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Macchine fotografiche su eBay |
Uno dei settori più attivi in eBay è quello delle macchine fotografiche d'epoca (o vintage). Il grande numero di apparecchi prodotti in tutto il secolo 900, la robustezza delle macchine meccaniche, che fa sì che si trovino apparecchi di 50 o 70 anni ancora ben funzionanti, i formati di pellicola tradizionali ancora in produzione, la tecnologia meccanica arrivata ai livelli più elevati già negli anni '60 e '70, la dismissione in massa nei paesi a tecnologia più avanzata di apparecchi analogici per passare al digitale (già dagli anni '90) sono tutti elementi che producono una ampia offerta. E una offerta ampia in un mercato competitivo produce prezzi bassi, e l'interesse attorno a questo fenomeno. |
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I formati di pellicola / Le categorie di apparecchi / 35mm meccaniche / 35mm telemetro automatiche / Telemetro 35mm ad ottica intercambiabile / Reflex meccaniche / Reflex elettroniche / Reflex autofocus / Gli apparecchi medio formato / Le reflex biottica / Reflex 6x6 monobbiettivo / Le SLR di medio formato / Le reflex per il vero formato ideale: il 4,5x6 / Le medio formato a telemetro / Le folding medio formato / Le folding 35mm / Le folding moderne |
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Mini guide: Come regolare ad occhio la messa a fuoco / Come regolare l'inquadratura senza zoom / Come regolare ad occhio l'esposizione / Cosa fare delle foto 6x6 |
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Vedi anche: Gli acquisti su eBay / Esempi di fotografie 6x6 con apparecchi folding / Viaggi nel tempo / Mini guida fotografica / La bella foto / Gli altri apparecchi citati |
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Perché la fotografia analogica |
Anche se la fotografia digitale ha i noti vantaggi di praticità che ne hanno ormai garantito l'affermazione di massa, la fotografia analogica continua a mantenere alcuni punti di forza e di interesse. |
La qualità della fotografia analogica |
I più recenti modelli digitali con sensori da 10 Mega pixel ed oltre, hanno una risoluzione comparabile a quella della tradizionale pellicole 35mm (24x36mm). Ciò significa che è possibile ricavarne un poster di dimensioni 50x60 di qualità confrontabile. Questo ovviamente a patto che anche le ottiche siano di qualità comparabile, e quindi si parla di apparecchi semi professionali, tipo Canon EOS-D o Nikon FD. Il punto di pareggio è considerato intorno ai 13-14 Mpixel (e non basta il semplice dato dei pixel) assieme al formato del sensore almeno APS, ed è ormai raggiunto dai modelli di punta. (Vedi: le macchine fotografiche digitali). Poiché si tratta di apparecchi di costo molto elevato (diverse migliaia di €) qui si innesta un primo vantaggio della alternativa analogica: raggiungere gli stessi risultati con apparecchi tradizionali, ad una frazione del costo. |
Esiste però un altro vantaggio dell'analogico che non potrà essere colmato a breve: il grande formato. Sin dagli anni '30 sono commercializzate infatti macchine per il formato 120 o rollfilm, alternativo al 35mm o 135 (che è addirittura precedente come pellicola, ma coevo per packaging) con fotogramma 6x6 cm (il più diffuso), 4,5x6, 6x9 o 6x7. La superficie di un fotogramma 6x6 è circa 3 volte e mezza un 24x36, e la risoluzione che si può ottenere è quindi molto superiore, e difficile da raggiungere anche per la foto digitale alla massima risoluzione consentita dalla tecnologia. Nella tabella che segue
sono confrontate le dimensioni utili per i vari formati utilizzati nella
fotografia analogica. |
Formato |
Nome commerciale |
Dimensioni (mm / AxL) |
Superficie (mmq) |
Diagonale (mm) |
Superficie / 135 |
Riferimento |
|
135 |
Mezzo formato |
24 |
18 |
432 |
30,0 |
0,5 |
|
135 |
35mm |
24 |
36 |
864 |
43,3 |
1 |
864 |
127 |
3x4 |
38 |
28 |
1064 |
47,2 |
1,2 |
|
127 |
4x4 |
38 |
38 |
1444 |
53,7 |
1,7 |
|
120 |
4,5x6 |
56 |
40 |
2240 |
68,8 |
2,6 |
|
120 |
6x6 |
56 |
56 |
3136 |
79,2 |
3,6 |
|
120 |
6x7 |
56 |
66 |
3696 |
86,6 |
4,3 |
|
120 |
6x9 |
56 |
86 |
4816 |
102,6 |
5,6 |
|
Facendo riferimento al
formato più comune (il 35mm) si può vedere che il medio formato ha una
superficie superiore di oltre tre volte e mezza, e il più pratico 4,5x6 di
oltre 2 volte e mezza. Per una equivalente qualità digitale bisognerebbe
aspettare quindi sensori CCD da 40-50 Mega pixel effettivi, al momento non ipotizzabili e
forse anche fuori dagli obiettivi dei produttori. Il formato 120 non è pratico come il 35mm, ma è comunque adatto anche per foto comuni e d'azione, ed è tuttora utilizzato nella fotografia professionale, e quindi reperibile nei negozi più forniti. Inoltre, nei molti anni di vita del formato, l'industria fotografica ha prodotto anche apparecchi di concezione molto semplice (quindi economici) ma comunque di qualità assai elevata. |
Sono moltissime. Ci
concentriamo su quelle effettivamente usabili ancora, con un impegno comparabile a quello richiesto dalle attuali macchine digitali.
Sono solitamente suddivise in base a quattro elementi: il formato, il mirino di
visione, il sistema di misura dell'esposizione e la possibilità di
sostituire l'obbiettivo (ottica fissa o intercambiabile). Nel quadro sinottico sono sintetizzati i modelli con alcuni esempi significativi, approfonditi nel seguito. |
Formato / Mirino |
Galileiano |
Reflex biottica (TLR) |
Reflex monobbiettivo (SLR) |
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35mm |
Folding
e meccaniche |
Telemetro (Leica, Contax) |
Rare (Agfa Optima Reflex e Flexilette) |
Rarissime e solo in parte (Zeiss Contaflex TLR (1)) |
Diaframma manuale (Exakta) |
Elettroniche (Canonet, Yashica Lynx, Minolta Hi-Matic) |
Diaframma automatico, esposimetro TTL (Nikon F, Canon FT, Pentax Spotmatic) |
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Compatte elettroniche (Olympus XA e Mju, Minolta Riva, Canon Prima) |
Elettroniche (Canon AE-1, Pentax ME) |
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Autofocus (Canon EOS, Minolta Dynax) |
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120 (medio formato) |
Folding (Zeiss Nettar e Ikonta, Agfa Isolette, Voigtlander Bessa e Perkeo) |
Telemetro (Fuji 690, Koni Omega Rapid M, Mamiya Super) |
(Rolleiflex, Rolleicord, Minolta Autocord, Yashica MAT) |
(Mamiya C-220/C-330) |
Dorso fisso (Praktisix, Pentax 6x7) |
Dorso intercambiabile (Hasselblad, Zenza Bronica) |
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Ottica |
Fissa |
Intercambiabile |
Fissa |
Intercambiabile |
Intercambiabile |
(1) Solo l'obiettivo di ripresa è intercambiabile. |
uuuu |
Galileiano 35mm a ottica fissa meccaniche (anni '50 e '60) |
Sono apparecchi concepiti all'epoca per dilettanti, con il massimo degli automatismi consentiti dalle varie epoche di produzione. Sono stati prodotti da grandi case con ottimi obiettivi e quindi in molti casi possono garantire eccellenti risultati. I grandi numeri di produzione favoriscono inoltre i prezzi convenienti. Si tratta in pratica delle antenate delle
poi diffusissime compatte 35mm, con la differenza che
sono prive di molti automatismi (quasi sempre della messa a fuoco e in molti casi
dell'esposizione) e soprattutto dell'obbiettivo zoom. L'obiettivo quindi è fisso,
in molti casi un medio grandangolare (35 o 40m, non molto indicato per i
ritratti), in altri un normale (50-55 mm) più adatto per ritratti e meno per
foto d'interno.
L'esposizione negli apparecchi di produzione fino agli anni '60 (a lato una Agfa Silette SL) deve essere regolata manualmente. L'esposimetro in alcuni casi non era presente e negli altri era basato su un sensore al selenio, soggetto ad invecchiamento con gli anni e quindi a diventare impreciso, inoltre spesso non era accoppiato, e quindi non dava vantaggi rispetto ad un esposimetro esterno. L'esposizione è però un problema minore con le pellicole moderne, che hanno una latitudine di esposizione molto superiore, soprattutto le negative, e di conseguenza si può fotografare tranquillamente, almeno in esterni, affidandosi alla regola del 16 (vedi) e ricorrendo eventualmente ad un esposimetro separato in interni. La messa a fuoco e' assistita da telemetro a sovrapposizione d'immagine in tutti gli apparecchi dagli anni '70 in poi. Quindi risulta abbastanza agevole, a patto che i mirini siano puliti e ci si ricordi di regolarla ad ogni foto. Nelle macchine prive di telemetro si può usare un dispositivo separato oppure andare ad occhio. La seconda soluzione e' sufficiente nella maggioranza dei casi (vedi). |
La messa a fuoco è
fondamentale per la nitidezza dell'immagine, e un errore non è recuperabile a
posteriori. Quindi è importante che la regolazione sia precisa. Per la messa
a fuoco manuale il primo accorgimento consiste nell'utilizzare un diaframma il
più piccolo possibile (quindi, con il valore più alto, essendo espresso in
frazioni della capacità visiva dell'occhio umano) aumentando così la
profondità di campo, e quindi il margine di tolleranza. Per misurare ad occhio la distanza del soggetto bisogna fare attenzione alla distanza tra i propri piedi e il soggetto stesso, usando un riferimento noto. Il riferimento può essere la lunghezza di una vettura, una Punto o una Classe A sono lunghe circa 4mt, e quindi bisogna farsi un'idea di quante macchine di questo tipo potrebbero starci tra noi e il soggetto. Se la scala della distanze è in piedi (macchine fotografiche acquistate in UK o USA) basta moltiplicare la stima in metri per tre. |
Lo zoom consente di modificare l'inquadratura senza spostarsi, con le macchine senza zoom e ad ottica fissa bisogna fare il contrario: spostarsi per avvicinare o allontanare l'immagine. D'altra parte lo zoom era nato proprio per questi scopi, per i documentari cinematografici. Nei film infatti l'inquadratura veniva gestita (in parte lo si fa tuttora) con il "carrello", una struttura su binari dove possono trovare posto sia la cinepresa sia l'operatore, in grado di avvicinarsi od allontanarsi dal soggetto senza far "ballare" l'immagine, e di riprodurre così la capacità di concentrazione su un particolare o viceversa di "allargare lo sguardo" che ha l'occhio umano (e il cervello). Per un documentario o per produzioni a basso costo (televisione soprattutto) questa soluzione era poco o nulla praticabile e sono nate quindi prima le cineprese compatte con torretta dotata di 3 o più obiettivi di focali diverse (come le Beaulieu o le Bolex) poi sostituiti, con l'avanzamento della tecnica ottica, dagli zoom. I primi obiettivi di questo tipo avevano però una qualità molto inferiore a quelli fissi, e il loro uso in fotografia (dove è richiesta una maggiore qualità) è arrivato più tardi, dagli anni '70, con modelli peraltro piuttosto costosi e riservati ai professionisti. Negli anni successivi, come sappiamo, i costi sono diminuiti grazie alla progettazione su calcolatore e alle macchine utensili a controllo numerico e gli zoom, anche se con frequenti e pesanti compromessi con la qualità, sono diventati lo standard per la fotografia amatoriale. |
Senza zoom occorre
mettere in atto da soli la funzione del carrello nelle riprese cinematografiche. Paesaggi, opere architettoniche o altri soggetti ampi: allontanarsi il più possibile per ampliare il campo di visione. Arrivati al limite, scattare più foto da visionare insieme successivamente. Nel caso di paesaggi si può usare un cavalletto in modo da mantenere l'orizzonte allo stesso livello nelle foto successive. Naturalmente sorgono limiti invalicabili sia in campo lontano sia in campo vicino. In un ambiente chiuso non si potrà arretrare che sino al muro posteriore, non ci si potrà sempre avvicinare al soggetto (fotografia sportiva) e non si potrà racchiudere un panorama in una singola immagine. La criticità dell'inquadratura dipende anche dall'utilizzo previsto dell'immagine e dal formato. La fotografia negativa destinata alla stampa o alla elaborazione digitale ha meno vincoli, soprattutto se in formato 6x6, si potrà intervenire in post produzione isolando le parti d'immagine che interessano, con una funzione simile al teleobbiettivo in ripresa. Se si vogliono invece realizzare diapositive da proiettare, la inquadratura diventa invece più critica. Oltre all'inquadratura la lunghezza focale dell'obiettivo influisce anche sulla prospettiva, ovvero sul modo come essa è riportata dalla realtà tridimensionale alle due dimensioni dell'immagine. Gli obiettivi a lunga focale (teleobbiettivi) schiacciano le proporzioni dei vari piani rendendoli apparentemente più vicini, l'immagine appare quindi piatta. Gli obiettivi a corta focale (grandangolare) hanno invece il comportamento opposto, dando all'immagine una apparenza sferica o bombata. Questo effetto, che può essere un piacevole arricchimento dell'immagine, è però da gestire attentamente nei ritratti. In una foto frontale con il grandangolare il naso apparirà più grande perché le restanti parti del viso sono riprodotte leggermente rimpicciolite, ed è raro che questo possa giovare al soggetto. Le macchine fotografiche ad ottica fissa montano spesso obbiettivi leggermente grandangolari (35-40mm per il formato 135 e 75-80mm per il formato 120) che devono essere quindi usati con cautela per i ritratti. In questo caso occorre ambientare il ritratto e riprendere in campo medio (mezzo busto) diminuendo l'effetto, e/o eseguire i ritratti preferibilmente di profilo o tre quarti. L'obiettivo normale
(50-55mm per il 135, raro nel 120, se non con formato ridotto 4.5x6) non
produce alcuna deformazione prospettica, ma è meno versatile, e per questo
motivo nell'era delle macchine fotografiche ad ottica fissa è stato spesso
preferito il "mezzo grandangolare". |
Come regolare ad occhio l'esposizione (La regola del 16) |
Una premessa: le
pellicole moderne (le ultime prodotte) hanno una latitudine molto ampia, quindi sono
"tolleranti" rispetto agli errori di esposizione, più in sotto
esposizione che in sovra esposizione. Le negative prevedono due passaggi e
quindi gli errori possono essere rimediati, mentre le diapositive (proiettate)
direttamente, richiedono una esposizione più precisa. Da questa coppia base si ricavano le altre, come nella tabella esemplificativa che segue (per una pellicola 100 ISO). |
Condizioni di luce del soggetto |
Tempo |
Diaframma |
Ovvero |
Pieno sole |
125 |
16 |
Coppia base |
Nuvola che copre il sole |
125 |
11 |
Un diaframma in più |
Cielo coperto, giornata luminosa |
125 |
8 |
Due diaframmi in più |
Cielo coperto, giornata scura |
125 |
5.6 |
Tre diaframmi in più |
Ombra in una giornata di sole |
