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"Per un vero fotografo una storia non è un indirizzo a cui recarsi con delle macchine sofisticate e i filtri giusti. Una storia vuol dire leggere, studiare, prepararsi. Fotografare vuol dire cercare nelle cose quel che uno ha capito con la testa. Bisogna capire cosa c'è dietro i fatti per poterli rappresentare. La fotografia - clic! - quella la sanno fare tutti" (Tiziano Terzani) In una
sezione del sito dedicata al mondo delle immagini abbiamo esaminato gli
accorgimenti che aiutano ad ottenere una foto
tecnicamente buona. Una immagine che sarà guardata senza
deformazioni, ovvero senza che l'attenzione sia distolta da difetti tecnici
(troppo chiara, troppo scura, sfocata, mossa, con colori innaturali, con
elementi di disturbo, storta...). E' impossibile parlare di fotografia
e immagini, anche se puntiamo alla massima semplicità e sintesi, come se fosse
un mondo unico; le osservazioni e gli accorgimenti variano a seconda del
genere di foto che si vuole fare. Se ne possono elencare molti, ma
per la maggior parte si tratta di settori specializzati, che richiedono una
preparazione e una attrezzatura specifica (macrofotografia, foto di moda, foto
di animali in libertà, foto di architettura, ecc.). Può sembrare banale, ma è più facile ottenere una bella foto partendo da un bel soggetto; fare un bel ritratto a una bella ragazza o a un bell'uomo, magari fotogenici e con un viso interessante, è certo più facile che farlo a qualcuno con un viso irregolare o poco propenso a posare. Così come ricavare foto di reportage interessanti in un evento molto importante e molto insolito, magari in un paese lontano, è più facile che ricavare qualcosa da una situazione di routine, come una Domenica mattina in città. Per non parlare del paesaggio, che si propone così com'è al fotografo, che può certo introdurre ulteriori mediazioni, ma sarà sempre più facile trarre immagini interessanti da panorami insoliti e maestosi come quelli delle Isole Aran in Irlanda, piuttosto che da un luogo anche affascinante a suo modo, ma ben difficile da rendere in fotografia, come ad esempio la pianura Padana. Quindi il primo passo per arrivare a una bella foto è partire da un bel soggetto. Il che può anche essere letto all'incontrario, un bravo fotografo si può vedere anche da cosa riesce a ricavare da un soggetto difficile. Pur se bisogna essere consapevoli e all'occorrenza rinunciare o ripiegare su particolari o aspetti diversi o inaspettati, per evitare di ricadere nella nota situazione fotografica chiamata dagli addetti ai lavori "polli di Seveso". Una immagine, come un quadro, viene letta per prima cosa in base alla composizione degli elementi che la costituiscono. La loro disposizione dipende in parte dalla loro posizione nel momento dello scatto, in parte dalla inquadratura che sceglie il fotografo. Esistono molte regole di composizione, codificate sin dai tempi della pittura, e che magari nel settore della pittura artistica sono state volutamente violate dopo il tramonto del puro naturalismo nella seconda metà dell'800 (non casualmente, negli stessi anni in cui si affermava la fotografia). Sono quelle regole classiche, che qui accenniamo soltanto, come quella della contrapposizione tra soggetto principale e secondario. Il soggetto non deve stare mai al centro, ma su un lato, bilanciato per contrapposizione da un altro contro-soggetto di minore importanza. La linea dell'orizzonte che separa solitamente il cielo dalla terra non deve stare al centro ma a 1/3 verso il basso o verso l'alto. Ovviamente, l'immagine deve contenere solo gli elementi essenziali. Il pittore può lavorare a lungo per definire l'inquadratura, anche con prove preliminari. Il problema del fotografo è che deve definirla in pochi secondi o pochi minuti, quindi deve andare d'istinto e basarsi sulla esperienza. I grandi fotografi si distinguono proprio per questa capacità di comporre una foto bilanciata come un quadro ma cogliendo all'improvviso un soggetto per la strada. E' la caratteristica che ha reso grandi e celebri i più famosi fotografi, come Henri Cartier-Bresson o William Eugene Smith. Anche loro però a volte preparavano la scena, nel senso che visitavano in precedenza i luoghi e sceglievano la opzione migliore tra le molte possibili. Non avrebbero ripreso lo stesso soggetto, ma un soggetto simile nelle stesse condizioni. I bambini che giocano nella piazza non saranno gli stessi, ma la scelta di riprenderli da un lato o da un altro, con il sole alto o radente, con uno sfondo scarno ed essenziale o pieno di cose e di