Probabilmente, non è stato il più
grande cantante americano, ma „solo“ uno dei più grandi. è certamente stato,
però, il personaggio più singolare dello show-biz d'Oltroceano.
A tal punto, singolare, che non pochi grandi media, fuori dagli USA,ancora non
se ne sono accorti. Avete presente la classica trave nell'occhio? Beh mica la si
vede, né coll'occhio sano né tanto meno con quello...travato. Ma quando ci avrà
lasciato, siatene sicuri, se ne parlerà a lungo. Nel concreto, sto pensando
anche alla miopia di Wikipedia, ove Jeffries non compare se non nelle pagine
americane, tedesche e finlandesi. Comunque
l'assenza da quelle italiane non ha nulla di strano. Infatti, la nostrana
“redazione” dell'enciclopedia telematica – e non solo per quanto concerne le
pagine musicali - è fatta per lo più da giovani poco curiosi rispetto al passato
e a quei tantissimi personaggi che con la propria presenza, arte, notorietà
l'hanno egemonizzato e, che è più importante, plasmato.
Ma torniamo a Jeffries. O Jeffries, o Jeffrey, o Jeffereis. Fa lo stesso: lui,
per lo meno, non ha mai fatto storie su come scrivono il suo cognome (d'arte: e
non c'è verso di sapere da dove l'ha preso).
Allo stato attuale –
gennaio 2010 - l'Uomo è vicino al secolo di vita. Le biografie che lo
riguardano, in tal senso sono propense alla mitologia: c'è chi lo da per nato ne
1911, chi nel 1913, chi nel 1914 e chi nel 1916. E lui? Zitto. Alle feste di
compleanno ringrazia, specie a quelle degli ultimi dieci, quindici anni, canta e
recita qualche poesia (Herb non è solo un musicista ed ex attore, ma anche
poeta, sceneggiatore, regista cinematografico), idem dicasi alle
serate-concerto... Che negli ultimi anni sono diventate numerose, perché da
quando a uno dei bisnipoti è nata una creatura affetta da autismo, egli è in
prima fila nell'organizzazione di serate di beneficienza per raccogliere danaro
che poi mette a disposizione delle associazioni umanitarie che si occupano di
questa difficile patologia.
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Procediamo con ordine.
Herb Jeffries nasce come Umberto
Alessandro (o Alejandro) Ballentino un 24 settembre (mettiamola così:
tra il 1911 e il 1914), in un ghetto multietnico di Detroit, nel
Michigan, città, all'epoca di meno di mezzo milione di abitanti,
capitale mondiale dell'automobile (non per sbaglio, in seguito,
gemellata a Torino), luogo di ricchezze e miserie, entrambi
inenarrabili. Sua madre è di ascendenze irlandesi-franco-canadesi
(Bianche e Nere).
Il padre, invece, è siciliano con radici arabe: „Chi –
dirà Herb in un'intervista – tra quanti sono nati nel Mediterraneo a
metà dell'Ottocento, non ha nel sangue elementi moreschi?“. Ben presto
rimane orfano di padre e la madre si sposa con un etiope, appassionato
di jazz, un amore che il patrigno trasmetterà al giovane Umberto,
peraltro dotato di una bella e melodiosa voce tendente al tenorile
all'italiana. A differenza dei suoi coetanei afroamericani,
Umberto-Herbert non comincia a cantare in chiesa, ma nei complessini
della città.
Nel 1930, il mezzosangue
siculo-africano-irlandese-franco-canadese viene notato dal violinista e
band-leader Erskine Tate (1895-1978) e preso nella sua orchestra al
Savoy Dance Hall di Chicago. Ma è l'anno dopo che compie il grande
passo: entra nella favolosa band di Earl Fatha Hines (1903-1983), culla
di immensi cantanti: a cominciare, giustappunto, da lui, per passare a
Billy Eckstine (1914-1993) e Sarah Vaughan (1924-1990), Earl Coleman
(1925-1995) e Johnny Hartman (1923-1983), fino alla newyorkese di
origine croata Helen Merrill (1930), da una decina di anni prima
female singer del panorama jazzistico bianco.