125 |
5.6 |
Tre diaframmi in più |
Pieno sole in spiaggia o sulla neve |
125 |
22 |
Un diaframma in meno |
Come si vede per
fotografare all'aperto occorre mandare a memoria solo poche situazioni tipiche,
e decidere di aprire da uno a tre diaframmi a seconda delle condizioni di luce
(o di chiuderne uno in luce fortissima). Al resto ci penserà la latitudine
della esposizione della pellicola. Naturalmente le coppie tempo / diaframma
possono essere modificate a piacere agendo in parallelo su entrambe (1/125 f 16
= 1/250 - f 8 = 1/500 - f 5.6 = 1/1000 - f 4 ecc.). Per migliorare ancora le possibilità di raggiungere una esposizione ottimale si può ricorrere anche alla tecnica del bracketing: scattare di ogni soggetto tre foto, con diaframma aperto e chiuso di un diaframma. |
by |
Telemetro 35mm a ottica fissa automatiche e semi-automatiche. Anni '60 e '70 |
I modelli di fotocamere 35mm ad ottica fissa elettronici (ad esposizione automatica) sono moltissimi e una sintesi è assai ardua. Ci soffermiamo solo su alcuni modelli in grado di realizzare immagini superiori alle compatte attuali e anche alle digitali amatoriali. Le telemetro ad ottica fissa automatiche sono macchine 35mm degli anni '70 prodotte da alcune case giapponesi, come la Yashica Lynx (nella foto), le Canonet 17 e Minolta Hi-Matic 7 e analoghe di altri produttori (Ricoh e Konica). Totalmente automatiche, ad esclusione della messa a fuoco, ma con possibilità di funzionamento manuale ed ottiche eccellenti (soprattutto quelle uguali o superiori ai 50mm) e qualità dell'immagine al livello delle migliori reflex 35mm (pur se con i limiti dell'ottica fissa). L'unico punto critico è rappresentato dalle batterie (indispensabili nei modelli ad otturatore elettronico) che all'epoca erano al mercurio e quindi ora fuori produzione. Bisogna verificare se esistono dei sostituti moderni (solitamente è così). Sul mercato eBay hanno costi medi, acquisti a prezzi bassissimi sono improbabili e da maneggiare con cura. Prezzi comunque molto inferiori ad una compatta 35mm "seria" moderna. Sul versante del super conveniente, ovvero di prezzi che in alcuni casi possono arrivare anche a 10 o 20€, possono essere segnalati i modelli degli anni '50 che montavano rinomati obiettivi a 4 lenti (Tessar per Zeiss, Solinar per Agfa). Pur essendo apparecchi più semplici possono offrire anch'essi immagini di qualità elevata (es. Agfa Silette, Zeiss Contessa) |
Sono gli apparecchi che discendono dalla storica Leitz Leica del progettista Oskar Barnack, un apparecchio progettato negli anni '10 del XX secolo come tester per le riprese cinematografiche e poi diventato il modello cardine della tecnologia fotografica del '900. Il prototipo UR-Leica (del 1913) era stato pensato come tester o provinatore per film, ed usava di conseguenza la pellicola cinematografica 35mm messa a punto dall'inventore Thomas Alva Edison (quello della lampadina e del fonografo) agli inizi del '900. Non esistevano ancora esposimetri affidabili e con un tester si poteva scattare un insieme di foto nelle stesse condizioni di luce e di pellicola del film, da sviluppare e verificare per tarare poi correttamente la cinepresa ed evitare sprechi di costosa pellicola. L'apparecchio poteva però essere utilizzato anche per fare foto e basta, e per questo scopo sembrava avere parecchi vantaggi sugli altri apparecchi dell'epoca: le dimensioni estremamente compatte (poco superiori a quelle di una compatta 35mm attuale), la capienza (caricatori da 36 foto, quando al massimo nella fotografia professionale si potevano usare rollfilm da 12 foto), la qualità comparabile al medio formato, grazie alla evoluzione intervenuta negli anni 20 e 30 nelle pellicole e alla notoria qualità Leitz (rinomata fabbrica di microscopi e ottica di precisione, tuttora attiva anche in questo settore). Logica conseguenza la decisione della Leitz di mettere in commercio il nuovo apparecchio, all'inizio (1924-1925) con una dotazione analoga a quella delle compatte ad ottica fissa degli anni successivi (otturatore centrale, obiettivo fisso rientrante) presto evoluta con gli elementi chiave della architettura Leica: otturatore a tendina molto veloce (inizialmente 1/500, poi fino a 1/1000) e obiettivo intercambiabile con innesto a vite 39x1 con la Leica I. Era il 1930 e cominciava la lunga storia di uno degli apparecchi più importanti nella storia della fotografia. Rimaneva il geniale corpo rigidissimo e semplice con caricamento dal fondo e la dimensione compatta ai limiti inferiori consentiti dal formato. Il mirino all'inizio era assente e si aggiungeva a parte (a traguardo o ottico), ovviamente messa a fuoco ed esposizione erano manuali. |
Negli anni successivi sono state introdotte funzionalità aggiuntive rispetto allo schema iniziale, il telemetro accoppiato (ma con mirino separato), la sincronizzazione flash, il telemetro integrato nel mirino, le cornici per più focali nel mirino (modello M degli anni '60), l'innesto a baionetta, più veloce (modello M), l'esposimetro esterno ma accoppiato (M). E soprattutto sono stati introdotti progressivamente i celebrati ed eccellenti obiettivi Leitz, parte fondamentale del successo dell'apparecchio. Diventato già negli anni '30 lo strumento di lavoro dei fotografi che hanno inventato il fotoreportage, da Cartier-Bresson, a Robert Capa, a Werner Bischof a William Eugene-Smith (a lato una Leica III con innesto a vite, il modello analogo a quello usato ad esempio da Capa). La principale casa
produttrice degli anni '30, la Zeiss Ikon, non assistette senza reagire al
successo della Leica. Propose un apparecchio analogo, ma diverso e migliorato,
la Contax (il primo modello a telemetro,
nelle versioni I, II e III, da non confondere con i successivi modelli reflex
degli anni '50, prodotti in Germania Est, o con i modelli reflex elettronici
degli anni '80 e successivi, prodotti in Giappone dalla Kyocera-Yashica). Gli altri modelli che sono seguiti hanno preso a riferimento a volte la Leica, in altri casi, più frequenti, la Contax. Sono riconducibili a
due famiglie, le telemetro giapponesi degli anni '50 - '60 (Nikon SP e Canon
P e 7) e le telemetro russe (FED, Zorky, Kiev). |
Telemetro ad ottica intercambiabile: l'acquisto su eBay e l'uso oggi |
Per le macchine a telemetro storiche valgono due considerazioni: il costo elevato per gli apparecchi di qualità, a seguito di un collezionismo che data ormai da decenni (in particolare per la Leica) e la scomodità d'uso rispetto alle reflex. Il primo elemento rende l'acquisto su eBay piuttosto impegnativo e per esperti per tutti i modelli citati, ad eccezione soltanto di alcuni apparecchi russi (solo perché hanno prezzi bassi per la grande diffusione e quindi il rischio "fregatura" è ridotto). Il secondo rende l'uso effettivo una divertente attività "vintage" per appassionati, oppure un irritante sistema per sbagliare molte foto. L'elemento critico è il mirino, oltre alla attenzione necessaria per la messa a fuoco (il telemetro a sovrapposizione, se in buone condizioni, è comunque piuttosto veloce) i problemi sono l'inquadratura con obiettivi di focali diverse (serve un secondo mirino opzionale, eventualmente con più focali) e l'errore di parallasse, cioè la differenza tra l'immagine inquadrata dal mirino e quella ripresa dall'obiettivo alle corte distanze. Per fare un esempio, una serie di ritratti con un apparecchio a telemetro equipaggiato con un classico tele 90mm richiederebbe di mettere a fuoco usando il telemetro, inquadrare il soggetto con il mirino esterno, correggere la parallasse a mano (impostando la distanza misurata dal telemetro sul mirino esterno) e quindi scattare. Se il soggetto si sposta occorre ripetere le regolazioni ad ogni scatto, pena foto sfocate o con la fronte tagliata nei primi piani. Con alcuni apparecchi (Leica M3) alcune fasi possono essere semplificate dalle cornici che delimitano l'inquadratura (ma l'immagine diventa una miniatura) o dal mirino aggiuntivo integrato (solo per il Telyt 135 della serie M). Per tutte le altre la sequenza delle operazioni sarà quella descritta, e gli inevitabili errori di ripresa confermeranno al fotografo la distanza dai fotografi come Cartier-Bresson (che ha usato per tutta la vita una Leica con tre obbiettivi) per i quali la relativa scomodità era ampiamente compensata dalla grande pratica ed esperienza. Le cose sono migliorate con la serie M della Leica e coi modelli prodotti in Giappone da diverse case, che erano all'inizio copie della Leica o della Contax ma poi sono evolute, e che hanno costituito i primi passi delle due case che poi negli anni sono diventate le più importanti del mondo fotografico e lo sono rimaste anche dopo l'avvento del digitale Canon e Nikon. Nella Canon 7-7S mostrata sopra, con il suo obiettivo ultra luminoso F0,95, il mirino poteva inquadrare più focali ed eseguiva anche la correzione della parallasse, ed era previsto di serie un preciso esposimetro CdS. In sintesi sono macchine affascinanti ma indicate solo a chi vuol fare esperienza di una pratica fotografica vintage oppure (ma deve essere veramente facoltoso) vuole avere il piacere di ricavare immagini dalle mitiche ottiche Leitz o Zeiss originali. Meno impervio l'uso delle macchine degli anni '50 e '60 ma sempre ben distante dalla operatività (per i neofiti) delle reflex dello stesso periodo. |
Le telemetro 35mm russe |
Per chi vuol fare comunque questa esperienza, le macchine russe costituiscono una valida alternativa. Sono apparecchi costruiti in grande serie per il mercato interno e poi esportate a partire dagli anni '70. Ispirate a modelli tedeschi sono state in produzione per decenni e sono quindi assai diffuse, garanzia di prezzi bassi. La Kiev 4 è una copia della Contax, è la migliore delle tre ma è relativamente meno diffusa e quindi più cara e meno facilmente reperibile (le ottiche soprattutto). La Zorky 4 è una copia economica della Leica a vite. La FED-4, probabilmente la più diffusa, nasce anch'essa dalla Leica a vite ma si è poi evoluta con esposimetro incorporato (non accoppiato). Più pesante della Leica è un discreto apparecchio, le principali pecche sono il dorso completamente smontabile (il cambio pellicola è più scomodo che nella prima Leica, che già non era facile) e la leva di collegamento del telemetro, che utilizza un rinvio di forma trapezoidale (nella Leica era circolare): se si sposta o ha qualche gioco si stara il sistema di misura. Le macchine russe si vendono su eBay soprattutto dalla Russia o dalle altre repubbliche ex-sovietiche. I prezzi sono spesso convenienti, ma occorre fare attenzione ai costi di spedizione, che sono spesso molto più alti (circa il doppio) che in Europa area CE. |
Le Leica |
Un discorso a parte deve essere fatto per le fotocamere Leica, molto diffuse, di alta qualità, simbolo della fotografia professionale e status symbol, hanno mantenuto un elevato valore anche nell'usato e sono anzi oggetto di collezionismo da decenni. Il collezionismo ha regole tutte sue che esulano dagli scopi di questa pagina, e che prescindono dall'uso pratico di quello che si acquista. La grande diffusione e i lunghi anni di produzione fanno sì che si possano trovare in offerta anche apparecchi di scarso valore collezionistico, a prezzi però quasi sempre "giusti" per apparecchi di questo valore e di questa fama. Sarà molto difficile trovare un "affare", una Leica messa incautamente in vendita a meno dal suo valore di mercato in un'asta dove non partecipa nessun intenditore. Per dare una idea orientativa parliamo di investimenti dell'ordine delle centinaia di Euro (anche verso il migliaio ed oltre).
Non
mancano in Internet siti dedicati, voci di Wikipedia e ampie
dissertazioni su ogni modello Leica. Le Leica a vite, le Leica classica, è di uso un po' impegnativo oggi, inclusi gli ultimi modelli degli anni '50. I modelli M possono invece essere utilizzati più facilmente, grazie ad una serie di facilitazioni d'uso nel mirino e nel caricamento della pellicola, oltre che per la velocità dell'innesto a baionetta. Chi volesse investire in uno di questi apparecchi, dopo adeguato controllo dello stato di conservazione, e avendo sempre presente che bisognerà investire altrettanto o anche più negli obiettivi, potrà utilizzare un apparecchio sicuramente in grado di realizzare immagini eccellenti, ai massimi livelli raggiunti dalla fotografia 35 mm. I modelli M meccanici succedutisi nel tempo sono stati M3 (1954), M2 (1957), M4 (1967), la M1 è esistita ma era un modello speciale senza mirino. La M2 era teoricamente una versione semplificata della M3 ma nella pratica non perdeva alcuna funzionalità essenziale. Nel tempo sono stati introdotti diversi miglioramenti e varianti nel mirino, che includeva cornicette luminose per utilizzare senza mirini aggiuntivi più obiettivi, nel sistema di caricamento e nella disposizione dei comandi. Sono tutti e quattro modelli molto validi e gli appassionati discutono ancora oggi su quale sia il più pratico nei comandi e quindi il migliore. L'ultimo, il modello M4, racchiude comunque i vari perfezionamenti, ed è stato in produzione sino al 1975. Con il modello M5 del 1971
anche la Leitz ha tentato un aggiornamento alle nuove tecnologie
introducendo un sistema di esposizione semi automatico con esposimetro
TTL. La soluzione tecnologica trovata, meccanicamente valida, ma non
molto pratica, era costituita da un braccetto meccanico che si poneva
dietro l'obiettivo e che si sollevava al momento dello scatto. Le cose sono andate a posto con il successivo modello M6 del 1984 della quale parliamo dopo. |
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Nello stesso periodo (di crisi e difficoltà per le marche classiche tedesche) era iniziata (nel 1972) anche la collaborazione della Leitz con la Minolta. Collaborazione poco amata dai cultori della Leica ma che ha dato vita a due modelli molto interessanti, che recuperavano lo spirito originario delle Leica a vite (massima compattezza e semplicità e, assieme, massima qualità) beneficiando però degli avanzamenti della tecnologia. I due modelli in questione sono la Leica CL (1973) e la Minolta CLE (1981), entrambe prodotte in Giappone. Di dimensioni veramente compatte, la Leica CL utilizzava lo stesso sistema esposimetrico a braccetto della M5 dello stesso periodo, aveva un mirino semplificato e non poteva usare alcuni obiettivi speciali (a parte la limitazione già citata sugli obiettivi rientranti nel corpo dell'apparecchio) ma era ed è un apparecchio che, con dimensioni di poco superiori a quelle di una compatta 35 mm, fornisce le prestazioni di una macchina professionale.