informazioni, sarà stata studiata in precedenza. In uno dei più celebri reportage fotografici di tutti i tempi, "Il villaggio spagnolo" di William Eugene Smith, il fotografo americano aveva vissuto a lungo nel villaggio, studiando attentamente i luoghi e conoscendo le persone. I soggetti non recitavano assolutamente, facevano le cose di tutti i giorni, ma la composizione delle foto non era sempre e soltanto quella casuale delle foto di reportage puro. Era però resa autentica dal fatto che la presenza del fotografo, ormai comune, quasi "di casa", non era più praticamente avvertita. Questo metodo può essere sicuramente seguito per ottenere belle foto anche da chi non è un fotografo di Life degli anni d'oro. Basta prendersi il tempo necessario, basta avere il tempo di tornare negli stessi luoghi, anche solo due volte di seguito. I primi sistemi per registrare le fotografie, messi a punto da Niepce, Talbot e Daguerre nell'800 riuscivano solo a registrare il bianco, il nero e una scala di grigi più o meno ampia. La maggior parte del contenuto informativo era preservato, perché pensava poi la mente ad integrare le informazioni mancanti. Ad esempio, la mente sapeva che la pelle non può essere di colore grigio chiaro e la interpretava direttamente come "color pelle". La strada per la fotografia (e per il cinema) a colori è stata molto lunga. Ci sono voluti quasi cento anni per arrivare ad una diffusione di massa (anni '50 - '60) e questa lunga gestazione ha consentito di sviluppare una vera e propria estetica del bianco e nero. Così anche adesso, altri cinquanta anni dopo e oltre, continuiamo a percepire come artisticamente più valida, di maggior valore, la foto in bianco e nero. Esiste un motivo oggettivo, non soltanto storico: fotografare a colori è molto più difficile. Occorre controllare e dominare molti altri elementi che compaiono nell'immagine, non solo la composizione delle parti dell'immagine. Un pittore sceglie i colori del quadro nella tavolozza, ma un fotografo li trova nella scena, a meno che non sia un fotografo di moda. Diventa quindi ancora più complessa, rispetto al bianco e nero, la composizione della foto. Un esempio è rappresentato dalla semplice presenza di un oggetto colorato in un angolo dell'immagine, che magari presenta invece colori pastello. In una foto in bianco e nero non si noterebbe un foglio di carta o un frammento di manifesto di colore contrastante su un lato, ma in una foto a colori può diventare un inatteso punto d'attrazione, sbilanciando tutta l'immagine. I colori poi hanno per noi umani significati simbolici, variabili peraltro da cultura a cultura, pensiamo per esempio ai significati contrastanti che attribuiamo al bianco o al viola, e il loro accoppiamento e accostamento, come negli abiti, è una operazione complessa. Tutti elementi ancora più difficili da dominare in una istantanea, una immagine presa dalla realtà sulla quale il fotografo ha minime possibilità di intervento. Qualche cosa può fare, per prima cosa essere consapevole della importanza della distribuzione dei colori nell'immagine. E quindi porre la massima possibile attenzione, compatibile con i tempi a disposizione, anche a questo aspetto. Poi deve agire per sottrazione, sia in fase di ripresa, sia in fase di post-produzione, eliminando particolari inutili e concentrando l'attenzione sul soggetto principale. Il ritratto è stato il primo genere fotografico ed il primo utilizzo pratico del nuovo strumento sin dalla prima metà dell'800, derivazione diretta dal ritratto in pittura, è il genere più accessibile ma anche il più difficile, dall'altra parte infatti c'è una persona, e raccontare qualcosa di lui o di lei con una semplice immagine è possibile, ma tutt'altro che facile. Il ritratto può essere in primo o primissimo piano (include solo il volto o anche solo parte di esso) o comprendere il busto, come nel classico ritratto di scuola pittorica, può essere concentrato sulla persona eliminando o dissimulando completamente lo sfondo, oppure essere un ritratto ambientato, nel quale l'ambiente concorre a raccontare il soggetto. Nell'altra pagina dedicata alla tecnica fotografica sono elencati alcuni classici metodi pratici per ottenere un buon ritratto. Ai quali si possono solo aggiungere alcuni suggerimenti. Copiare dai classici. Se l'uso non è commerciale, perché non prendere i ritratti di qualche autore specializzato nel genere, come Richard Avedon, e copiare la sua composizione del ritratto? Scegliendo possibilmente i ritratti dove il soggetto è più simile o riconducibile al nostro, e dove la ambientazione è