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Jacques Brel - Monografia

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Uno chansonnier / ... e un poeta / Musica, poesia e la lezione di Brassens / I concerti-evento e la simbiosi con il suo pubblico / Inizio e fine a modo suo / I concerti storici e l'addio alle scene / Una eredità fondamentale sia per la musica sia per la poesia / Jacques Brel tradotto e commentato su Musica & Memoria

Le altre monografie: Billy Eckstine / Billie Holiday / Paul Robeson / Earl Coleman / Herb Jeffries / Johnny Hartman / Russ Columbo / Arthur Prysock / Sammy Davis Jr. / Sarah Vaughan / Yves Montand / Gilbert Bécaud / Marlene Dietrich / Josephine Baker / Charles Aznavour

 

Uno chansonnier

 

“Je suis <chansonnier>, je suis un petit artisan de la chanson”...
Ci ricorda il concetto ripreso da Fabrizio De André qualche anno dopo: “Secondo Benedetto Croce, fino a 19 anni tutti scrivono poesie. Dai 19 in poi, chi continua a farlo, o e' un poeta o e' un cretino. Io preferisco ritenermi un cantautore”.

 

... e un poeta

 

Dunque, Jacques Brel - Schaerbeek, 8 aprile 1929 – Bobigny, 9 ottobre 1978 - del quale eravamo e siamo tutti convinti trattarsi di un poeta, tale non si riteneva. Quantomeno, rispetto ai testi che scriveva per le sue canzoni (eh sì, perché invece le poesie che scriveva – lo erano anche per lui). In tal senso egli disse: “La canzone non è né un'arte maggiore né un'arte minore. Non é un'arte. É un campo molto povero, perché imbrigliato da tutta una serie di discipline. Io vi sfido a esprimere chiaramente un'idea benché minima in tre strofe e tre ritornelli... Fare una poesia vuol dire sedersi, prendere una penna e lasciarsi guidare dalla propria immaginazione. Il verso libero offre una grandissima libertà. Anche l'alessandrino pone meno costrizioni rispetto alle discipline che reggono la canzone. D'altronde, la musica, che è una cosa meravigliosa e per la quale ho il massimo rispetto, perde gran parte delle sue qualità a partire dal momento in cui la si mette a servizio del testo. Non c'è niente di più fastidioso che mettere una nota sotto una parola...”

 

Musica, poesia e la lezione di Brassens

 

Soffermiamoci sulla prima parte del discorso, quello relativo al testo – e comunque, in un secondo momento Brel si correggerà, ammettendo di riuscire talvolta a esprimere dei “climi poetici” - dobbiamo tener conto di un fatto molto importante, tutto interno alla tradizione musicale francese del Novecento e soprattutto del secondo dopoguerra: a differenza della musica popolare italiana (ma non quella napoletana), britannica o americana, nella canzone francese la poesia, quella con la “p” maiuscola, ha un suo forte radicamento; numerosi compositori hanno, infatti, musicato liriche di poeti anche strafamosi, come se in Italia parlassimo di Quasimodo, Ungaretti, Saba, Montale, Luzi. Ne citeremo alcuni: Jean Cocteau, che scriveva a getto continuo; Aragon e Hahn, tanto cari a Leo Ferré; Verlaine, Max Jacob cantato da Charles Trenet, e che dire di Jacques Prevert e le “Les feuilles mortes”, interpretate da Yves Montand e Juliette Greco, per citare almeno due grandi nomi. E poi ci sono i versi (o gli scritti) di Queneau, Sartre, della Sagan.

Certo, George Brassens ha messo in musica propri versi, nati tali (e pubblicati addirittura nei “Poètes d'aujourd'hui”), ma evidentemente Brel, nella sua – oseremmo dire – fanatica onestà e rispetto della verità non se la sente di porsi sullo stesso piano.

 

I concerti-evento e la simbiosi con il suo pubblico

 

Però, però, però... c'è un'altra verità. Vera come la prima. Una cosa è il Brel che, dopo avere composto una canzone, la canta in sala d'incisione. Ben altra – come assicurano quanti lo hanno visto dal vivo, e come si riesce a intuire dai filmati – è il Brel quando la interpreta dal vivo. Qui, infatti, egli è un'altra “cosa”: la sua canzone (testo e musica) non è solo ciò che si ascolta, ma anche ciò che si vede. E cosa si vede? Un artista, nel vero senso della parola, che si esprime con tutto se stesso; con la voce (forse) innanzi tutto – ammaliatrice e sinuosa, tormentata e impetuosa, tenera e nervosa - ma anche con gli occhi, la mimica, la gestualità, le mani, lo sbracciarsi, il corpo. Una performance inaudita, che non ha avuto e non ha eguali, in Francia come nel mondo. Non per nulla, i suoi concerti non duravano più di un'ora e senza “bis”: ecco dove risiede quella poesia che l'Autore stesso non vede. E tantomeno può vedere quando è sul palco, dove si “sda” totalmente al pubblico. Si dà a tal punto che dopo soli quindici anni, a base di un concerto a sera o quasi, si ritira per “riposarsi” col teatro e con il cinema: da attore, autore, regista e compositore di colonne sonore.