Ancora più interessante, anche se non può fregiarsi del nome Leica, la successiva Minolta CLE. Nel frattempo la Olympus (vedi dopo) aveva introdotto un sistema di lettura della luce che sembrava l'ideale per le macchine a telemetro, utilizzando una cellula a luce riflessa rivolta verso la tendina dell'otturatore (sistema direct metering), che poteva anche comandare l'otturatore elettronico ottenendo l'esposizione automatica a priorità dei diaframmi. Questo era appunto il sistema usato nella piccola egià citata Minolta CLE (foto sotto)e che ne fa tuttora uno delle più compatte ed avanzate macchine a telemetro mai prodotte, con una architettura funzionale e senza parti in movimento. Un limite c'è, nonostante l'innesto a baionetta M non tutti i pregiati obiettivi Leitz possono essere utilizzati, ma diversi sì (21, 40, 90 F4 e 90 F2.8). E la mancanza del marchio Leitz sul frontale la rende ancora più interessante sul mercato dell'usato. Anche se già in parecchi l'hanno scoperta e i veri affari saranno ben difficili da trovare.
La successiva M6 del 1984 utilizza anch'essa questo sistema, recuperando le dimensioni della Leica M e riprendendo idealmente la evoluzione della linea M. Come la precedente M5 però non era ancora un modello ad esposizione automatica, è il fotografo che deve agire su tempi e diaframmi scegliendo la combinazione più adatta, come nella Nikon F e nella altre SLR del decennio precedente (vedi dopo). L'esposizione automatica a
priorità del diaframma (tutt'altro che inutile nel reportage, come
chiunque sa) arriverà, dopo l'anticipazione della Minolta CLE, solo con
la successiva (ed ultima, sinora) M7 (2002), assieme ad altri interventi
migliorativi minori. Un modello che è ancora in produzione con
successive varianti (e non si sa per quanto), a prezzi
certo non economici (5000 € o giù di lì) ma non molto diversi da quelli
delle Leica classiche alla loro epoca. |
Anno |
Innesto |
Mirino |
Esposimetro |
Misurazione |
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III |
1933 | 1960 |
Vite 39x1 |
Semplice |
No |
Manuale |
M3 |
1954 | 1957 |
Baionetta M |
Multiformato |
Esterno |
Semi-automatica (1) |
M2 |
1957 | 1967 |
Baionetta M |
Multiformato |
Esterno |
Semi-automatica |
M4 |
1967 | 1975 |
Baionetta M |
Multiformato |
Esterno |
Semi-automatica |
M5 |
1971 | 1975 |
Baionetta M |
Multiformato |
TTL spot |
Semi-automatica |
CL |
1973 | 1976 |
Baionetta M |
Multiformato |
TTL spot |
Semi-automatica |
M6 |
1984 | 2002 |
Baionetta M |
Multiformato |
TTL direct metering |
Semi-automatica |
CLE |
1980 | 1983 |
Baionetta M |
Multiformato |
TTL direct metering |
Automatica (2) |
M7 |
2002 | - |
Baionetta M |
Multiformato |
TTL direct metering |
Automatica |
(1) A collimazione con ago o led / (2) Data presunta |
Reflex meccaniche (SLR) |
Sin dai primi passi della tecnologia fotografica i progettisti hanno pensato che una messa a fuoco ed una inquadratura precisa sarebbe stata possibile solo se il fotografo avesse potuto osservare la scena e "mirare" direttamente attraverso l'obiettivo di ripresa. Poiché l'obiettivo capovolge l'immagine la soluzione ideale era rappresentata da uno schermo riflettente (reflex, in inglese) che, come noto, inverte i lati di una immagine e quindi rimette le cose a posto. Rimanevano da risolvere molte altre cose, come ad esempio far sparire lo specchio al momento dello scatto per consentire alla luce di arrivare alla pellicola, o continuare a vedere qualcosa anche quando si rendeva necessario chiudere il diaframma e quindi la luce diminuiva (anche a un decimo o meno) o mettere tutta questa tecnologia dentro un apparecchio portatile. La risoluzione di questi problemi ha richiesto una sessantina d'anni, il tempo di passare dalle enormi Graflex (e simili) degli anni '10, alle prime reflex compatte 35mm (Exacta degli anni '30 e Contax S del secondo dopoguerra) alle efficienti reflex giapponesi degli anni '60 e '70, il cui simbolo è stata la celebre Nikon F. Con questi apparecchi tutti i problemi tecnologici erano risolti e il fotografo poteva vedere comodamente in un mirino luminoso l'immagine che sarebbe stata impressa sulla pellicola, con qualsiasi obiettivo che volesse montare, mettere a fuoco controllando il grado di nitidezza dell'immagine, avvicinarsi molto all'immagine per riprendere soggetti molto piccoli (macro fotografia), fotografare con teleobbiettivi potenti come un cannocchiale e oltre e anche, arricchimento di percorso, misurare la corretta esposizione direttamente attraverso l'obiettivo (TTL). A parte lo specchio e il mirino le macchine erano del tutto simili alle telemetro precedenti, e quindi condividevano con il progetto Leica - da cui derivavano - le dimensioni compatte e la portabilità, e diventarono nel corso degli anni '70 lo strumento di lavoro per i fotografi di reportage, relegando le telemetro ai fedelissimi della Leica (unico apparecchio di quel tipo ancora in produzione) ed avendo come unica alternativa in campo professionale gli apparecchi di medio formato usati per la fotografia di moda e pubblicità, e quelli a grande formato per la fotografia architettonica. Sono esistite in realtà molte altre macchine reflex che hanno preceduto questa rivoluzione, ad iniziare dalla già citata Exakta degli anni '30, che è stata la prima reflex 35mm prodotta industrialmente, e passando anche per un modello italiano, la Rectaflex degli anni '40, molto funzionale per l'epoca ma dallo scarso successo commerciale. Il vero "modello base" per le successive reflex giapponesi è stata la Contax S prodotta in Germania Est dal 1949, su un progetto di prima della guerra mai messo in produzione. Per vari motivi queste prime reflex mono-obbiettivo 35mm, pur se abbastanza diffuse, si portavano però dietro svariate scomodità e limitazioni che ne inibivano il potenziale, e il predominio delle telemetro rimaneva intatto. Fino alle Canon Canonflex e Nikon F degli anni '60, che questi problemi li avevano finalmente risolti. |
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SLR: macchine che avevano già tutto |
Rispetto ad un moderno apparecchio analogico (es. una Canon EOS) o digitale (Canon EOS-D) queste macchine avevano già tutto, ad eccezione della messa a fuoco e della esposizione automatica. Gli obiettivi zoom c'erano ma erano costosissimi e di qualità inferiore a quelli a focale fissa (e quindi si usavano quasi solo questi), il motore c'era ma doveva essere montato a parte, sotto la macchina, e a volte era ingombrante. Anche l'esposizione automatica c'era, almeno in un apparecchio (Konica Autoreflex T). In tutte le altre la esposizione era assistita da un esposimetro che leggeva la luce attraverso l'obiettivo (TTL: Through The Lens), e richiedeva semplicemente di far collimare un ago su un riferimento. In più queste macchine erano completamente meccaniche e quindi funzionavano sempre, magari senza esposimetro (che ne aveva bisogno, ma con un consumo bassissimo) ma si poteva sempre esporre a occhio. Rispetto agli apparecchi reflex precedenti e anche a quelli dello stesso periodo tutte le operazioni (messa a fuoco ed esposizione) si eseguivano in piena luce, senza oscuramento del mirino, e quindi con la massima comodità. E gli obiettivi erano ovviamente intercambiabili e con innesto a baionetta, in alcuni casi (Nikon in primo luogo) con una vastissima gamma e qualità paragonabile ai celebrati modelli tedeschi (Leitz e Zeiss). Per i professionisti le marche di riferimento erano Nikon e Canon (come oggi), la Canon aveva sostituito diversi modelli e probabilmente il più significativo del periodo era la FT, e continuava ad essere usata soprattutto per la gamma di ottiche. La Nikon F, pur con qualche difetto (il peso della versione con esposimetro, il Photomic) dominava quindi in modo pressoché incontrastato il mercato, e avrebbe continuato a farlo per molti anni. In campo amatoriale possiamo citare tre apparecchi che hanno sfidato il tempo: la Nikkormat FTn (sempre Nikon e stessi obiettivi della F, per il mercato USA Nikomat), la Minolta SRT-101, la Konica Autoreflex. L'ultima delle tre aveva una soluzione un po' ardita, totalmente meccanica, per realizzare il completo automatismo dell'esposizione (EE: electronic eye), ed è stata l'unica ad offrirlo fino all'avvento dell'otturatore elettronico una decina di anni dopo. Per le ridotte tolleranze del meccanismo è sconsigliabile su questo apparecchio montare ottiche non originali, e su apparecchi d'annata una controllata è d'obbligo. L'affidabilità è stata però confermata dalla durata del modello, ancora in produzione nei primi anni '90 con minime modifiche. Le altre celebri macchine reflex del periodo (Asahi Pentax Spotmatic, forse la più venduta, Praktica B, dalla Germania Est, Topcon RE-2 e RE-Super, Petri FT, Zeiss Icarex, Miranda Sensorex e altre) per vari e distinti motivi presentano limitazioni funzionali che ne rendono l'uso oggi meno semplice ed immediato dei modelli indicati sopra, oltre ad essere generalmente meno diffuse, con conseguente difficoltà nel reperimento degli accessori. Elemento differenziante principale era rappresentato dalla possibilità di misurare la luce a tutta apertura (Topcon RE, Minolta SRT101, a seguire Nikkormat e Nikon F e altre) grazie ad un simulatore del diaframma, oppure dalla necessità di chiudere materialmente il diaframma (stop-down) oscurando così l'immagine nel momento decisivo che precede la ripresa (la maggior parte) oltre ovviamente alla Konica Autoreflex. Limitandosi ai modelli indicati, con costi medi (medio-alti per la Nikon F) e con le cautele accennate per la Konica, si può portare a casa un apparecchio in grado di realizzare foto eccellenti con un impegno in ripresa non molto superiore a quello di una superautomatica analogica o digitale odierna, e che non si ferma mai. Il miglior rapporto qualità / prezzo / disponibilità delle ottiche è rappresentato dalla Nikkormat, un acquisto consigliato. Un po' pesante perché tutta in rassicurante metallo, ma grande qualità. |
L'avanzata inarrestabile dell'elettronica è arrivata in fotografia a fine anni '70 e poi, in modo più deciso, negli '80, con storici modelli come la Canon AE-1, la prima ad avere la logica di controllo gestita da un microprocessore. Il primo elemento a controllo elettronico è stato l'otturatore (a tendina nelle reflex). Il ritardo tra la prima e la seconda tendina non era più controllato da ingranaggi derivati dalla tecnologia usata in orologeria, ma da un circuito elettronico. Questo consentiva da un lato di poter impostare una apertura di durata qualsiasi (e non limitata a una gamma prefissata di tempi di posa: 1/30, 1/60, 1/125 di secondo e così via) e dall'altro di connettere in modo semplice ed affidabile il sistema di misurazione della luce con l'otturatore. Era quindi alla portata di tutti i produttori la realizzazione di reflex totalmente automatiche, senza ricorrere agli equilibrismi meccanici della Konica Autoreflex. Il sistema esposimetrico poteva infatti inviare direttamente per via elettronica al sistema di controllo dell'otturatore la durata del tempo di posa corretta per le condizioni di luce rilevate con la lettura attraverso l'obiettivo, tenendo in considerazione l'apertura del diaframma impostato sull'obiettivo, comunicata all'esposimetro dal simulatore del diaframma (per evitare la necessità di chiudere materialmente il diaframma ed oscurare il mirino reflex). Simulatore diaframma e lettura attraverso l'obiettivo (TTL) erano già presenti negli apparecchi della precedente generazione, ora si chiudeva il ciclo con la esposizione automatica ai massimi livelli di precisione. Il sistema era quindi a priorità del diaframma (che restava meccanico e manuale) il che non era l'ideale per foto sportive (i tempi potevano essere più lunghi del necessario e provocare foto mosse, se il fotografo non vi poneva attenzione) ma vari sistemi di allarme riducevano la criticità di questo aspetto. Numerosi modelli hanno abbracciato questa tecnologia, adottata da tutte le aziende sul mercato, dopo le fortunate reflex della Canon (AE-1 e A-1) che hanno dato il via a questa nuova fase tecnologica. |
Una SLR automatica di riferimento: la Olympus OM-2 |
Il più interessante è stato probabilmente un modello della Olympus, la OM2 di metà anni '70 (il primo modello doveva chiamarsi M-1, poi, per evitare confusioni con la celebre serie Leica, il cambio di sigla all'ultimo momento). La Olympus era una casa giapponese che aveva costruito un piccolo impero nel mezzo formato, un mercato di nicchia ma abbastanza ampio. Utilizzando la pellicola standard 35mm ma con formato dimezzato (18x24mm anziché 24x36) ogni pellicola poteva contenere fino a 72 fotogrammi, con un leggero abbassamento dei costi e una maggiore praticità: autonomia e riduzione di peso e dimensioni della macchina fotografica. Il tutto al prezzo di un leggero scadimento della qualità, percepibile però solo ai forti ingrandimenti, e di una limitata scomodità: la ripresa primaria verticale anziché orizzontale (più naturale per il nostro modo di vedere). La Olympus aveva prodotto negli anni (dai '50 in poi) numerosi modelli amatoriali ed anche una reflex a obbiettivi intercambiabili, la eccellente e compattissima Pen-F. A partire dai primi anni '70 però l'interesse per gli apparecchi mezzoformato era andato calando, per il progressivo affermarsi delle compatte 35mm. Questi apparecchi erano nati sulla scia della Rollei 35, un eccellente apparecchio, relativamente complesso e abbastanza costoso, ma di dimensioni minime e comparabili, se non inferiori, alle mezzoformato Olympus. Le case giapponesi avevano iniziato a produrre compatte 35mm più pratiche nell'uso e più economiche (anche se di qualità), quali ad esempio le Canonet della Canon, e il mercato si era rapidamente rivolto a questa soluzione, meno scomoda del formato 18x24, che richiedeva laboratori in grado di trattarlo, diapositive fuori standard (telaietti e proiettore) e di fotografare con inquadratura verticale (o con la macchina girata per le foto panoramiche). La Olympus doveva quindi velocemente uscire da una nicchia che stava diventando un ghetto, e lo fece puntando in alto, ad una reflex di prima fila, al massimo livello tecnologico e qualitativo, ma con prezzo ancora accessibile. |
La OM-1 venne lanciata nel 1972 con una campagna pubblicitaria mondiale, in Italia testimonial (assieme anche ad altri personaggi) era l'attrice tedesca Senta Berger, allora all'apice della fama e della bellezza. La campagna era curata dalla agenzia di pubblicità GB Advertising (leggi qui altri particolari su questa pluripremiata campagna pubblicitaria). La OM-1 non era rivoluzionaria, riprendeva in gran parte innovazioni già introdotte da altri, pur avendo alcune nuove funzionalità. L'elemento peculiare erano le dimensioni. Proprio per rimarcare la continuità con l'elemento caratterizzante della casa, la compattezza consentita dal mezzo formato, veniva recuperata la semplicità originaria della Leica, con una forma e una dimensione costruita attorno all'ingombro della pellicola, del caricatore e del rocchetto ricevente. L'estetica era anche avvantaggiata dalle nuove proporzioni che così si stabilivano tra gli obiettivi, che non potevano ovviamente ridursi di dimensione, e il corpo macchina. La Olympus curò anche
la qualità, oltre che l'innovazione, sia nel corpo macchina
e nella disposizione ergonomica dei comandi, sia negli accessori (motore,
schermi intercambiabili) e sia soprattutto negli eccellenti obiettivi Zuiko, in grado
di rivaleggiare sia come gamma sia come resa, coi celebrati Nikkor della Nikon.