Vive e lavora a Chicago, dunque, in un Club-Ballroom ovviamente di
proprietà di Al Capone (1899-1947). A questo punto invito i lettori ad
aiutarmi in una ricerca per sapere cosa pensasse di questo oriundo
italiano che canta in un'orchestra di Neri, il più famoso gangster
americano...
Ed è cantando con Fatha che lo nota Duke
Ellington (1999-1974), il quale gli darà qualche dritta sull'impiego
della voce: lascia perdere, gli dice, le coloriture tenorili
all'italiana - sono anni in cui vanno forte gli eredi italoamericano di
Enrico Caruso (1873-1921) e del maggiore vocalist del momento, Russ
Columbo (1908-1934) - sviluppa i toni baritonali.
Con il virtuoso pianista di Pittsburgh, l'appena ribattezzato Herb
Jeffries rimane un paio di anni, quindi entra nel gruppo di Blanche
Callowey (1904-1978), che opera prevalentemente a Los Angeles, sorella
del primo grande showman afroamericano, Cab (1907-1994), il quale ha
avuto più imitatori di qualsiasi altro cantante del tempo: è a lui, ad
esempio, che si deve la nascita, in senso artistico, del mitico Billy
Eckstine. Infatti, il futuro Mr.B entra in arte grazie alla vittoria
conseguita ad un concorso per giovani dilettanti, in cui fa l'imitazione
(canta, balla, intrattiene il pubblico) del già allora leggendario Cab
Callowey. (Invito, chi non lo avesse fatto, ad andare a vedere il film
“Cotton Club” di F.F.Coppola del 1984, in cui Larry
Marshall veste i panni di Cab). (e anche
Blues Brothers di John Landis, dove
Cab Calloway recita e canta di persona).
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DETROIT E LA MUSICA
E appena dagli anni Quaranta che la città posta sul confine terracqueo
americanao-canadese diventa un centro musicale di una certa importanza.
Ancora non offre grandi nomi, tuttavia il rampante capitalismo cittadino
vuole costruirsi un'aura artistico-culturale ed edifica numerosi centri
dedicati alla musica e in generale all'arte scenica.
Come il DTE Energy Music Theatre e il
Palace of Auburn Hills,il Detroit Theatre District, il Fox Theatre, il
Masonic Temple Theatre, il Detroit Opera House ed il Fisher Theatre,
mentre l'Orchestra Hall diverrà la sede della Detroit Symphony
Orchestra.I l genere musicale che va per la maggiore è ovviamente quello
espresso dalla creatività degli Afroamericani, che in maggioranza
occupano l'industria automobilistica.
Dunque, tanto blues. Per esempio, con John
Lee Hooker e un mare di sconosciuti bluesmen, grazie a cui nascerà nei
Sessanta la casa discografica Motown Records, da cui fuoriescono i Four
Tops e i Temptations, Smokey Robinson e Diana Ross, Marvin Gaye e Aretha
Franklin, fino a Stevie Wonder, ma non vanno dimenticati i grandij
azzisti Alice Coltrane e Kenny Hagood, Curtis Fuller e Frank Rosolino.
Dove attecchisce il blues non può non
arrivare a ruota il rock, specie quando la segregazione razziale è
oramai un pessimo ricordo. Ed ecco che Detroit offre alla scena musicale
giovanile gente del calibro di Alice Cooper, i Kiss e Bob Seger, per
esempio. E che dire di Madonna, originaria appunto di Detroit, dove, per
sua ammissione, ha cominciato ad ascoltare e amare la musica nera che
seguiva con le sue amiche di colore... Quasi dimenticavo Sonny Bono,
cantante, autore, e arrivato al top della fama negli anni '60 assieme
alla moglie Cher. Oggi, infine, Detroit – culla del Garage Rock -
esprime gente come i White Stripes, Von Bondies, i Dirtbombs e gli
Electric Six.
