partito Democratico (PD)
ha fatto muro rispetto a questo ulteriore uso improprio della DTT, e il
decreto così com'era stata impostato (peraltro assieme ad altri
interventi di adeguamento comunitari del tutto avulsi) è stato ritirato
in parte. Ma non del tutto, per dar corso alla infrazione e alle
sanzioni (molto pesanti) comminate all'Italia l'autorità antitrust
europea ha dovuto prendere altro tempo per esaminare i punti del DL che
riguardano il sistema televisivo, e in questi giorni (fine giugno 2008)
ha inviato un questionario al nuovo governo italiano per chiedere come
"gli operatori che non sono titolari di una concessione analogica
continuano a trasmettere (e) quali eventuali misure le autorità italiane
intendano adottare per porre fine a tale situazione". Si attende a
questo punto una decisione durante il mese di luglio.
FAQ / Rimangono
forse alcune domande a cui dare risposta.
"Perchè si parla sempre di provvedimenti
«salva
Rete 4»?"
In realtà le frequenze contese sono utilizzate dal gruppo Mediaset nel
suo complesso, Europa 7 non richiede quelle specifiche di Rete 4. ne
richiede un numero sufficiente da consentire una copertura nazionale
come previsto dalla legge di assegnazione. Il riferimento specifico a
Rete 4 nasce da una
sentenza della Corte Costituzionale, che sanzionava la posizione
dominante di Mediaset in quanto proprietaria di oltre il 20% delle reti
nazionale (erano e sono 3 su 12, peraltro teoriche, quindi il 25%). Rete
4 è l'ultima rete acquisita, quindi è quella che ha provocato la suddetta
posizione dominante. All'interno del gruppo
Mediaset Rete 4 è però anche la emittente più debole per ascolti e per raccolta
pubblicitaria e quindi è destinata all'eventuale (e remoto) sacrificio,
anche per puri interessi interni.
"Perchè si associa sempre questo riordino
forzato alla privatizzazione di Rai 3?"
Solo perché in una delle ipotesi di riforma del sistema qualcuno aveva
proposto una diminuzione paritetica a due reti ciascuna sia per Rai sia
per Mediaset. In Rai la Terza rete era (un tempo) la struttura con meno
ascolti, oltre ad essere parzialmente regionalizzata, e da qui l'ipotesi di dismissione. Nel frattempo la rete più
debole è diventata Rai 2, ma si continua "per trascinamento" il
parallelo con Rai 3.
"Perchè Rete 4 dovrebbe andare per forza sul
satellite?"
Si legge ogni tanto che la sentenza europea vorrebbe "spedire Rete 4 sul
satellite" o anche lo stesso Emilio Fede sin persona ul satellite (assurto a
personaggio simbolo della rete con il suo TG volutamente di parte), come
il comandante Raymundo Navarro di Alto
gradimento.
Il satellite era, assieme alla TV via cavo, l'unico
canale trasmissivo alternativo alla TV analogica ai tempi della storica
sentenza della Corte Costituzionale, nel 1994 (vedi),
ed era quindi esplicitamente citato (assieme al cavo, che nessuno
ricorda perché in Italia non è mai entrato nell'uso). Ma nel frattempo sono
disponibili anche Internet e la IpTV e, ovviamente, la DTT. Sicuramente
nessuno avrebbe da obiettare se Rete 4 passasse sulla IpTV o
trasmettesse solo in digitale. Ma la raccolta pubblicitaria e l'apporto
al fatturato Mediaset si ridurrebbe sensibilmente. Esattamente come con
il passaggio su satellite.
"Mediaset non
potrebbe semplicemente ridistribuire le sue frequenze tra le tre reti?"
Se tutte e tre le reti Mediaset cedessero parte delle frequenze in uso
si potrebbero probabilmente liberare risorse sufficienti per consentire
a Europa 7 di partire, annullando le sentenze o con un nuovo accordo (un
arbitrato). Non è evidentemente intenzione del gruppo auto ridursi la
copertura nazionale e quindi le tariffe pubblicitarie, o favorire una
qualsivoglia soluzione di compromesso. In particolare avendo il
vantaggio di un governo amico. E' più conveniente allo scopo la
drammatizzazione della situazione con la ventilata "chiusura di Rete 4"
e il relativo contorno di perdita di posti di lavoro.
"Il duopolio è formato da RAI e Mediaset. Ma
qual è l'interesse RAI a salvare Rete 4?"
Onestamente in tutta la vicenda non si sono mai registrati interventi
diretti della RAI tesi a contrastare Europa 7 o a favorire il
salvataggio di Rete 4. Vedendo la RAI come un soggetto privato la
situazione di duopolio, non essendo più possibile un monopolio, è
comunque preferibile a quella di un oligopolio o ancor più a quella di
una libera ed effettiva concorrenza. In un oligopolio il potere deve
essere spartito tra più soggetti, in un duopolio tra due, e non si può
scendere molto sotto al 50% se non si vuole incrinare l'equilibrio del
sistema. In questa logica anche per la RAI è più conveniente il
mantenimento di una Mediaset con lo stesso peso attuale, o anche un poco
superiore, piuttosto che l'ipotetico affermarsi di un "terzo polo"
televisivo.
"Perchè il sistema televisivo avrebbe una così
forte importanza e influenza sul sistema politico in Italia? Non è così
anche negli altri paesi?"
Il consenso si forma mediante la conoscenza diretta e indiretta della
realtà circostante. Nel mondo attuale, molto complesso e globalizzato,
la quota indiretta è largamente predominante e il mezzo principale di
diffusione delle informazioni è la televisione generalista. Questo vale
per tutti i paesi occidentali, con differenze legate alla cultura e alla
struttura di ciascuno. In Italia lo sbilanciamento a favore del mezzo
televisivo è più forte a causa di: a) minore diffusione dei quotidiani
(e in particolare dei quotidiani popolari); b) maggiore anzianità
della popolazione (e quindi minore propensione a passare ai nuovi media
ed in particolare ad Internet); c) minore presenza di strutture
scolastiche e di assistenza (e quindi maggiore ricorso alla TV come
"baby-sitter") con conseguente induzione di una forte abitudine alla
visione televisiva, all'apprendimento per immagini, alla TV "always-on",
a una quota molto elevata di ore giornaliere di visione televisiva, che
si mantengono anche nella vita adulta. Quel fenomeno che alcuni chiamano
"tele-dipendenza".
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