Il risultato di questo mix di innovazione, qualità e compattezza è stato un inatteso successo non solo tra gli amatori, ma anche nel mercato professionale, e una imitazione da parte degli altri produttori, tutti lanciati in una riduzione delle dimensioni delle reflex. Una gara vinta dalla Pentax con la serie M, e in particolare il compattissimo modello ME-Super. Da questa fase della storia della tecnologia fotografica sono rimasti molti apprezzati modelli (oltre a quelle citate, le Contax RTS e II e le gemelle Yashica F e FX-D, la Pentax K - la più economica - le Nikkormat EL - la proposta Nikon sulla quale i pareri non sono unanimi). Ma sul mercato dell'usato devono essere tutti trattati con grande attenzione. A differenza di quelli della generazione precedente sono infatti da prendere a scatola chiusa. In caso di guasti alla parte elettronica la riparazione a volte è impossibile per mancanza delle parti di ricambio, e quando è percorribile è tanto costosa da renderla antieconomica. Sono quindi apparecchi che, se funzionano al primo colpo, se sono garantiti da un venditore affidabile, possono ancora dare molte soddisfazioni, se sono invece da ripristinare, è meglio lasciarli agli specialisti. |
L'unico ed ultimo compito che rimaneva a carico del fotografo nelle reflex automatiche elettroniche era la messa a fuoco, da sempre un punto critico della ripresa, soprattutto con i teleobiettivi, a cui la tecnologia aveva risposto con i telemetri a sdoppiamento d'immagine e poi con i mirini a visione diretta delle reflex, con ausili vari (microprismi, immagine spezzata). L'ultima frontiera tecnologica era quindi rappresentata dalla messa a fuoco totalmente automatica e non semplicemente assistita, ed era ora a portata di mano grazie al progresso della microelettronica. Sistemi autofocus erano già in via di introduzione nelle telecamere e nel settore televisivo (dove il problema di seguire soggetti in movimento e in diretta li rendeva ancora più necessari) ed erano basati sull'analisi in tempo reale del contrasto dell'immagine (che diminuisce se l'immagine è sfocata) e su obiettivi motorizzati. Nelle reflex il sistema si presentava particolarmente adatto perché l'azione del sistema autofocus poteva essere agevolmente controllata e quindi eventualmente corretta grazie alla visione diretta attraverso l'obiettivo.
Le principali case hanno quindi iniziato a proporre autofocus dalla fine degli anni '80. La necessità di motorizzare l'operazione di messa a fuoco (che richiede di spostare avanti o indietro il gruppo lenti dell'obiettivo o parte di esso) ha comportato la necessità di modificare l'innesto degli obiettivi, o addirittura di produrre obiettivi con un proprio motore a bordo (soluzione Canon EOS) e quindi di cambiare sistema rispetto alla generazione precedente. (A lato una Canon EOS 600, 1989). L'affidabilità e la precisione dei vari sistemi è arrivata velocemente a livelli molto elevati e le reflex autofocus hanno soppiantato le manuali, nel formato 135, nel corso degli stessi anni '90, sia in ambito amatoriale sia nel settore professionale. A distanza i sistemi che si sono affermati, e che sono ormai gli ultimi dell'era analogica della fotografia, sono sostanzialmente tre, Canon EOS, Nikon F e Minolta Dynax. Le prime due case, come all'inizio della affermazione delle reflex, si dividevano anche il mercato professionale, con i modelli di punta Canon EOS-1 o Nikon F4, F5 e F6, l'ultima della serie e anche l'ultima SLR analogica rimasta, solitaria, in produzione, fino a quando è cessata la produzione, nel 2020. L'era delle reflex autofocus ha anche visto l'affermazione definitiva in campo fotografico dello zoom multifocale. Altro sogno dei fotografi realizzato, la tecnologia dei computer applicata alla progettazione e produzione delle lenti (gli zoom sono molto più complessi) consentiva di avere in un solo obiettivo grandangolo, normale e tele, con una diminuzione di qualità minima rispetto agli obiettivi a focale fissa. L'ultimo e tuttora irraggiungibile vantaggio per questi ultimi rimane la luminosità (raramente superiore a 3,5 per gli zoom). Una limitazione poco importante per la gran parte delle riprese, alla luce del parallelo veloce progresso delle pellicole, sensibile soltanto per la fotografia d'azione e i ritratti con il teleobbiettivo. Altro elemento ripreso dal cinema e diventato standard nelle reflex autofocus è stato l'avanzamento motorizzato della pellicola, e quindi la possibilità di fare foto a raffica. Era questa una opzione possibile con le reflex manuali sin dagli anni '60, ma a patto di montare un ingombrante motore aggiuntivo sotto l'apparecchio. Ora il motore era integrato nel corpo della macchina che, certo non aveva più le dimensioni minime della Olympus OM-1 e sue seguaci, ma era comunque dell'ordine di grandezza e dimensioni della classica Nikon F (se non inferiori). |
Il canto del cigno della fotografia analogica |
Le reflex autofocus hanno rappresentato e rappresenteranno sempre il massimo vertice raggiunto dalla tecnologia fotografica analogica, e ormai anche il suo canto del cigno, con la realizzazione di pressoché tutti i sogni di velocità, praticità e qualità che i fotografi hanno sempre coltivato. Unico elemento negativo: la totale dipendenza dalla batteria: è chiaro che ormai gli apparecchi, a batterie scariche, cessavano completamente di funzionare. Dal punto di vista dell'usato si tratta di modelli recenti e validi, per i quali il discorso convenienza e affare si applica poco. E' chiaro che una macchina valida difficilmente sarà venduta sotto mercato e che gli acquisti più convenienti. ma anche più rischiosi. si possono fare sugli apparecchi di vertice, più costosi all'origine e ancora in produzione sino ad anni recenti. Il rischio nell'acquisto è rappresentato sempre da eventuali guasti o difetti: riparazioni costose, spesso è necessaria la spedizione in laboratori delle case anche molto lontane (a spese dell'acquirente) a volte la riparazione non è praticabile o antieconomica rispetto al nuovo. Le reflex autofocus per pellicola sono d'altra parte uscite progressivamente di produzione, e agli inizi del secondo decennio del XXI secolo sono rimasti solo i modelli di vertice di Nikon e Canon e poco altro e l'ultimo, il già citato modello f6 della Nikon, è uscito di produzione nel 2020, e quindi per chi vuole usare ancore le pellicole analogiche, senza spendere cifre elevate e vicine alle reflex digitali, il ricorso al mercato dell'usato è un obbligo. |
Mentre il piccolo formato (chiamato comunemente 35mm, ma come codice di formato denominato 135), ha dominato il settore amatoriale e professionale nel foto giornalismo sino all'avvento della fotografia digitale, ed è tuttora largamente usato, il medio formato (120 o rollfilm) è stato il formato predominante in tutti gli altri settori professionali (moda, pubblicità, matrimoni, cataloghi ecc.) lasciando al grande formato (pellicole piane dal 6x9 in su) la fotografia industriale e architettonica (non in modo esclusivo). Per logica attrazione anche un discreto numero di fotoamatori evoluti si sono dedicati nel tempo al medio formato. Il vantaggio risiedeva nella superficie maggiore (ca. 3 volte e mezza) garanzia di qualità maggiore, a prezzo ovviamente di costi e dimensioni maggiori degli apparecchi (con qualche eccezione). Un altro vantaggio, molti anni fa, era la possibilità di stampa per contatto in un formato ancora utilizzabile (6x6 o 6x9) e quindi costi inferiori di stampa. Una caratteristica interessante per i dilettanti e i fotografi occasionali, che ha fatto si che venissero prodotti negli anni anche molti apparecchi semplici ed economici per il medio formato. Il rollfilm risale anch'esso ai primordi della fotografia, in casa Kodak, e consiste in una pellicola senza perforazioni protetta dalla luce da un rullo di carta a tenuta di luce solidale con la pellicola stessa, ma separabile al momento dello sviluppo. A differenza del 135 non richiede quindi il caricatore e il riavvolgimento e sfrutta tutta o quasi la superficie della pellicola, ma per contro ha un avanzamento meno preciso (senza la perforazione) e uno spreco di spazio per lo spessore della carta che limitava ad esempio la capienza a 12 pose 6x6 contro le 36 del 35mm. La carta consentiva anche un sistema di avanzamento semplicissimo: sul dorso erano stampigliati i numeri progressivi dei fotogrammi nei vari formati, visualizzabili su una finestrella protetta da un filtro rosso (le prime pellicole ortocromatiche erano meno sensibili alla luce rossa) presente sul dorso. La larghezza del rollfilm è rimasta stabile negli anni (6cm, per un'altezza utile di 56mm nel fotogramma) mentre sono state applicate diverse lunghezze, per diversi scopi: |
4,5x6 |
15 pose, formato verticale (o orizzontale con scorrimento verticale del rollfilm), il formato più conveniente per la stampa e per il rapporto qualità / sfruttamento del film (Ashai 645, Mamiya 645, folding 4,5x6) |
6x6 |
12 pose, formato quadrato, ideale per diapositive, meno per la stampa (una quota parte dell'immagine rimane comunque fuori): è comunque il formato più diffuso (Rolleiflex, Hasselblad, PentaconSix, folding 6x6, Zenza Bronica, Kowa Six, Mamiya C220 e C330. Rollei 66, Koni Omega Rapid-M, Mamiya 6) |
6x7 |
10 pose, chiamato quando è stato lanciato (primi anni '70) formato ideale perché consentiva, a differenza del 6x6, lo sfruttamento completo della carta fotografica nei grandi formati (30x40 e 50x60) e quindi per usi professionali (matrimoni e servizi su commissione), in compenso la gestione delle diapositive era possibile solo con accessori e proiettori speciali, costosissimi, e l'aumento di formato rendeva gli apparecchi pesanti e ingombranti oltre il limite ultimo compatibile con l'uso a mano libera (Reflex: Ashai 6x7, Mamiya RB67 e RZ67, Zenza Bronica 67, Telemetro: Mamyia 7, Fujica 670) |
6x8 |
9 pose, proposto solo dalla Fuji per un solo modello (Fuji GX680, in produzione sino a dopo il 2000), un apparecchio molto complesso e costoso, ma di notevole qualità, che unisce le caratteristiche delle medio formato box (in particolare è simile alla Rollei SL66) e degli apparecchi a grande formato con movimenti. |
6x9 |
8 pose, il formato standard all'inizio della storia del rollfilm, consentiva di avere copie economiche (e spesso di grande qualità) anche con la stampa diretta (in formato ovviamente 6x9, non molto inferiore al 10x15 per anni standard nelle stampe); nelle migliori folding (Bessa, Perkeo, Isolette, Super Ikonta) gli apparecchi rimanevano ugualmente tascabili e usabili a mano libera. Oltre a questi apparecchi il formato è stato usato da modelli che costituivano il ponte tra il grande formato e gli apparecchi a mano libera (Mamiya Super 23, Horseman Reporter) e da alcuni modelli Fuji a telemetro più recenti (Fujica 690) sorta di Leica ipertrofiche, ma ancora usabili a mano libera da fotografi robusti. |
Il formato 127 o Bantam, il 220 e il 70mm |
Il 127 era del tutto simile al 120 come impostazione, soltanto che l'altezza della pellicola era ridotta a 4 cm e i formati utilizzabili erano quindi il 6x4 (8 pose), il 4x4 (16 pose) e il 3x4 (20 pose). La dimensione del negativo era quindi di poco superiore al 135, e i vantaggi e gli svantaggi del formato erano quelli del formato maggiore. E' stato usato soprattutto per apparecchi molto semplici e a bassissimo costo, sfruttando la possibilità di realizzare un sistema di avanzamento elementare, senza necessità di riavvolgimento, assieme al costo ridotto associato al piccolo formato; un esempio sono le macchine fotografiche italiane Bencini, assai diffuse negli anni '60. |
La Baby Rollei |
Un tentativo di utilizzare il formato 127 per un apparecchio di qualità si deve alla Rollei. Il modello Rollei 4x4 o Bay Rollei, aveva la stessa impostazione tecnologica di grande qualità della Rolleiflex ma, grazie al formato minore, dimensioni veramente compatte. Un apparecchio eccezionale, soprattutto nelle ultime serie del dopoguerra, e tuttora di grande valore sul mercato collezionistico, ma sostanzialmente privo di senso, pochi vantaggi e molti svantaggi rispetto agli apparecchi 35mm, e con il formato 4x4 si perde la peculiarità fondamentale della Rolleiflex: la possibilità di vedere la foto quasi come il prodotto finito nel comodo e grande mirino a pozzetto del 6x6. Il successo quindi non ha arriso a questo modello e a questo formato. Rara e ricercata sul mercato del collezionismo, se si trova è un acquisto per esperti. Per l'uso pratico occorre considerare la ormai ardua reperibilità della pellicola in formato 127. |
220 e 70mm |
Il formato 220 è invece una variante del 120 creato allo scopo di superare il limite delle 12 pose. Il dorso protettivo in carta era limitato all'inizio e alla fine del rotolo in modo da consentire una lunghezza maggiore della pellicola e di raddoppiare così la capienza (24 pose con il 6x6). Naturalmente le pellicole 220 non potevano più funzionare con le semplici folding ad avanzamento manuale, ma solo con gli apparecchi più recenti (a patto però che avessero il pressapellicola adatto al rollino 220, più sottile perché a un solo strato). Il 70mm era il formato delle pellicole cinematografiche usato per le produzioni più spettacolari nell'era del cinemascope e del cinerama, era (ed è) una pellicola perforata di altezza appunto 70mm. Nel sistema Hasselblad è stata adottata per un dorso ad elevata capienza (70 fotogrammi 6x6) adatto in particolare all'avanzamento motorizzato. Una soluzione tecnologica molto raffinata che ha avuto la sua consacrazione nelle imprese lunari del programma Apollo, dove la Hasselblad con dorso 70mm era la macchina fotografica scelta per andare sulla Luna, quindi, nella considerazione della NASA, il meglio della tecnologia fotografica allora disponibile. L'uso della pellicola 70mm è rimasto circoscritto agli apparecchi professionali Hasselblad e suoi derivati. La gamma di emulsioni era peraltro limitata dall'uso primario, e circoscritta quindi essenzialmente a diapositive a colori. La pellicola è inoltre disponibile solo a metraggio, quindi deve essere bobinata con un apposito apparecchio nei caricatori per uso fotografico (diversi per ogni specifica macchina in grado di accettare il 70mm, Hasselblad, Pentax 645 o altre). Non una pellicola quindi che si può trovare nei negozi o in viaggio. La pellicola a metraggio di derivazione cine era peraltro disponibile anche nel classico formato 35mm ed usata anche dai foto amatori e dai professionisti per abbassare i costi. |
La fortuna del formato 6x6 è iniziata con il successo delle reflex biottica (o TLR: Twin Lens Reflex), e in particolare dell'apparecchio di riferimento per questo settore, la Rolleiflex, nella seconda metà degli anni '30. Il progetto Rolleiflex (1928) della Franke & Heidecke, una piccola (allora) industria fotografica tedesca, derivava da un precedente apparecchio specializzato, per riprese stereoscopiche, ed era orientato al tentativo di utilizzare i benefici del sistema reflex senza averne gli inevitabili svantaggi, al tempo non superabili dalla tecnologia. Poiché era difficile far fare a un obiettivo due mestieri, il mirino e la ripresa, si pensò di sdoppiarlo. L'apparecchio aveva quindi due obiettivi quasi identici sovrapposti e accoppiati. Quello inferiore, dotato di otturatore e diaframma, era alla base della macchina fotografica vera e propria. Quello superiore, semplificato nello schema ottico e solitamente più luminoso, ma di focale identica, serviva solo per la visione e la messa a fuoco, e proiettava l'immagine su un mirino a pozzetto, che formava una immagine orizzontale grande come l'immagine sulla pellicola, per mezzo di uno specchio reflex. Una specie di visore LCD ante litteram.