Sotto il profilo organizzativo, invece, la
città è sede di fondamentali appuntamenti musicali di tutti i generi: il
Ford Detroit International Jazz Festival, l' Electronic Music Festival,
il MotorCity Music Conference (MC2), l' Urban Organic Music Conference,
il Concert of Colors e l' Hip-hop Summer Jamz Music Festival.
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Una volta giunto al successo nel mondo
della musica, il pur acclamato cantante comincia a sognare una carriera
nel mondo della celluloide. A fargli compiere il passo – è lui stesso a
dichiararlo, molti anni più tardi – sarà un ragazzino di colore, che in
una stradina della metropoli californiana piange in un angolino, mentre
i suoi coetanei si divertono più in là. „Che c'è, non ti fanno
giocare?“. No, no, sono miei amici, ma siccome giocano ai cow-boys, per
me non c'è posto, perchè cow-boy neri non sono mai esistiti“.
Non è esattamente così. Il mondo parallelo
dei Neri d'America ha prodotto anche film western con personaggi di
colore, ma si tratta di film che non sono mai approdati in sale
frequentate da bianchi, che nessun Bianco ha mai visto. Inoltre,
l'America bianca – passeranno decenni e decenni, prima che avvenga – non
sa nulla dell'epopea Nera durante la Rivoluzione, la Guerra di
Secessione e la Conquista del West. A proposito di questa
cinematografia, erroneamente definita di “Serie B” (B Movie), che ha
prodotto oltre 500 pellicole tra il 1915 e il 1950 – Race Movie, altro
nome – essa ha i propri produttori, registi, attori, ballerini,
cantanti. Tra i grandi artisti afroamericani che vi si sono cimentati
ricordero' Paul Robeson (nel
1927 in “Body and Soul”).
Per tornare al ragazzino di prima, la sua generazione non ha un Tom Mix
(1880-1940) o un Buck Jones (1891-1942).
Herb Jeffries glielo vuole dare. Trova sia l'idea con cui fare breccia
che i capitali. L'idea? Film western, ovviamente, ma musicale e “all
black”. Le storie sono naturalmente molto sempliciotte; più
interessanti, invece, le canzoni: un geniale pastrocchio che sposa
western, country, blues e jazzy. E mentre il protagonista canta, i suoi
amici pistoleri ballano il tipa-tap. Ma non diciamo “alla Fred Astaire”:
è infatti il geniale attore e ballerino bianco americano che balla
“alla” loro maniera...
C'è un problema. In giro non c'è un solo
attore-cantante colored che abbia una personalità tale da diventare
l'idolo di masse di giovani Neri dei ghetti, degli angiporti, delle
acciaierie, dei campi, dei cantieri. Non mancano gli attori, i cantanti,
i ballerini, i musicisti: manca il "divo".
Non c'è? Lo si inventa. è lo stesso Herb. Ma è troppo “chiaro”, e i suoi capelli
sono troppo lisci. Come farlo passare per Nero? Già! Il fatto che lui si senta
Nero non significa alcunché. (Tutt'al più è un creolo). Dunque? Jeffries non si
scoraggia: „Con un po' di cerone sarò meno chiaro e i capelli li camufferemo con
l'ondulazione e sotto un bel cappellaccio“.
Non c'è? Lo si inventa. E lo si inventa
nella persona di Herb. Ma è troppo “chiaro”, e i suoi capelli sono
troppo lisci. Come farlo passare per Nero? Già! Il fatto che lui si
senta Nero non significa alcunché. (Tutt'al più è un creolo). Dunque?
Jeffries non si scoraggia: „Con un po' di cerone sarò meno chiaro e i
capelli li camufferemo con l'ondulazione e sotto un bel cappellaccio“.
è il 1937: esce „Harlem on the Prairie“.