alla nostra portata. Accordarsi preventivamente con il soggetto. Il soggetto deve essere paziente come una modella professionista. Non deve precipitarsi a vedere e criticare i risultati parziali (specie con le foto digitali) deve eventualmente accettare di sottoporsi a due sessioni, nella seconda il fotografo correggerà gli errori che ha individuato nella prima. Non farla troppo lunga. Comunque il soggetto non è una modella professionista, dopo mezz'ora o tre quarti d'ora al massimo la sua espressione radiosa sarà sparita e sarà impresa ardua ricavare dalla sua espressione annoiata una buona foto. Tenerne conto. Ritratto ambientato o soggetto isolato? E' chiaro che la seconda alternativa è più semplice da gestire. Nel ritratto ambientato però l'ambiente stesso trasmette parte del suo fascino al soggetto, arricchendolo e smussando eventuali piccoli difetti. Il ritratto della moglie o della compagna mentre mangia un croissant in un bar di Parigi trasmette di per sé una immagine di serenità e di fuga dalla routine (e probabilmente anche la suddetta moglie o compagna ha un sorriso più convinto). Ma d'altra parte uno sfondo bianco o di colore compatto rende il ritratto più semplice e diretto, consentendo di concentrare tutta l'attenzione sul soggetto. Si intendono con questo termine solitamente le foto di rappresentazione della realtà senza mediazioni, i soggetti devono essere ripresi a loro insaputa, o quasi, nel loro ambiente naturale. In altre parole sono foto che riprendono persone a noi sconosciute, nelle loro quotidiane attività o in momenti particolari. Perché facciamo questo tipo di foto? Per un professionista la risposta è ovvia, perché ritiene che quel soggetto (esempio studenti a una manifestazione, pendolari bloccati alla stazione per uno sciopero, leghisti che inneggiano al Dio Po) possa interessare e quindi essere venduto a qualche cliente, agenzia di stampa o giornale. Oppure perché la suddetta agenzia di stampa li ha mandati lì, indipendentemente dall'interesse dell'evento (esempio ennesima inaugurazione della variante di valico, politici o persone famose che votano). Un dilettante puro (o amatore, come preferisce di solito nominarsi) che vuole fare ugualmente questo tipo di foto probabilmente punta a sentirsi in questo modo un po' professionista, e la cosa ha per lui un valore, oppure ha proprio un suo personale interesse a catturare la vita attorno a sé. In entrambi i casi Internet fornisce un interessante sbocco. Anni fa pubblicare le proprie foto era impresa ardua e costosa, esistevano le mostre fotografiche per fotoamatori ma era un po' una specie di congrega, di compagnia di giro. Ora chiunque può creare il suo sito e proporre al mondo gratuitamente le sue foto di reportage (anche se ... leggi dopo). Altra cosa è se qualcuno poi va guardarle, ma almeno il primo passo e fatto. In ogni caso il dilettante o amatore che sia deve sapere che si tratta in assoluto del genere più difficile, non solo per la difficoltà di ottenete risultati significativi, ma anche proprio per la organizzazione che richiede. I soggetti infatti non amano essere fotografati da uno sconosciuto. Specialmente i soggetti più interessanti, quelli che stanno facendo qualcosa che può apparire divertente, che si sono vestiti in un modo che può apparire bizzarro, o peggio, che stanno facendo qualcosa che non si deve fare, tipo scrivere su un muro o prendere a calci una macchina targata Milano dopo una partita della Roma. Ci stupiamo spesso nei nostri viaggi quando venditori ambulanti molto pittoreschi rifiutano di essere ritratti, anche con reazioni decise. Ma se capitasse a noi che uno straniero ci consideri particolarmente buffi quando andiamo in ufficio d'estate in giacca e cravatta? Anche a noi non piacerebbe diventare un soggetto divertente nelle sue serate con gli amici o sul suo sito web. Quindi, bisogna fotografare di nascosto? C'è tutto un settore del reportage che usa come metodo la foto rubata. Teleobiettivi potenti o potentissimi, favoriti ora dalla altissima sensibilità dei sensori della macchine fotografiche digitali, o addirittura strumenti appositi, ora caduti in disuso, come gli specchi davanti all'obiettivo (ovviamente di una macchina reflex). Consentivano di fotografare a 90°, quindi a un soggetto che non era inquadrato e che quindi era totalmente inconsapevole di essere nel mirino di un fotografo. Il problema era che a 0° cioè dritto davanti al fotografo (dove il fotografo non poteva vedere) c'era magari un altro soggetto che si sentiva inquadrato e poteva anche non prenderla bene. Teleobiettivo e reportage