La messa a fuoco avveniva a vista controllando la nitidezza dell'immagine, e la composizione dell'immagine risultava enormemente agevolata rispetto ai rudimentali mirini dell'epoca. Il formato quadrato era indispensabile per questa soluzione tecnologica. Poiché la riflessione era solo una la immagine proiettata dall'obiettivo aveva corretti soltanto i lati sopra e sotto, e non sinistra destra. Con un formato rettangolare sarebbe stato impossibile fare foto verticali (oltre che sommamente scomodo per la struttura a pozzetto). La visione era però dall'alto e quindi non all'altezza dell'occhio. Questo però costituiva un vantaggio più che uno svantaggio, perché nella ripresa delle persone a figura intera veniva ripristinata una prospettiva più corretta, centrale, anziché dall'alto. La ripresa all'altezza dell'occhio (necessaria ad esempio per i primi piani) era comunque possibile, con limitazioni, usando un mirino a traguardo incorporato nello stesso mirino a pozzetto. (A lato una Rolleiflex 2.8F degli anni '60). Il successo si è consolidato poi con i veri e propri modelli Rolleiflex nel nuovo formato 120 (1932), dotati di un'altra caratteristica innovativa: l'avanzamento rapido "automatico". Una sola leva con un doppio movimento "va e vieni" avanzava la pellicola e caricava l'otturatore, prevenendo le doppie esposizioni e rendendo superfluo il controllo dei numeretti sul dorso. Le dimensioni compatte, il peso limitato, l'otturatore Compur-Rapid di elevata qualità, la completa sincronizzazione con il flash elettronico (affermatosi dagli anni '60) e l'utilizzo di obiettivi di elevata qualità della Zeiss, prima l'ottimo Zeiss Tessar a 4 lenti e apertura 3.5/F e poi l'ancora superiore Zeiss Planar a 5 lenti con apertura 2.8/F, uno dei migliori obiettivi mai prodotti, o l'alternativa di Schneider, lo Xenotar 2.8/F, assieme a molti accessori, tra cui le lenti addizionali Mutar, completavano la dotazione di un apparecchio adatto sia per ritratti e servizi commerciali, sia per la foto d'azione, e adottato da molti foto giornalisti fino agli anni '60. Il limite quasi
insuperabile di questo fortunato modello era rappresentato dall'ottica fissa.
La possibilità di ingrandire in fase di stampa una porzione dell'immagine
consentiva però, grazie al grande formato, di utilizzare la Rolleiflex anche
nel foto giornalismo o nelle foto per matrimoni, dove questo apparecchio è
stato lo standard sino alla fine del secolo, ed in alcuni casi utilizzato
anche oltre.
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I cloni della Rolleiflex |
Il grande successo commerciale ha fatto nascere modelli più economici e semplificati già in casa Rollei (la Rolleicord già ricordata, sempre degli anni '30) e dalle altre case concorrenti. I più interessanti sono i modelli giapponesi del dopoguerra, copie con qualche variante (in genere nella ghiera di messa a fuoco) e di qualità meccanica un poco inferiore (ma prezzo molto inferiore) erano orientati soprattutto al mercato amatoriale, ma grazie agli ottimi obbiettivi consentivano (e consentono) di realizzare foto di elevato livello. Le più apprezzate erano la Autocord della Minolta e la Mat Della Yahica, soprattutto negli ultimi modelli dotati di esposimetro accoppiato (anche la Rolleiflex nel dopoguerra si era dotato di esposimetro, prima al selenio e poi CdS). Interessanti sono anche i modelli della Ricoh (Ricohmatic) e della Kowa (Kalloflex). Non sono mancate copie cinesi (Seagull) e francesi (Semflex) e anche tedesche (Welta Reflekta). Le principali case tedesche (Zeiss Ikon e Voigtlander) non hanno invece prodotto copie della Rolleiflex. ma "variazioni sul tema" come la Contaflex nel formato 135. Da una di queste, la economica Voigtlander Brilliant deriva (è una copia conforme) un modello russo diffusissimo, la Lubitel 11, caratterizzata dal mirino non smerigliato, con eccezione di un piccolo cerchio centrale. In questo modo l'immagine è più luminosa (da cui il nome) ma la messa a fuoco è solo su una zona del diametro di meno di un centimetro. Non una grande idea. Da notare che il limite dell'ottica fissa (75 o 80mm; quindi un leggero grandangolo) era stato affrontato dalla Rollei con varianti specializzate: Tele Rolleiflex e Wide Rolleiflex (solo la prima ebbe una certa diffusione) strada seguita anche dalla Sem. L'alternativa economica era rappresentata dagli obiettivi addizionali (da montare come un filtro davanti all'obiettivo). Il problema è che si perdeva la coerenza di visione nel mirino. |
Solo la giapponese
Mamiya ha tentato la impegnativa strada dell'ottica integralmente intercambiabile
(C-220 e
C-330; anni '60) con un buon successo soprattutto per le foto da studio e
matrimoni. Chiaramente l'apparecchio era più pesante e ingombrante e ogni
obiettivo intercambiabile era raddoppiato, ma il tutto costava comunque meno
di due corpi Rollei e garantiva comunque foto di qualità. Il soffietto
integrato e la correzione automatica della parallasse consentivano poi foto
ravvicinate (cataloghi di oggetti e simili) e quindi aumentavano ancora di più
la versatilità (anche se rimaneva il problema della parallasse).
Da citare anche un altro apparecchio reflex biottica professionale ad ottiche intercambiabili, la Koni Omegaflex M. Curiose le scelte dei progettisti giapponesi: l'immagine si formava su un vetro smerigliato dietro all'obiettivo di visione, come negli apparecchi a soffietto di grande formato. Per vederla nuovamente raddrizzata si inseriva uno specchio al posto del vetro smerigliato, e quindi si aveva un mirino a pozzetto arretrato. In compenso l'apparecchio (assai più pesante della Rolleiflex) aveva una caratteristica unica tra le biottiche e molto ricercata in ambito professionale: i dorsi intercambiabili, e utilizzava anche il "formato ideale' 6x7 come la consorella Koni Omega Rapid M (a telemetro) con la quale aveva in comune i dorsi intercambiabili di cui sopra. Un altro apparecchio TLR con ottica intercambiabile era la Zeiss Contaflex TLR degli anni '30-'40. Era però un apparecchio per pellicola 35 mm, formato quindi rettangolare, ed era intercambiabile solo l'obiettivo di ripresa, mentre nella visione si dovevano usare cornicette come con le telemetro. Qualità di costruzione e degli obiettivi eccezionale (in dotazione anche un luminosissimo Sonnar 1.5/50), ma poco pratico nell'uso reale. Ovviamente raro e costosissimo nel mercato del''usato. |
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Anche se la Rolleiflex ha sempre avuto un suo status a parte, le regine del settore sono state le reflex monobiettivo, vertice funzionale e qualitativo. Le monobiettivo hanno avuto due apparecchi di riferimento, molto diversi, la Hasselblad 500C e la PraktiSix - PentaconSix. |
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La 500C del 1957 deriva dalla precedente 1600F, che a sua volta era basata su un apparecchio specializzato per riprese di aerofotogrammetria, prodotto nei primi anni del dopoguerra dalla piccola industria di precisione svedese Hasselblad. La architettura innovativa e razionale era basata sulla suddivisione dell'apparecchio in 4 elementi modulari intercambiabili e componibili: specchio reflex e avanzamento, obbiettivo, dorso pellicola e mirino. Nel primo modello 1600F del '50 (e nel successivo 1000F del '52) l'otturatore era a tendina e integrato nell'elemento centrale, il tempo più veloce era particolarmente rapido, 1/1600 di secondo, appunto, una derivazione del primo progetto per foto dall'aereo, dove i tempi veloci, per evitare le foto mosse, erano una necessità. Con felice intuizione nel modello 500C venne invece scelta la soluzione di un otturatore centrale in ogni obbiettivo. Scelta leggermente più costosa (un otturatore di qualità Synchro-Compur in ogni ottica) ma ideale per l'uso in studio, per la facilità di sincronizzazione con i nuovi flash elettronici che stavano allora (fine anni '50) entrando nel mercato professionale. La Hasselblad 500C era in definitiva una macchina ideale per l'uso in studio, per servizi all'aperto e anche a mano libera. La flessibilità consentita da obiettivi e mirini intercambiabili era un primo punto a favore, Poi veniva la comodità dell'immagine reflex attraverso l'obiettivo. I dorsi intercambiabili erano l'ideale per servizi di moda e anche per i matrimoni. E a coronamento di tutto veniva la qualità complessiva della macchina e delle ottiche, prodotte per Hasselblad dalla Zeiss tedesca, quindi in parte simili a quelle della Rolleiflex (Sonnar), le dimensioni compatte e il peso contenuto e infine, dagli anni '60, anche l'avanzamento a motore. Non è mai stata economica ma un fotografo aveva con una 500C tutto quello che serviva per foto di qualsiasi genere. Solo nel reportage la Hasselblad è stata poco utilizzata, non perché non fosse pratica nell'uso (l'unico neo era rappresentato dallo specchio non a ritorno istantaneo, come quasi tutte le reflex 6x6) ma più che altro perché la Leica prima e poi le SLR 35mm erano già la scelta migliore per le esigenze di un fotografo d'azione, che non cercava niente di più nel medio formato. D'altra parte gli editori richiedevano obbligatoriamente negativi di medio formato per le foto di moda e di architettura, ma accettavano il 35mm per il foto giornalismo sin dagli anni '30. |
Da citare anche il fatto che si trattava di un sistema completo e modulare che consentiva anche di mettere in produzione un interessante apparecchio specializzato come l'Hasselblad SWC, non reflex, costruito attorno all'eccezionale obiettivo grandangolare Zeiss Biogon 38mm (equivalente a un 20mm sul formato 135) che condivideva gli stessi dorsi e poteva quindi essere "intercambiato" come un obiettivo su una 500C. Negli anni l'Hasselblad è stata citata più volte nel cinema come macchina fotografica tipo per fotografi professionisti o foto amatori raffinati: da Bergman nel film Persona, da Antonioni in Blow-Up, da Mike Nichols nel recente Closer, dove la fotografa era Julia Roberts. In Blow-Up il regista Michelangelo Antonioni (che era anche un buon fotografo) innestava anzi la vicenda sulle possibilità di ingrandimento offerte dal medio formato. Infatti proprio un particolare sullo sfondo delle foto di moda che stava facendo il protagonista David Hemmings, fotografo di successo, rivelerà il delitto che è il motore della storia. Infine, non si può non ricordare la presenza dell'apparecchio svedese nelle imprese spaziali degli anni '60 per raggiungere la Luna, infatti sono state proprio la Hasselblad SWC e una versione senza specchio e con motore della 500C (ovviamente con finiture e sigillature speciali) le macchine usate sulla Luna dagli astronauti per immortalare l'impresa. Numerosi gli apparecchi che hanno applicato l'architettura della Hasselblad 500C, con varianti o senza. |
All'opposto della alternativa Rollei c'era la soluzione economica, ma a caratteristiche invariate, della giapponese Kowa. Nel modello con dorsi intercambiabili (anni '60) la Kowa Six aveva le stesse funzionalità della Hasselblad 500C, l'unica differenza era la forma, più verticale e compatta grazie al dorso-magazzino a forma di L. La disponibilità di accessori e soprattutto di obbiettivi (l'innesto era proprietario) era inferiore e anche la qualità non era paragonabile a quella della Hasselblad o della Rollei SL66, ma comunque buona. A tutti gli effetti era quindi una alternativa economica, meno prestigiosa e meno di immagine, che come tale ha trovato una sua nicchia di mercato. |
La vera alternativa alla Hasselblad 500C è stata rappresentata da questo modello giapponese, sempre degli anni '60, che ha avuto una discreta diffusione. Nelle successive versioni è stata chiamata S, S2 e S2a. A differenza della Kowa Six proponeva alcuni plus funzionali e architetturali rispetto al modello ispiratore, aveva una qualità più vicina ad esso e poteva contare su distributori e assistenza più robusti. L'architettura era del tutto analoga all'Hasselblad, la differenza consisteva unicamente nel particolare movimento dello specchio che, invece di ribaltarsi verso l'alto al momento dello scatto, scivolava sul fondo dell'apparecchio. Questa apparentemente semplice variante, esclusiva di Zenza Bronica S2, consentiva di costruire gli obiettivi in modo diverso, ovvero con un tiraggio minore. Il tiraggio è la distanza tra l'innesto e la pellicola. Nelle macchine a telemetro tipo Leica è molto ridotto, inferiore alla lunghezza focale di un obiettivo normale ed equivalente a quello di un grandangolare. Nelle reflex, per l'ingombro dello specchio nel suo movimento rotatorio verso l'alto, è poco inferiore alla lunghezza focale di un obiettivo normale. Come si fa allora a montare un grandangolare? Sin dall'inizio della diffusione delle reflex sono stati proposti grandangolari retrofocus, dove la lunghezza focale è simulata dal particolare sistema di lenti. Hanno però lo svantaggio di essere più complessi e costosi. Con il sistema della Zenza Bronica obiettivi sino al medio grandangolo potevano essere non retrofocus, con indubbi vantaggi. In compenso però lo specchio sul fondo rivolto verso l'alto poteva essere una fonte di riflessi al momento dello scatto, e lo specchio non poteva più svolgere la doppia funzione di tappo per il mirino superiore. La soluzione dei tecnici giapponesi consisteva in due tendine. una superiore ed una inferiore, che si aggiungevano a quella di copertura della pellicola, necessaria per via dell'otturatore centrale, Al momento dello scatto in una Zenza Bronica si muovevano ben 5 meccanismi: l'otturatore, lo specchio e tre tendine. Il fatto che la macchina sia stata in produzione per anni e che non abbia evidenziato problemi particolari per rumore allo scatto, vibrazioni e affidabilità costituisce un indubbio merito per la tecnologia giapponese. Non pochi fotografi hanno però diffidato nel corso degli anni e preferito la semplicità (a caro prezzo) dell'Hasselblad ed effettivamente anche in casa Zenza Bronica sono passati, a partire dagli anni '80, alla tecnologia reflex tradizionale. |