Un successo senza precedenti! Per l'occasione Herb cambia nome in
Herbert Jeffrey. Nei due anni a seguire ecco „Two Gun men from Harlem“ e
„The Bronze Buckaroo“ (evidente il richiamo all'eroe bianco del momento,
Buck Jones), quindi è la volta di „Harlem Rides the Range“. Herb diventa
così il primo grande eroe del West cinematografico per tutta una
generazione di giovani Neri, quella stessa generazione che, dieci anni
dopo, tra i Quaranta e i Cinquanta, crescerà ascoltando e suonando
be-bop e scoprirà l'Africa e l'Islam, finché - organizzata e visibile –
si batterà per ottenere tutti quei diritti che l'America Bianca ha
sempre negato ai figli degli schiavi africani. Ovviamente, quasi tutte
le canzoni che Herb canta nei quattro film, sono state composte da lui
stesso. |
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“Chi ti credi,
Al Jolson?”: così lo aveva apostrofato, ma con amicizia e simpatia, il
grande Duca, già al loro primo incontro a Chicago.
Al secolo Asa Joelsen (1886-1950), passato alla storia come Al Jolson,
uno jiddish lituano, è stato l'uomo che ha cominciato ad avvicinare il
mondo dei Bianchi e soprattutto Broadway al jazz. Jazz che lui ama sin
da quando nel 1905 l'ha sentito la prima volta, anche se all'epoca si
trattava di un jazz ai primordi, più ragtime con venature blues che
altro. Al Jolson, tra gli anni Dieci e i Quaranta, è la più famosa e
pagata star del teatro musicale newyorkese. E quando nel 1927 la Warner
Bros decide di girare il primo film sonoro in assoluto, ingaggia questo
straordinario artista e controverso personaggio (conservatore, ma
estimatore dei Neri e della loro tradizione) e gli affida, ovviamente,
la parte di protagonista nel film “Jazz Singer” - Il cantante di jazz,
in cui in pratica fa sé
stesso, cioè il Bianco che si innamora della tradizione musicale Nera e
per meglio interpretarla si trucca da Nero! E canta sei o sette canzoni.
Inutile aggiungere che il film raggiunge immediatamente vette
stratosferiche di pubblico e il jazz, sebbene per due decenni
edulcorato, fa il suo ingresso nel mondo dei Bianchi.
Ma
torniamo a Herb – che ormai il Sistema ha definitivamente deciso di
cancellare, specie ora che si è addirittura „pittato“ di nero per
sembrare un afro-americano ed ha rifiutato le offerte di Buck Jones di
lavorarci insieme, ma da cow boy “bianco”. Jeffries è un inquieto, uno
curioso, pieno di appetiti di ogni tipo. Va bene il cinema, ma riprende
anche con la musica. Il mondo del jazz lo accoglie a braccia aperte.
Dirà di sé
: “All'inizio la cosa era buffa: per i Bianchi ero un Nero. Per alcuni
Neri ero un Bianco che si truccava da Nero...”.
Nel 1940-41 eccolo incidere con il
sassofonista Sidney Bechet (1897-1959), ma soprattutto eccolo, per un
triennio, con il geniale Duke Ellington, che da poco è stato lasciato,
dopo oltre dieci anni di fortunatissimo sodalizio, dal cantante cieco Al
Hibbler (1915-2001) ed ha bisogno di un vocalist carismatico per
fronteggiare la Band di Earl Hines, forte di Mr.B (Eckstine), mentre
Count Basie (1904-1984) vanta Jimmy Rushing (1901-1972) e in talune
occasioni Billie Holiday (1924-1959).
Con il Duca, Herb incide e suona nelle Ball Room. A
proposito del rapporto tra i due, o meglio della felice influenza che il
compositore ha sul cantante, Jeffries ricorda che “quest'uomo in tale
misura mi hasempre ispirato che a oltre quarant'anni, sebbene già ricco
e famoso, ripresi ad andare a scuola per terminare le medie superiori
che non avevo potuto neppure frequentare, quant'ero povero“. |
Q: So are you black or white?