viaggiano da sempre in coppia, ma c'è anche un altro metodo, opposto, il super grandangolare. Nel campo d'azione di un super grandangolare si può inserire la scenetta che ci interessa, e anche un soggetto del tutto innocuo, tipo la fontana storica che il 100% dei turisti non può non fotografare. Addirittura si può anche evitare di inquadrare. Il segnale che stiamo facendo una foto è infatti che stiamo inquadrando qualcuno nel mirino. C'è una assonanza velata ma sempre presente con il mirino di un'arma (d'altronde si usa a stessa parola) e quindi sempre a un che di minaccioso. Poi c'è anche il suono dello scatto, particolarmente sonoro nelle vecchie macchine reflex, meno nelle macchine a telemetro che erano infatti preferite, proprio per questo motivo, da tutti i fotografi storici (da Cartier Bresson a Capa a Bischof). Le digitali e i telefonini potrebbero essere del tutto silenziose/i ma per qualche strano motivo riproducono comunque un suono che imita quello di una macchina analogia. Complesso di inferiorità? Avvertimento per il soggetto? In ogni caso si può disabilitare e bisogna farlo sempre. Con il grandangolare spinto (oltre i 75°) si può però evitare di inquadrare, tenendo la macchina appesa al collo. E' questo il metodo più semplice ed efficace per fare foto di nascosto. Ma forse è meglio fotografare in modo palese. Se invece di scattare furtivamente e di allontanarsi il prima possibile chiediamo al soggetto se vuole essere fotografato, ci dirà di no? In molti paesi ci chiederà magari una mancia, in altri ci dirà di no, in altre occasioni si metterà in posa facendo perdere ogni naturalezza alla foto, ma è probabile che in molti altri casi potremo entrare meglio nel suo mondo, e catturare immagini molto più interessanti. Ma sarà necessario molto più tempo. E non si può fare con la famigliola al seguito nella classica vacanza all'estero. Perché dovremmo pianificare il nostro reportage come un vero e proprio servizio, controllando in precedenza i luoghi, prendendo appunti (magari o possibilmente senza macchina fotografica) concentrandoci sulle cose più interessanti e scartando quelle banali. Naturalmente tutto questo non vale nel caso del grande evento. Dell'avvenimento che richiede di essere fotografato, e nel quale conta solo la prontezza nello scatto, la concentrazione nel non sbagliare e anche il coraggio di avvicinarsi e di entrare nella realtà, come si può vedere in uno dei migliori servizi fotografici di reportage mai fatti (peraltro da un fotografo non specializzato in reportage), l'invasione di Praga nel 1968 nelle foto di Josef Koudelka. Ma come fa il fotografo di reportage, mentre fotografa di nascosto, o di corsa, un soggetto che un momento dopo non ci sarà più (come il famoso bacio di Doisneau) o che è ostile, o in condizioni avverse, a curare anche la composizione? E' qui che si vedono i grandi fotografi, che peraltro non usavano certo macchine a motore e il sistema delle foto a raffica ("almeno una buona ci sarà"). Osservando alcune foto di strada di Cartier Bresson, scatti presi al volo dalla realtà mentre si creava, si capisce cosa vuol dire "l'occhio fotografico". Rimane infine da considerare
l'aspetto privacy. Il mondo è grande e i soggetti fotografati nel mercato di Fes
o nella casbah di Marrakesh molto difficilmente avranno l'occasione di
riconoscersi nelle immagini presenti nel nostro sito. Ma il mondo delle
comunicazioni si sta restringendo, e i sistemi per il riconoscimento delle
immagini stanno diventando sempre più raffinati. In molti paesi, tra cui il
nostro, non è possibile pubblicare senza consenso immagini di una persona che
non è un "personaggio pubblico".
Intendiamo
con foto di paesaggio le immagini di luoghi naturali o creati dall'uomo di
particolare bellezza o fascino, che siano noti e meta di viaggi organizzati e
turismo in genere, o sconosciuti, remoti o quasi inaccessibili. Molto più frequente però, nel mondo globalizzato e percorso da ondate sempre più vaste di turismo di massa, sarà la prima situazione. Il turista con la sua macchina fotografica semi professionale davanti a un soggetto fotografato qualche miliardo di volte, tipo la torre Eiffel, il Colosseo o Buckingham Palace. Difficile resistere alla tentazione di fare comunque una foto o un intero servizio fotografico. Essendo però coscienti che centinaia di fotografi professionisti si sono cimentati già nello stesso compito, sviscerando tutti i possibili modi di rappresentare in due dimensioni la bellezza e il messaggio che quel luogo propone ai milioni di persone che, difatti, si recano ogni anno a visitarlo.