L'architettura Hasselblad è stata adottata anche dalla Mamiya per la sua reflex medio formato. Utilizzava però il cosiddetto "formato ideale" 6x7 e la soluzione finale risultava per ciò stesso più complessa. Il 6x6 della Hasselblad ha infatti il vantaggio, essendo quadrato, di non richiedere la scelta tra inquadrature verticali e orizzontali, Le inquadrature verticali non sono un problema con modelli che adottano l'architettura Leica (basta girare la macchina) ma lo sono con modelli a "scatola" come la Rolleiflex o l'Hasselblad, ancor di più se adottano il mirino a pozzetto. Nella Mamiya RB67 il problema era risolto con il dorso girevole a 90 gradi. Una soluzione semplice e pratica che comportava però due consistenti svantaggi: la impossibilità di ricaricare l'apparecchio dopo lo scatto con una unica leva (ne servivano due, una sul dorso) e la "crescita" di tutte le parti della macchina (specchio, schermo di visione, volet, mirino) al formato 7x7. La conseguenza era un apparecchio molto più grande e pesante della Hasselblad, difficilmente utilizzabile a mano libera e adatto soprattutto all'uso su cavalletto. Pur essendo una macchina di qualità costruttiva elevata ed equipaggiata da valide ottiche, ha avuto quindi uno spazio commerciale ridotto, di nicchia, come alternativa alle macchine a banco ottico più che alla Hasselblad e suoi derivati. |
La copia russa (Kiev 88) |
Esiste anche un modello tipo Hasselblad realmente economico (sia da nuovo sia usato): la Kiev 88. Come molti altri apparecchi prodotti dalle industrie sovietiche nel secondo dopoguerra era una copia fedele di un modello occidentale, realizzato quasi con gli stessi materiali ma con tolleranze di produzione molto più elastiche, e quindi qualità nettamente inferiore, e anche variabile. Per contro i costi di produzione inferiori e la particolare situazione dei cambi di valuta consentivano prezzi al pubblico nettamente inferiori, che hanno garantito negli anni il successo delle macchine russe (Zenit in testa). Prezzi inferiori che si riflettono anche nel mercato dell'usato, e che quindi rendono ancora questi apparecchi convenienti. La qualità relativamente bassa (della costruzione, non dei materiali) si traduce in una maggiore difettosità, trattandosi però di apparecchi meccanici le riparazioni solitamente non sono complesse. L'unico problema della Kiev 88 è che il modello copiato (fedelmente) non è stata la 500C, bensì la molto meno interessante 1600F. La limitazione nell'uso con il flash elettronico rende quindi questa macchina poco adatta a lavori in studio e con illuminazione artificiale, e non consente alla 6x6 russa di essere considerata l"Hasselblad dei poveri". Per altri usi rimane però la comodità del dorso e del mirino intercambiabili, peraltro del tutto compatibili con quelli Hasselblad. |
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La prima reflex monobiettivo con la struttura della SLR 35mm (quindi per visione a mirino ad altezza dell'occhio, come la Exakta e suoi successori) è stata la PraxtSix degli anni '50, che ha dato il via a un piccolo gruppo di derivate. |
PraktiSix / Pentacon Six |
Era prodotta dalla VEB Pentacon in Germania Est, quindi da quella parte delle industrie fotografiche tedesche (n.1 nel mondo prima della guerra e fino all'affermazione giapponese negli anni '60) rimaste nella zona controllata dai sovietici. Macchinari e, in parte, tecnici e progettisti (quelli non scappati all'Ovest), erano di valore assoluto e la produzione della Germania Est, pur se non comparabile e quella dell'Ovest, è stata assai valida e regolarmente esportata in occidente fino alla dissoluzione della Germania Est. La PraktiSix aveva una struttura molto semplice ed efficace, mutuata dalle reflex SLR 35mm (in particolare dalla Praktica, da cui derivava il nome): corpo macchina tipo Leica con scorrimento orizzontale della pellicola comandato da leva di carica integrata, specchio reflex, otturatore a tendina veloce (fino a 1/1000") mirino a pentaprisma o a pozzetto intercambiabile, obiettivi intercambiabili con innesto a baionetta. Era disponibile anche un pentaprisma con esposimetro TTL. Dimensioni e peso erano necessariamente superiori a quelli delle SLR 35mm ma non di molto, con l'obiettivo normale e il mirino a pozzetto era comparabile a quello di una Nikon F con il Photomic. Saliva ovviamente con i tele e il pentaprisma. L'uso a mano libera era quindi tranquillamente possibile, anche se non era comunque la macchina ideale per il reportage veloce. L'unico limite architetturale era l'otturatore a tendina, che consentiva la sincronizzazione del flash elettronico fino a 1/30" (limitato dalla superficie elevata da coprire: 56mm contro i 36 o 24 delle 135) e rendeva quindi l'apparecchio non adatto alle foto in studio o in interni con flash. Altro limite condiviso con buona parte degli apparecchi reflex medio formato lo specchio non a ritorno istantaneo (tornava a posto agendo nuovamente sulla leva di carica) limitando (ma non impedendo) l'uso nel reportage veloce, in particolare per le sequenze a raffica. La disponibilità di efficaci tubi di prolunga a trasmissione del diaframma automatico la rendevano poi particolarmente adatta alla macro-fotografia (ripresa di soggetti piccoli e piccolissimi). Il principale limite era però rappresentato da un errore di progettazione nel sistema di avanzamento, che lo rendeva poco affidabile. La PraktiSix venne quindi sostituita dopo pochi anni da un nuovo modello, dal nome cambiato per rimarcare l'avvenuta risoluzione del problema. La Pentacon Six, il modello TL in particolare, ha quindi raggiunto una affidabilità in linea con gli altri apparecchi del tempo e una vasta diffusione grazie anche alla sua unicità sul mercato. Inutile aggiungere che l'acquisto di PraktiSix usate è assai critico e consigliato solo a reali conoscitori. La Pentacon Six era corredata da una buona gamma di obiettivi marchiati Zeiss Jena (dagli stabilimenti orientali della storica azienda, situati appunto nella città di Jena) e da tubi di prolunga automatici (con trasmissione del diaframma) che la rendevano particolarmente adatta, come si diceva, per la macrofotografia su medio formato. Queste caratteristiche, assieme al prezzo conveniente - produzione in grande serie e mercati valutari divisi negli anni della separazione dei due blocchi Est-Ovest - hanno consentito la grande diffusione accennata in precedenza, La Pentacon Six / PraktiSix ha dato origine ad una piccola famiglia di derivate. Due di esse (Rittreck 6x6 o Norita 66 e Kiev 60) erano molto simili al modello, l'altra (Pentax 6x7) una evoluzione tecnologica sullo stesso tema. |
La Norita 66, chiamata in origine Rittreck 6x6, era una SLR 6x6 prodotta dalla omonima (piccola) ditta giapponese. Sullo stesso schema costruttivo della PraktiSix / PentaconSix erano innestate due uniche varianti, una in più (specchio a ritorno istantaneo) e l'altra in meno (otturatore a tendina limitato ad 1/500"). Il principale limite è stato però il ridotto corredo di obiettivi, di innesto proprietario e incompatibile con la Pentacon Six. Qualità complessiva dello stesso ordine di grandezza del modello tedesco orientale, se non inferiore (ottiche) e prezzi simili (se non superiori) hanno ridotto drasticamente le possibilità di successo di un apparecchio che ha comunque vivacchiato per molti anni, con successivi aggiornamenti estetici. |
La Kiev 60 (in seguito 66) era invece un clone completo, innesto obiettivi inclusi. Unitamente al prezzo normalmente inferiore (dipendeva da offerte speciali e simili) ne ha fatto negli anni una alternativa abbastanza praticata. Molto diffusa anche in URSS dove la produzione della Germania Est (destinata in maggior parte ai paesi a valuta forte) aveva costi elevati. La qualità di costruzione era variabile come nel resto della foto ottica sovietica (anche se superiore ai prodotti di grande serie). In sintesi una alternativa da considerare, ma da verificare con cura. |
La Asahi Pentax è una ditta giapponese che ha raggiunto un grande successo negli anni '60 e '70 grazie al fortunato modello SLR Spotmatic. Punti di forza erano la semplicità ed efficacia del sistema esposimetro, la buona qualità ed affidabilità generale, e soprattutto l'innesto standard a vite 42x1mm, di derivazione Praktica - Germania Est, che garantiva un parco di obiettivi molto ampio, con molti modelli economici. Per il salto al prestigio del grande formato la Pentax ha puntato all'allora di gran moda 6x7 e all'architettura Pentacon Six, aggiornata con le ultime novità tecnologiche e allineata alla qualità giapponese. Questo significava che l'otturatore era a controllo elettronico e, in unione al pentaprisma esposimetro, la esposizione era automatica a priorità dei diaframmi, una novità assoluta per il medio formato. Il problema era invece che, a causa della scelta del grande formato 6x7, tutto l'apparecchio era più grande e pesante di un 20% almeno rispetto alla Pentacon Six (che già non era compatta). Peso e dimensioni inibivano quasi completamente l'uso a mano libera per fotografi che non fossero dotati di forza e resistenza fuori dal comune. L'otturatore a tendina con i noti limiti di sincronizzazione con il flash elettronico, gli stessi della Pentacon Six, rendevano l'apparecchio poco o nulla adatto al lavoro in studio o con luce artificiale. Infine il costo, per la costruzione di prim'ordine, non si distaccava molto da quello della Hasselblad. La diffusione è stata quindi piuttosto limitata, anche se i lunghi anni di produzione, il buon nome della casa costruttrice e la ricca dotazione di accessori hanno garantito comunque un numero di vendite tale da non farne un apparecchio raro. Probabilmente è stata più diffusa tra i fotoamatori evoluti interessati alla foto naturalistica e al paesaggio, che tra i professionisti. |
Il formato 4,5x6 esisteva da anni sul formato 120. Consentiva di arrivare a 15 foto per pellicola, aumentando l'autonomia e diminuendo i costi. Solitamente era una variante per le macchine folding, ottenuta inserendo una mascherina, ma esistevano anche le versioni 4,5x6 delle principali folding (Nettar, Ensign, Ikonta, ecc.) ancora più compatte e particolarmente adatte per i ritratti, grazie al formato "portrait" (rettangolare verticale) e al fatto che venivano usati gli stessi obiettivi normali delle 6x6 (75mm o 80mm) che sul formato minore diventavano quasi tele da ritratto. Negli anni '80 ad alcuni produttori venne l'idea di riesumare il 4,5x6, con una nuova idea di base: lo scorrimento verticale della pellicola. In questo modo il formato diventava orizzontale, come nelle 35mm di derivazione Leica. Un formato più versatile e naturale (i nostri due occhi sono in orizzontale). |
Apripista era stata, già dal 1975, la Mamiya 645E, poi seguita dalla Pentax 645 (1984) e dalla Bronica 645 ETR. Erano vicine rispettivamente all'architettura SLR (Pentax e Mamiya) e all'architettura Hasselblad (Bronica). La Bronica ETR adottava in toto la struttura della Hasselblad, con tutti gli annessi vantaggi (sistema totalmente modulare, dorso intercambiabile, sincronizzazione con tutti i tempi). La Pentax 645 era più simile ad una SLR con scorrimento della pellicola verticale; l'otturatore era a tendina e arrivava a 1/60", consentiva così l'uso in studio nella gran parte dei casi. Il dorso non era intercambiabile ma lo era il portapellicola, e poteva usare anche pellicola 70mm con appositi caricatori da 90 pose. Era anche motorizzata, e più vicina ad una SLR 35mm (impugnatura orizzontale, pentaprisma fisso, otturatore a tendina) e quindi più adatta a foto d'azione. La Bronica era più orientata al lavoro in studio ma usabile tranquillamente per foto d'azione, anche grazie alla comoda impugnatura con leva di carica incorporata. Il primo modello della Mamiya (645E) aveva una forma vicina al modello Hasselblad, ma con impugnatura, e una architettura però stile SLR, con otturatore a tendina, pentaprisma fisso e dorso non intercambiabile. Era quindi un ibrido non così interessante come le successive Bronica e Pentax. In tempi successivi la Mamiya ha però proposto il modello Mamiya 645 PRO (sotto), dotato di dorso intercambiabile e quindi più adatto per foto in studi o per servizi su commissione, valida alternativa alla Bronica ETR, anche se con il meno pratico otturatore a tendina. Tutti questi apparecchi condividevano vantaggi considerevoli sia rispetto alle 35mm sia rispetto alle 6x6, senza sostanzialmente alcun svantaggio. |