A: I'm all colors, like everyone else. If we all go back 10 or 15
generations, we don't know what we have in us. I don't think there's one
person from around the Mediterranean who doesn't have Moorish blood. I
have Sicilian blood, and I have Moorish blood. I am colored, and I love
it. I have a right to identify myself the way I do and if nobody likes
it, what are they going to do? Kill my career? |
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Flamingo |
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Siamo nel 1941, il gigantesco cantante di Detroit (poco
meno di 1,90), più che Nero, sedicente Nero (in questo ci ricorda il
clarinettista jiddish, Milton Mezz Mezzrow, 1899-1972, autore del primo
libro sul mondo del jazz visto dall'interno – Really The Blues, del 1946
– il quale, pretese dalle autorità di New-York di scrivere sui suoi
documenti, alla voce razza - „Negro“) durante un'esibizione viene
avvicinato da un tizio, goffo, timido, che gli porge uno spartito
pregandolo, con accento francese, di farlo leggere a Ellington. Herb lo
fa. Duke lo passa al suo pianista e arrangiatore Billy Strayhorn.
Gli piace, ma la versione musicale che ne viene fuori non convince il
discografico di fiducia del Duca e allora questi fa scrivere un testo al
suo partner Edmund Andersen e lo passa a Herb. Lo incidono. Nello spazio
di due settimane è uno hit senza precedenti.
Nel 1950 il Duca e Billy Strayhorn incidono una versione per pianoforte
a quattro mani: un bellissimo esercizio di stile. L'anno dopo, uno dei
pionieri del R&B, il sax tenore Earl Bostic (1913-1965) registra una
memorabile „Flamingo“, che ascoltata oggi si direbbe incisa in pieno
funky-rock. Nel 1953 esce la versione del sax tenore Benny Carter
(1907-2003). Nel 1966 è la volta del trombettista bianco californiano
Herb Alpert(1935) con i suoi Tijuana Brass.
Ultima lettura, in ordine di tempo, invero eccezionale, risale al 1996 e
ne sono artefici il pianista Michel Petrucciani (1962-1999), il
violinista Stephane Grappelli (1908-1997), la sua ultima incisione:
pochi mesi dopo, muore a quasi novant'anni; il batterista Roy Haynes
(1925), già percussionista dei più grandi jazzisti degli anni che vanno
dai primissimi Cinquanta in poi, e il contrabbassista boemo George Mraz
(1944). |
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FLAMINGO
„Flamingo“ è del compositore romeno,
nato a Bucarest, Theodor Gruja (1910-2000). Il quale, grazie
all'immediato successo e al talento si costruirà una bellissima
carriera di autore di colonne sonore cinematografiche e televisive,
oltre che di canzoni. Il Gruja, negli USA studia con Nadia Boulanger
(mica l'ultima arrivata: la prima insegnante di piano e composizione
di Aaron Copland e Quincy Jones!). „Flamingo“, che dal 1941 ad oggi
– dicembre 2009 – ha venduto oltre cinquanta milioni di copie – ha
avuto numerose versioni. La più nota, ovviamente, quella di Herb
Jeffries con la Band di Duke Ellington, di cui viene girata una
clip. Due anni dopo esce la „lettura“ del trio formato dal sax alto
Johnny Hodges (1906-1970, già presente nell'incisione con Jeffries),
dal pianista Eddie Heywood (1915-1989) e dal batterista Shally Manne
(1920-1984). La versione Jeffreis - Ellington ha venduto, fino ad
oggi, 14 milioni di copie!