Potranno essere usati metodi come l'attenzione ai
particolari, componendo una specie di puzzle del monumento o del
paesaggio mozzafiato. Si potrà tentare una luce insolita, il tramonto,
la notte, magari con una posa lunga e la scia delle persone o delle
auto. Si potranno tentare tecniche meno comuni, come il grandangolare
spinto, o il fish-eye, o il bianco e nero, o la foto panoramica (un
effetto ormai diffuso nelle macchine digitali e che consiglio in quanto
semplice e molto efficace, almeno sino a quando non diventerà
inflazionato). Si potranno includere nella immagine personaggi connessi,
come il venditore di biglietti o souvenir (magari evitando il falso
centurione romano). In tutti i casi però il fotografo sarà consapevole
che qualcosa di simile è già stato tentato. Un po' più facili le cose se il paesaggio è sì una destinazione turistica, ma meno frequentata universalmente, tipo l'isola di Aran o l'antica città di Petra, oppure abbastanza vasta da garantire comunque qualche scorcio o qualche recesso poco frequentato (tipo Venezia). Qui si può tentare anche qualche foto d'insieme, l'importante è che sia curata al massimo la tecnica, la ricerca della luce migliore (vedi sempre la mini-guida), la composizione dell'immagine, il momento della giornata nel quale i turisti sono ridotti al minimo.
Perché effettivamente nelle foto di
paesaggio dei comuni mortali (quelli che girano per turismo e non perché pagati
da qualcuno per fare foto) che sono quindi tipicamente turisti in visita, è
fatale che siano presenti anche altri turisti, a meno di viaggiare veramente in
bassa stagione o recarsi in visita all'alba (ma spesso ci sono orari da
rispettare). Per una foto di paesaggio degna di questo nome i turisti intenti
anche loro a fotografare o a mangiare panini, non dovrebbero esserci. Se la
densità di turisti è bassa occorre solo armarsi di pazienza e tentare più volte,
chiedendo anche, se necessario, a qualcuno che sta entrando nel campo visivo di
fermarsi. I turisti sviluppano una discreta solidarietà reciproca e quindi
ottenere questo tipo di attenzione non è difficile. Si può poi lavorare in post
produzione, con il ritaglio o, nei casi estremi, eliminando le presenze
indesiderate con Photoshop. Ma solo se sono di dimensioni ridotte nell'immagine
e in zone laterali.
Ma se il soggetto è noto a tutti oppure il flusso degli altri turisti è inarrestabile oppure i locali rifiutano di entrare nelle foto se non dietro pagamento di sostanziose mance, vale ancora la pena di fotografare? Penso di no, a un grande sforzo corrisponderà comunque un ben povero risultato. In realtà più che foto saremo intenti a produrre "prove" del raggiungimento della nostra meta. Un processo psicologico automatico e che tutti seguono (infatti non esiste un turista senza macchina fotografica o cinepresa) ma che non è obbligatorio. Si può anche limitarsi e concentrarsi a guardare e a riflettere sul significato simbolico di quel luogo così frequentato. E magari, per chi sa farlo, anche sommariamente, sostituire la macchina fotografica con un blocchetto da disegno. Per avere una idea di quanto una immagine disegnata possa essere efficace si possono consultare i numerosi blog di "sketch", come ad esempio questo. Le foto che illustrano il servizio, fornendo alcuni possibili esempi, sono tutte di Alberto Maurizio Truffi (tranne, per ovvi motivi, il ritratto che è di Richard Avedon ed è dedicato all'attrice Michelle Pfeiffer). Non per un attacco di megalomania, ma per i soliti problemi di copyright, sarebbe certo più corretto utilizzare immagini dei più famosi fotografi, ma più sono famose e più sono protette e, per evitare problemi, sono utilizzate solo foto auto prodotte. Dall'alto, le foto 1, 5 e 7 sono state fatte a Marrakesh in Marocco, la 3 a Dublino, la 2 e la 4 in Danimarca, a Egeskov e Odense, la 8 in Finlandia nella regione di Kuopio. | |||||||||||||||
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Testi e foto © Alberto Maurizio Truffi / Novembre 2007 / Marzo 2009 / Febbraio 2010 / Riproduzione del testo e delle immagini non consentita |
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