I vantaggi rispetto al 35mm: formato più grande di oltre 2 volte e mezza, sostanzialmente analogo al 6x6 per foto da stampare (sul 6x6 una parte è comunque non stampabile); formato rettangolare con rapporto esattamente di 4/3, più adatto ai formati di stampa del 24x36 (3/2) che anch'esso impone un taglio di parte del fotogramma. I vantaggi rispetto al 6x6: peso e dimensioni inferiori (analoghe a quelle delle SLR 135), anche grazie alla lunghezza focale minore e il minor peso e ingombro dei teleobbiettivi. Peso e dimensioni portano poi tutti i comprensibili vantaggi indiretti: minori vibrazioni, possibilità maggiori di utilizzo in foto d'azione a mano libera, possibilità di utilizzare tempi di esposizione più lunghi, maggiore autonomia per ogni pellicola (fino a 30 pose con la 220, quindi molto vicino alle 36 pose del 35mm). Svantaggi? Soltanto uno: la minore diffusione e quindi la scarsa reperibilità delle pellicole 120 (ancora peggio per le 220 e per il 70mm). Il formato 135 è (o era) invece reperibile in ogni angolo del pianeta. Perché questi apparecchi ideali o quasi non hanno conquistato il mercato e non hanno dato origine a uno stuolo di imitatori? La risposta è unicamente nei costi, molto più vicini alle medio formato 6x6 che alle SLR 35mm. La reperibilità delle pellicole ha forse costituito un ostacolo per la diffusione in campo professionale foto giornalistico, ma in questo settore l'esigenza del medio formato non era affatto sentita, gli editori accettavano i negativi 35mm e i modelli Nikon e Canon di punta sembravano del tutto adeguati a coprire ogni esigenza dei fotografi. Le SLR 4,5x6 sono quindi rimaste un fenomeno di nicchia, senza seguito apprezzabile, anche se hanno costituito forse il migliore compromesso raggiunto nella tecnologia analogica. |
Dopo il 2000 sono progressivamente usciti di produzione tutti i modelli citati (l'ultimo è stato la Bronica ETRSi, nel 2004), ma in parallelo un nuovo apparecchio con questa architettura è stato proposto dalla Kyocera Corporation con il marchio Contax 645. Si tratta di un eccellente apparecchio, forse il migliore apparecchio analogico mai prodotto, sintesi di tutte le innovazioni tecnologiche e delle possibilità offerte dalle pellicole chimiche. L'architettura è modulare tipo Hasselblad, con scorrimento della pellicola orizzontale e quindi fotogramma orizzontale, ma l'otturatore è a tendina. E' però molto veloce e quindi da un lato garantisce tempi molto brevi (1/4000") ideali per foto con teleobbiettivo, e dall'altra una sincronizzazione flash a 1/125", sostanzialmente sufficiente anche per foto in studio e servizi. L'avanzamento è a motore e arriva fino a 1,6 fotogrammi al secondo, e il quadro è completato dagli eccellenti obiettivi Zeiss e dalla disponibilità di diversi dorsi con CCD, che la possono trasformare in una moderna macchina digitale. Il meglio dei due mondi più uno (SLR 35mm e medio formato, e fotografia digitale) in un solo apparecchio. Purtroppo costosissimo. E anche uscito di produzione non molti anni dopo (nel 2006) con l'abbandono della Kyocera del marchio Contax e di tutta la produzione di macchine fotografiche di prestigio. Ha avuto però comunque una discreta diffusione grazie al progetto molto azzeccato ed è quindi un modello che si può trovare ancora su eBay. A prezzi certo non economici, ma comunque dello stesso ordine di grandezza dei pesanti e costosi apparecchi reflex digitali di fascia alta Canon o Nikon, rispetto ai quali ha ancora qualcosa da dire. |
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A parte le folding, che per il loro interesse specifico nel mercato dell'usato trattiamo a parte, nel corso degli anni sono stati proposti alcuni apparecchi non reflex di medio formato a corpo rigido per il mercato professionale. Si tratta in generale di macchine di grande fascino ed elevata qualità, ma inevitabilmente più scomode delle reflex, che hanno avuto una diffusione minore, quindi solitamente di non facile reperibilità e prezzo elevato. I modelli più significativi sono stati la Koni Omega Rapid-M, la Mamiya Super 23, la Fujica 690 (anni '60) e, in tempi più recenti (anni '80), le Mamiya 6 e 7 e diversi modelli Fuji, alcuni in produzione anche fino a dopo il 2000 e dotati degli ultimi ritrovati tecnologici (avanzamento motorizzato, esposizione automatica, zoom). |
Koni Omega Rapid-M |
Prodotta dalla Konica, maggiormente nota (in seguito) per la celebre Autoreflex-T e per vari modelli compatti, la Koni Omega M e Rapid-M era pensata come una delle tante alternative economiche (relativamente) alla Hasselblad per il mercato professionale. Gli elementi caratterizzanti erano l'avanzamento rapido della pellicola, il caricamento dell'otturatore con una unica leva ad estrazione nel modello superiore (da cui il nome Rapid, nessuna relazione con le omonime pellicole Agfa) e il dorso intercambiabile. Gli obiettivi
intercambiabili erano accoppiati al telemetro e il mirino galileiano era
comodo e di grande visibilità. Ogni obiettivo era dotato di un suo otturatore
centrale e quindi la sincronizzazione con il flash elettronico era totale.
I dorsi erano
sostituibili in qualsiasi momento grazie ad un volet (protezione dalla luce)
estraibile ed erano previsti per i formati 6x7 e 6x9 su rollfilm, oltre che
per pellicole piane.
Le caratteristiche descritte, assieme all'ottima qualità degli obiettivi, ne hanno fatto un apparecchio abbastanza diffuso tra i professionisti, soprattutto per servizi all'aperto (matrimoni in primo luogo) e soprattutto in USA. |
La Mamiya Super 23 |
Anch'essa in produzione per anni, la Mamiya Super 23 aveva una architettura sostanzialmente simile alla Koni Omega M, con l'unica differenza che era orientata più ai servizi in studio o in posa che alle foto d'azione. La sua caratteristica era infatti il dorso, non solo intercambiabile, ma anche movibile mediante ancoraggio su 4 punti, nonché la possibilità di visione su vetro smerigliato. Grazie a questa funzionalità, pressoché unica nel medio formato, la Super 23 poteva svolgere anche le funzioni normalmente affidate alle costose e complesse macchine da studio a soffietto su banco ottico (Linhof, Sinar, Arca Swiss e simili). Con l'apparecchio su cavalletto era possibile inquadrare e controllare l'immagine sul vetro smerigliato (togliendo il dorso e ad immagine totalmente invertita, come per le suddette macchine a banco ottico). Mediante anelli di prolunga era possibile fare in questo modo immagini ravvicinate (riproduzioni di oggetti per cataloghi e simili). I movimenti del dorso consentivano di aumentare ulteriormente il tiraggio dell'obiettivo (per foto ancora più ravvicinate) e di controllare la prospettiva mediante decentramento o basculaggio. Il tutto non era comodo come nelle macchine a banco ottico, ma la Super 23 poteva anche essere usata per normali foto a mano libera e aveva un costo decisamente inferiore. Non era neanche questa una macchina leggera o maneggevole, ma consentiva di arrivare al formato 6x9 conciliando l'uso a mano libera e la versatilità del sistema a ottiche intercambiabili, conquistando quindi un suo ruolo nel mercato e un duraturo apprezzamento. |
Le medio formato Fuji |
Il terzo apparecchio di questo piccolo gruppo che citiamo sembra aver avuto una motivazione più tecnologica che funzionale, e difatti non risulta che abbia avuto una particolare fortuna in campo professionale e tanto meno amatoriale. L'idea della Fuji era traslare l'architettura della Leica sul medio formato 6x9. La Fujica 690 di fine anni '60 era quindi molto simile alla Leica serie M, con obiettivi intercambiabili a baionetta, mirino galileiano, messa a fuoco a telemetro accoppiato, leva di avanzamento rapido (per la grandezza del formato erano necessari però due movimenti ad ogni scatto), corpo rigido in metallo. L'unica differenza tecnologica era nell'otturatore, che era di tipo centrale in ogni obiettivo e non a tendina. Un otturatore a tendina su un formato così grande non sarebbe stato d'altra parte praticabile sia per l'ulteriore incremento nelle dimensioni, sia per il tempo di otturazione a fotogramma aperto (e quindi di sincronizzazione con il flash) che non avrebbe potuto superare il 20mo di secondo, rendendo impossibile l'uso del flash in luce diurna o mezza luce. Ma altri erano i limiti dell'apparecchio: le foto disponibili per ogni rullino nel formato 6x9 erano ridotte a 8 o al massimo 16 nel formato 220 (di non facile reperibilità) e il peso con l'obiettivo normale raggiungeva i 2 chili (e bisognava portarsi anche dietro gli altri obiettivi), più del doppio della Leica. Ogni velleità di uso nel fotoreportage era quindi vanificata. La mancanza di dorsi intercambiabili rendeva peraltro l'apparecchio poco adatto a servizi e in particolare alle foto di matrimoni, dove, inoltre, il formato 6x9 non era richiesto né necessario. Restava la fotografia paesaggistica di grande qualità (esempio calendari) dove però erano da tempo disponibili anche altre alternative, come le macchine a grande formato con dorso per rollfilm. Nonostante questi limiti l'apparecchio è stato in produzione per anni e ha dato il via a tutta una serie di modelli a telemetro per il medio formato proposti negli anni dalla Fuji, con diverse architettura (tra cui interessanti recuperi delle folding in chiave moderna). La casa madre d'altronde era il numero due al mondo nelle pellicole, non aveva certo bisogno dei profitti della sua divisione "fiore all'occhiello" attiva nel medio formato per quadrare i bilanci. |
Le folding medio formato |
Le folding (pieghevoli) hanno raggiunto senza dubbio il miglior rapporto possibile in fotografia tra qualità, costo, peso e ingombro. L'idea di base risale agli albori della fotografia, e consiste nell'utilizzare il coperchio di una scatola, incernierato su un lato, come base per il gruppo ottico, e un soffietto a tenuta di luce come elemento flessibile di connessione tra il gruppo ottico e la lastra (o la pellicola) posizionata sull'altro lato della scatola. Chiudendo il coperchio e comprimendo il soffietto la "scatola" ritorna alle dimensioni più ridotte possibili, aperto e con una slitta che supporta il gruppo obiettivo - otturatore diventa un apparecchio fotografico completo. In particolare le migliori macchine folding di grande formato avevano (e hanno tuttora) slitte di lunga estensione, in grado di avanzare di molto l'obiettivo e quindi di riprendere in macrofotografia, supporto dell'obiettivo (e a volte coperchio) inclinabile per poter effettuare correzioni della prospettiva (basculaggio), ulteriore slitta sulla staffa porta obiettivi per effettuare la correzione delle linee cadenti (decentramento). Sono quindi apparecchi fotografici completi, assimilabili a quelli su banco ottico. Le folding di medio formato (a lato una Voigtlander Perkeo I del 1950) riprendevano lo stesso schema con un obiettivo più circoscritto: ottenere dimensione compatte, tascabili, pur con un formato abbastanza grande da consentire stampe per contatto, semplici ed economiche. Il complemento ideale era la pellicola in rullo con protezione in carta, quindi prima il formato 820 e poi il 120. Su quest'ultimo supporto la dimensione ideale era 6x9, 8 foto che, stampate per contatto (non era necessario neanche un ingranditore) erano grandi quasi quanto le stampe standard fino a pochi anni fa (10x15). |
La macchina folding veniva venduta solitamente con una custodia in cuoio dotata di tracolla, e poteva trovare posto in una tasca di un giubbotto o di una giacca invernale. Le folding costruite nel corso degli anni sono state moltissime, negli anni '30 hanno raggiunto livelli tecnologici già apprezzabili, per arrivare poi negli anni '50 ad una completezza di funzioni vicina agli apparecchi moderni. Tutta la complessità tecnologica era concentrata nel gruppo obiettivo, per il resto era una questione di precisione meccanica nel movimento di apertura del coperchio e nella trasmissione dello scatto. Nei primi modelli lo scatto era anch'esso sul gruppo obiettivo, e spesso caricava anche l'otturatore, poi è stato spostato sul corpo macchina, con collegamento più o meno raffinato. Il mirino nei primi modelli era primitivo, a traguardo o a specchio sull'obiettivo. Poi è diventato di uso generalizzato un semplice mirino galileiano sul corpo macchina. E' stato sempre appannaggio dei modelli più completi e costosi il telemetro accoppiato, mentre alcuni modelli intermedi avevano un telemetro non accoppiato. Ma vediamo in dettaglio gli elementi base di una classica folding (nella fotografia sopra una Franka Solida III del 1948): |
Corpo macchina |
In metallo, ospitava soltanto i due rocchetti pellicola e il dorso apribile con il pressapellicola; nei modelli più semplici l'avanzamento era libero; in molti modelli dagli anni '30 in poi c'era un sistema per il blocco delle doppie esposizioni; le dimensioni potevano essere anche molto compatte (lo spazio per il negativo e i due rocchetti), il record è probabilmente della Voigtlander Perkeo, mentre altre macchine (come le Agilux Agifold) erano piuttosto ingombranti nonostante la struttura folding. |
Coperchio apribile per l'obiettivo |
Poteva essere incernierato in basso o su un lato, il sistema di fissaggio in apertura poteva essere più o meno raffinato tecnologicamente, in dipendenza della classe dell'apparecchio. Pochissimi modelli utilizzavano altri sistemi, come l'obiettivo telescopico della Braun Gloria. |
Soffietto |
In tela trattata, non differiva molto nei vari apparecchi: chiaramente è uno degli elementi più soggetti a problemi derivanti dall'età, ma anche di facile sostituzione in caso di presenza di fessure. |
Obiettivo |