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Nell'immediato dopoguerra Jeffries
raffredda un tantino i suoi rapporti con la musica, sebbene sarebbe invece il
momento di darci dentro: non solo la gioventù USA, ma tutto il mondo vuole
cantare, ballare, divertirsi, dimenticare gli orrori dei sei anni di guerra da
poco alle spalle. C'è da dire che per lungo tempo sarà lontano da tutto e da
tutti a causa di un incidente aereo. Resta in vita, ma a pezzi. Si salva, pare,
perché – avendo conosciuto il guru bengalese Paramahansa Yogananda (1893-1952) –
si cura attraverso, diciamo così, procedimenti spirituali, preghiere. è questo
un momento della sua vita, in cui Herb abbraccerà, e ci rimarrà per sempre, il
mondo dello yoga e della spiritualità indiana.
Herb incide, quasi per dovere di firma.
Lo fa con la band del sassofonista Lucky Thompson e con l'Orchestra di Russ
Garcia. Ma apre pure due Night club: uno a Los Angeles (Black Flamingo) e uno a
Parigi, dove si reca ininterrottamente per un decennio (The Flamingo). Canta
anche con Tommy Dorsey...
La sua fama è sempre alta, al punto che
nel 1950 esce un album in cui è in coppia (separata) con Sarah Vaughan, già
diventata “terzo polo” canoro, dietro alla Holiday (1915-1959) e la Fitzgerald
(1917-1996). Gira anche alcuni film, episodi di serial televisivi e documentari.
Inoltre, inizia ascrivere: sceneggiature, ma anche poesie.
Nel 1967 scrive e dirige il suo unico film: „Mondo depravato“. Tra l'altro, è
l'anno del divorzio dalla sua terza moglie, protagonista femminile della
pellicola: Tempest Storm (1928), nota per avere „il più bel davanzale di Las
Vegas“: frasetta ipocrita e perbenista che sta per dire che aveva un paio di
tette da urlo! La Storm è una travolgente stripteaesette e cantante-cabarettista
burlesque che per mezzo secolo ha regnato sulla città dei casinò, ed ha fatto
impazzire il gotha hollywoodiano. Con Herb rimase oltre otto anni: amore (e
sesso) travolgente! E una figlia.
A proposito di vita familiare, Herb ha avuto cinque o sei mogli (le biografie
sono fumose, lui pure...). Ha numerosi figli, nipoti, pronipoti e pro-pronipoti:
è trisnonno.
Le presenze musicali dagli anni Cinquanta si fanno più rade – l'avvento del R&R
e del R&B ne assottigliano l'uditorio, come succede per tanti altri grandi,
inoltre sono anni di ritorno di fiamma del razzismo e del segregazionismo. Da
qui, anche da qui, l'apertura di un nuovo fronte di interessi per questo artista
a tutto campo: la lotta per i diritti civili degli Afroamericani e di tutti i
“camaleonti” come lui.
„Sono nato in pieno odio razziale e nella segregazione, alla fine ho visto
sedere sulla poltrona di Lincoln un Nero. Non ci sono milioni che mi potrebbero
ripagare di quanto ho vissuto“: ha detto recentemente, quando oramai è
considerato un monumento vivente – d'altronde a quasi un secolo di vita, lucido
come un ventenne, continua a cantare. E a incidere. Nel 1978, forse spinto
indirettamente da Billy Eckstine, del quale era uscito un doppio album dal
titolo "The MGM Years": Dieci anni di successi trai Quaranta e i Cinquanta”,
registra un album contenente numerosi hit di due dei suoi più noti colleghi e
concorrenti del passato. Il titolo è: If I Were the King – I Remember the Bing,
allusione a Nat King Cole (1919-1965) e Bing Crosby (1903-1977). Ma poi ci sono
canzoni portate al successo dal già citato Mr. B, Perry Como (1912-2001), Tony
Bennet (1926, che lui aveva lanciato, come fece con Pearl Bailey, 1918-1990, e
Harry Belafonte, 1927).
Nel 2000 ha dedicato un album al Duca: „Duke and I“, in cui canta i pezzi che
eseguiva con la band del geniale Bugiardo di Washington. Qualche anno prima,
l'Amministrazione Clinton lo ha proclamato „National Tresaure“; quella retta da
Bush, per non essere da meno, nel 2004, gli dedica una serata alla Casa Bianca,
alla presenza del quartier Generale politico dell'Establishment statunitense,
con un Colin Powell, commosso: „Da bambino ero orgoglioso – gli ha detto –che
anche noi Neri avessimo il nostro eroico cow-boy“.