 

Inizio e fine a modo suo

 

Dopo la “parentesi” teatral-cinematografica, torna a scrivere canzoni per sé e a incidere; per poi “sdarsi” invece nei pochi anni che gli resteranno da vivere, in un'esistenza relativamente avventurosa in giro per il mondo in aereo e con un veliero, che lo porterà a vivere e morire (tecnicamente, a Parigi, all'ospedale di Bobigny) sull'isola di Gaugin, Hiva Oa, nell'Arcipelago delle Marchesi, in Polinesia.
Nei tre lustri di iperattività ci sono gli inizi nel nativo Belgio, il casuale incontro a Parigi, dapprima coll'impresario Jacques Canetti (fratello del famoso romanziere), quindi grazie a lui, con Juliette Greco che immediatamente “crede” in questo giovane stralunato e dinoccolato dagli occhi grandi, perennemente sorpresi e increduli, come lo fotografò la "musa" degli esistenzialisti.

 

I concerti storici e l'addio alle scene

 

Lo sceltissimo pubblico dell'Olympia avrà modo di rivederlo nel 1964, quando Brel eseguirà per la prima volta la dirompente “Amsterdam”, e nell'ottobre del 1966 (con il programma di sala che pubblica uno scritto di Georges Brassens), al momento del suo addio alle scene – a cui nessuno crede; ma si ricrederà, perché a differenza di tutti i suoi colleghi (solo Mina, in Italia, ne ha seguito l'esempio) non si farà più vedere dal vivo, con Charles Aznavour a tampinarlo pregandolo di rivedere la decisione... In precedenza, dal '65, Brel compie una tournee di cinque settimane in Unione Sovietica e tiene un concerto alla Carnagie Hall (il “New York Times” titola “Un magnifico uragano”). Dopo l'Olympia, come da contratto, si reca alla Royal Albert Hall di Londra, ottenendo un niente affatto scontato successo. E qui Jacques Brel mette il punto definitivo.
Ad essere sinceri, una rentrée ci sarà, ma come regista e protagonista della commedia musicale “L'Homme de la Mancha”, da lui adattato in francese (il libretto originale è dello statunitense Joe Darion). I “brelologi” più attenti diranno che “Don Chisciotte gli serve per recuperare, attraverso un personaggio mitico, il bambino, il folle avventuriero, il sognatore, l'innamorato frustrato che sempre portò dentro di sé alla ricerca della "inaccessibile stella" a cui allude il brano centrale della pièce, “La quête” (La meta)”.
Segue, come già detto, il periodo cinematografico, con nove film di cui uno con Cayette ed uno con Lelouche, mentre di due sarà sceneggiatore e regista. Tra cui il divertente L'emmerdeur di Molinaro con Lino Ventura, dove Brel interpreta con molta autoironia il personaggio del titolo, e che ha avuto un remake hollywoodiano di Billy Wilder (Buddy & Buddy) dove nella sua parte c'era Jack Lemmon (e ovviamente Walter Matthau in quella del gangster).

 

Una eredità fondamentale sia per la musica sia per la poesia

 

Nel 1974 torna a comporre per sé e a cantare, ma solo in sala d'incisione.
Rispetto ad alcuni – pochi - cantautori, francesi e italiani, Jacques Brel non ha lasciato moltissime canzoni, è comunque un numero del tutto rispettabile: oltre 150. In compenso nessuno ha avuto il suo seguito nel mondo: sono intorno ai tremila gli interpreti delle sue canzoni, in un centinaio di lingue, più qualche centinaio di versioni strumentali. L'elenco dei cantanti che si sono misurati con le sue chanson è lunghissimo; ne enumererò alcuni, i piu' noti: Marlene Dietrich, i francesi Greco, Holiday, Dalida, Barriere, M.Mathieu, gli italiani Paoli, Gaber, Sentieri, Sarti, Battiato, Vecchioni, Lauzi, Gianmaria Testa, Vanoni, Milly, Milva, Zanicchi, Cinquetti, Casale, Pravo; il meteco Herbert Pagani, i britannici Bowie, Sting, S.Bassey, D.Springfield, Humperdink, T.Jones, S.Shaw; la canadese C.Dion, gli spagnoli Domingo e J.Iglesias; la greca N.Mouskuri e la tedesca U.Lemper, gli americani Sinatra, R.Charles, S.Cooke, J.Mathis, H. Merrill, E.Kitt, D.D.Breadgewater, L.Minelli, P.Bailey, B. Streinsand, N.Simone, S.Horn. Infine, il dalmata Arsen Dedić (a cui, nel 1979, è stato assegnato il prestigiosissimo Prix Brel), la slovena Vita Mavrič e, ma solo in concerto, la l'attrice e cantante spalatina Ksenija Prohaska.

 

Jacques Brel tradotto e commentato su Musica & Memoria

 

Grand Mere / Quand on n'a que l'amour / Les bourgeois / Le plat pays / Les bonbons / La chanson des vieux amants / Ne me quitte pas / Il nous fat regarder / Je t'aime / Sur la place / L'homme de La Mancha

 

Note

 

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© Sandro Damiani per Musica & Memoria - Settembre 2016 / Riproduzione anche parziale della monografia non consentita

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