Gli anni Duemila gli portano tante altre soddisfazioni. I suoi film
western-musicali e il suo personaggio (Bob Blake) entrano nei musei nazionali
dedicati alla cinematografia sul Far West e ai cow-boy (cosa di cui noi europei,
vecchi scettici, un po' ridiamo,ma per gli statunitensi si tratta della loro
storia, romanzata, ma storia). Egli stesso riceve gli onori che in altri anni
avevano premiato i Gary Cooper, Randolph Scott, John Wayne, James Stewart,
Gregory Peck). Tra queste onorificenze non puo' mancare la Stella sul Boulevard
di Hollywood.
Chi è/è stato Herb Jeffries? Di sé ha
detto: "I belong to the human race. We all do. I'm a chameleon. I can do
anything I want”.... Lo ha dimostrato.
Che voce aveva, ha? I documenti sonori non mancano. Mr. Flamingo ha inciso
con varie label, tra cui: Columbia, Victoria-RCA, Mercury, Decca, MGM.
Che voce aveva? Dire “bella” è dire poco.
Dire “come pochi”, anche. Siamo nelle altissime sfere. Laddove siedono Eckstine,
Hartman, Crosby, Armstrong, King Cole (un poco più sotto, Sinatra). Come nel
calcio: a chi piace Pelè, a chi Di Stefano, a chi Cruiff o Maradona. Siamo
comunque nell'empireo...
Recentemente negli USA è
uscita una sua biografia, scritta da un prolifico scrittore e
“ritrattista”: Raymond Strait (classe 1959), altro personaggio
bizzarro: già cantante jazz con Lionel Hampton (1908-2002), ha
scritto biografie di Jayne Mansfield, James Garner,Bob Hope, Alan
Alda, Rosemary Clooney, Mario Lanza, Lou Costello... Il libro
dedicato a Jeffries si intitola semplicemente “Autobiography”.
Numerosi sono i video o “corti” aventi per protagonista Jeffries.
Segnaliamo “That's black Entertainment” e “A Colored Life: the Herb
Jeffries Story”.
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Curiosità: L'album “Fleur”
di Franco Battiato contiene una canzone scritta da Herb Jeffries: J'entends
Siffler Le Train
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Piuttosto che
pubblicare una discografia completa, forzatamente infarcita di edizioni fuori
catalogo e spesso introvabili, preferiamo pubblicare l'elenco degli album
storici di Herb Jeffries disponibili su iTunes, spesso a prezzo proporzionale
(ma perché i contenuti sono in mono e con un udibile autentico fruscio
"vintage"). Quelle che compaiono su Allmusic,
Wikipedia, Discogs, Yahoo Music e simili sono peraltro parzialissime e con
titoli spesso non più reperibili.
Herb Jeffries Volume 1 (brani di vari periodi)
Jamaica (le canzoni composte da Jeffries per
il musical Calypso Joe del 1957, ovviamente ambientato in Giamaica, album molto
interessante: per saperne di più si può leggere la buona recensione su iTunes)
Nat King Cole Songbook (interpretazioni di
diversi brani molto noti di Cole)
I Remember The Bing (Edizione originale)
I Remember The Bing (Rieditato 2005)
If I Were King (interpretazioni di diversi
brani molto noti di Nat King Cole)
What's New (un greatest hits del 2007)
Croons The Hits (altra greatest hits del
2009, con 18 brani)
Ovviamente, per ascoltare Herb Jeffries c'è anche YouTube. Ecco alcuni video
selezionati tra quelli disponibili sul portale.
"Flamingo" con
la Duke Ellington Orchestra |
Performance in un festival jazz nel
1989. |
Da
"Two Gun Man From Harlem" 1938 |
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