Poteva essere a 3 o 4 lenti a seconda della classe dell'apparecchio; solitamente era disponibile una scelta tra 2 o 3 tipologie. In ordine di qualità crescente la Zeiss montava i Novar e i Tessar, la Voigtlander i Voigtar, Vaskar o Heliar, l'Agfa gli Agnar, Apotar e Solinar; gli obiettivi al vertice di questa scala hanno prestazioni tuttora ai massimi livelli raggiunti in fotografia, gli altri si difendono spesso molto bene. |
Otturatore |
Nei modelli migliori la scala dei tempi andava da 1" a 1/500" più posa B e T, si trattava solitamente del modello Compur-Rapid; in altri modelli (soprattutto i più datati) il tempo più breve poteva essere limitato a 1/300" o 1/200"; anche i tempi lunghi (i più soggetti a imprecisione con l'età) potevano essere mancanti; tutte le macchine con tempi almeno sino a 1/200" sono utilizzabili tranquillamente anche ora. |
Scatto |
In quasi tutti i modelli dalla seconda metà degli anni '30 è sul corpo macchina e agisce sull'otturatore con un sistema di leve, non complesso, ma che può essere uno dei punti deboli e quindi non funzionare bene o non funzionare affatto nei modelli in offerta; negli apparecchi che ne sono provvisti si può operare in questo caso con uno scatto flessibile. |
Caricamento dell'otturatore |
In quasi tutti gli apparecchi, anche relativamente recenti, non è accoppiato con l'avanzamento della pellicola; l'accoppiamento è meccanicamente complesso in macchine a corpo flessibile ed è stato realizzato nei modelli di punta (es. Agfa Super Isolette) addirittura con sistemi a rinvio idraulico; si tratta del principale limite per l'uso per foto d'azione. |
Telemetro |
Quando è presente è solitamente non accoppiato; la distanza rilevata deve essere quindi riportata a mano sulla scala delle distanze; la praticità d'uso è quindi la stessa di un telemetro esterno, l'unico vantaggio la compattezza; in alcuni apparecchi di punta è stato introdotto il telemetro accoppiato; particolarmente elegante la soluzione della Super Ikonta, totalmente ottica e senza delicati rinvii di tipo meccanico o idraulico. |
Esposimetro |
Normalmente non presente; in alcuni modelli anni '30 era presente un esposimetro ad estinzione (es. Agilux), non particolarmente utile perché funzionante solo in piena luce, dove è più che sufficiente la regola del 16; in modelli recenti (Super Isolette, Iskra, alcuni modelli Super Ikonta) era presente un efficace esposimetro al selenio, non accoppiato; solo una folding, l'Agfa Automatic 66, aveva addirittura l'esposizione automatica a priorità dei diaframmi. |
Alcuni esempi di folding ancora reperibili |
d |
Zeiss Ikon |
Ikonta e Super Ikonta |
Apparecchio di punta della Zeiss Ikon, in produzione per molti anni in innumerevoli versioni, montava i migliori obiettivi ed otturatori dei vari periodi, fino al Tessar 3,5 e al Prontor-S (da 1" a 1/500"); in altre versioni l'obbiettivo poteva essere il più economico ma comunque valido Novar Anastigmat. Nei modelli Super-Ikonta del dopoguerra era presente un telemetro accoppiato di tipo ottico, e in alcuni modelli c'era anche un esposimetro al selenio non accoppiato. Abbastanza diffuso e di conseguenza facilmente reperibile, prezzi abbastanza alti per la notorietà della marca e del modello. A lato una Ikonta essenziale ante-guerra con Tessar e Prontor-S. |
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Voigtlander |
Bessa |
Modelli sia 6x9 sia 6x6 (Bessa 66), meccanica eccellente, ai massimi livelli relativamente all'epoca. Obiettivi Vaskar, Voigtar, Heliar. Dimensioni molto compatte, soprattutto nei modelli con mirino a traguardo. Elemento critico: lo scatto rudimentale può rendere complesso l'uso con tempi lunghi. (A lato una Bessa 66 con Vaskar e mirino galileiano). |
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Voigtlander |
Meccanica eccellente, ai massimi livelli, comparabile con la concorrente Zeiss. Obiettivi Vaskar, Voigtar, Heliar. Otturatori Prontor e Compur in varie versioni, fino ad 1/500", solitamente con gli Heliar. Dimensioni estremamente compatte, le minori raggiunte dalle folding. Probabilmente la migliore tra le folding classiche. (A lato una Perkeo I con Vaskar). |
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Agfa |
Isolette / Jsolette |
La più diffusa tra le folding, nelle sue varie versioni, grazie al rapporto ottimale tra prestazioni e prezzo. Vari modelli di obiettivo e otturatore, da economici a prima qualità. Telemetro (ma non accoppiato) negli ultimi modelli (Isolette III). Obiettivi Agnar, Apotar, Solinar. La Isolette con obiettivo Solinar 85mm e otturatore Prontor-S 1/500" si pone ai massimi livelli delle folding. (A lato una Isolette II con Apotar). Il modello derivato Super Isolette era una formidabile, ma complessa e delicata, macchina fotografica folding automatica. |
d |
La produzione degli anni d'oro |
Moltissime altre sono state le folding, alcune notevoli per vari aspetti. Sempre di produzione tedesca le Balda, Dacora, Kodak, Franka Solida, Adox, Welta, Braun, inglesi le Ensign e Agifold, tedesche dell'Est: Certo Six, russe: Moskva e Iskra, cinesi: Seagull. Da
segnalare tra tutte la Iskra, un modello relativamente recente (anni '60),
ispirato all'Agfa Super Isolette, che ha tutto quello che una folding può
avere: tempi completi, obiettivo di grande qualità, telemetro accoppiato,
caricamento integrato pellicola e otturatore, esposimetro, mantenendo comunque
una apprezzabile compattezza. Il modo più comodo di fare foto con una folding.
Non è
molto rara, è disponibile essenzialmente da venditori russi, i prezzi non
sono solitamente bassi, ma neanche
proibitivi (intorno ai 100€). |
In sintesi le folding 6x6 rappresentano il modo più semplice ma anche più soddisfacente per avvicinarsi al mondo del medio formato per molti motivi: a) il costo di acquisto molto basso b) la compattezza che consente di portarsele in viaggio ovunque c) la facilità di utilizzo delle immagini d) la tuttora discreta reperibilità delle pellicole d) i bassi costi di esercizio e) la qualità delle immagini, già notevole per gli apparecchi medi e sorprendente per quelli di punta. I limiti sono intrinseci: l'esposizione e la messa a fuoco totalmente manuali (vedi) e l'avanzamento lento, che le rende inadatte alle foto d'azione. Campo naturale è quindi la fotografia paesaggistica. Per i ritratti, poiché montano solitamente mezzi grandangolari (75mm) bisogna mantenere il formato mezzo-busto, avvicinandosi si può deformare la prospettiva e il viso della persona ritratta non verrà al suo meglio. Solo alcuni modelli Isolette con Solinar hanno obiettivi 85mm, più adatti. La possibilità di ingrandire a piacimento l'immagine consente però di ovviare all'inconveniente, tranne che per l'utilizzo orientato alla proiezione di diapositive. A lato una buona folding 4,5x6: la Ensign Selfix 16-20 |
Pare strano che una struttura così pratica ed efficiente sia stata abbandonata dagli anni '60 in poi. Probabilmente l'immagine "antica" ha condotto i progettisti a scegliere la struttura Leica anche per le macchine ad ottica fissa (Minolta Hi-Matic, Yashica Lynx, Zeiss Contessa ecc.). Molti anni dopo la struttura folding è tornata per un riuscito modello super compatto :la Minox EL. Ma qualcuno criticò il "ponte levatoio" vecchio stile di questo efficiente apparecchio, che però consentiva dimensioni compattissime. Nel medio formato è stata la Fuji a riprendere lo schema con il suo modello Fuji GS645 degli anni '80, nel formato 4,5x6. Tecnicamente era una macchina che aveva tutto quello che si poteva inserire in una folding, con una estetica moderna che comunque manteneva lo sportello (laterale) e il soffietto. Dimensioni però meno compatte delle migliori folding. Non si è trattato dell'unico modello che riprendeva l'architettura folding, il successivo Fuji GA645 utilizzava invece il sistema dell'obiettivo retrattile, come la Braun Gloria, ed era dotato anche di autofocus. Il successivo modello GA645Zi aveva anche un obbiettivo zoom, ed è rimasto in produzione sin dopo il 2000. Un elemento era però radicalmente diverso dalle folding storiche: il prezzo. Negli anni '50 una Isolette di fascia bassa aveva un prezzo alla portata di un operaio o di un impiegato, ed era pensata come macchina "di famiglia", una Isolette di fascia alta era più impegnativa, ma era comunque acquistabile con un modesto sacrificio economico, o a rate. La Fuji aveva invece un prezzo superiore di molte volte ad una buona compatta 35mm, la tipica "macchina di famiglia" degli anni '80, e poteva quindi interessare soltanto ai professionisti o ai foto amatori evoluti. Ma per queste categorie di clienti era troppo limitata come funzionalità, non avendo le ottiche intercambiabili. Ha avuto quindi una diffusione limitata, ed un utilizzo probabilmente circoscritto ad "apparecchio per appunti fotografici" o seconda macchina compatta o per foto di matrimoni da stampare in grande formato. L'era di eBay ha invece consentito a molti fotoamatori di riscoprire le folding e la loro praticità. Nessuno ha però sinora pensato di rimettere in produzione, ad esempio, la Iskra a prezzi accessibili. |
Con una semplice folding o con una costosa Hasselblad si ottengono immagini di qualità superiore a qualsiasi digitale. Ma come goderne in pratica? I negativi possono essere sviluppati e stampati dai laboratori più attrezzati, la stampa standard è 10x10 e non rende giustizia alle possibilità del formato. Naturalmente si possono fare ingrandire le foto migliori in formato poster (l'ideale è il 50x60), da incorniciare e appendere a parete in casa o in ufficio. Ma in questo modo potremo valorizzare in tutto 5 o 6 foto. Molto più pratico puntare sulle diapositive. Intanto il costo dello sviluppo è ridotto. Poi si possono utilizzare le pellicole migliori che tradizionalmente sono prodotte per questo uso piuttosto che per il negativo. Come la celebre Kodachrome. La Kodachrome è la migliore pellicola a colori mai prodotta, originariamente solo nella sensibilità 25 ISO, in seguito disponibile, con calo di qualità praticamente non avvertibile, anche a 64 ISO (il che consente di fare foto a mano libera in condizioni di luce relativamente scarsa). Il limite della Kodachrome è sempre stato il complesso sistema di sviluppo, fornibile solo dalla stessa Kodak nei suoi laboratori centrali. Bisognava quindi spedire le pellicole per posta e aspettare che tornino. Un prezzo da pagare in praticità per il massimo della qualità, e in particolare per la grana più fine ottenibile dal sistema di fotografia analogica. Parliamo al passato perchè nel frattempo (questo articolo è stato pubblicato la prima volta nel 2006) la Kodachrome è uscita definitivamente di produzione e anche l'ultimo laboratorio per il trattamento (centralizzato in USA) ha chiuso nel 2009. Comunque anche le diapositive standard, sviluppabili da qualsiasi laboratorio attrezzato con il processo E-4 hanno qualità molto elevata, da segnalare senz'altro la brillantissima Fujichrome Velvia. Riuscendo a trovare a) i telaietti per il montaggio; b) i caricatori Leitz; c) un proiettore 6x6; d) uno schermo perlinato riflettente; e) il posto dove montare in tutto, le diapositive possono essere proiettate a parete in formato anche superiore a qualsiasi poster, con risultati in grado di sorprendere chiunque. Poiché quasi tutti gli elementi elencati sopra sono di difficile reperibilità (fuori produzione o quasi) vale la pena di dare qualche informazione in più. Telaietti e caricatori si riescono a trovare nei negozi più specializzati (parliamo comunque di 5 o 6 in tutta Italia) oppure per corrispondenza su Internet o su richiesta dal negozio. Conviene sempre cercare su eBay (soprattutto nel sito tedesco) è più facile trovarli (spesso sono usati, dismissione di magazzini o simili) e i prezzi sono più bassi. Alcuni proiettori può darsi siano ancora in produzione (Rollei o Leitz) ma costano cifre iperboliche. Più realistico puntare sull'usato, anche perché non sono apparecchi particolarmente complicati e la eventuale riparazione o messa a punto è alla portata di qualsiasi laboratorio.
Il più diffuso tra i proiettori medio formato è il Rollei P-11, in produzione per decenni, reperibile su eBay (soprattutto in Germania) a prezzi ragionevoli, ma comunque più elevati di quelli delle folding e anche delle reflex più diffuse (Pentacon Six). Ne vale però la pena, perché è un ottimo prodotto, tra l'altro anche bistandard (va bene anche per le 35mm, anche mischiate alle 6x6). Esistono anche altri modelli Rollei solo 6x6, più recenti, solitamente più rari e costosi. Schermo e spazio sono il punto dolente, ma chi ha già un impianto Home Theater dovrebbe aver già risolto questi problemi, basta trovare un supporto ad altezza adeguata per il pesante P-11. Se la stanza non è molto grande (sotto i 6 metri circa tra proiettore e schermo) servirà anche un obiettivo di corta focale per proiettare una immagine abbastanza grande. Le diapositive possono anche essere convertite in digitale ed utilizzate su computer o per successive elaborazioni e stampe sempre da PC, senza bisogno di passare dal negativo. Gli scanner fotografici in grado di trattare anche il formato 6x6 costano un occhio della testa. Una buona alternativa è l'utilizzo di uno scanner piano adatto alla digitalizzazione di negativi. La procedura sarà un poco più laboriosa ma la qualità più che adeguata, e il costo molto basso. Proiezione o scannerizzazione diventano molto più complessi con formati superiori al 6x6 (6x7, 6x8, 6x9). In particolare i proiettori per diapositive sono praticamente introvabili. Se anche si trovassero, ne sono stati prodotti molto pochi, sarebbero carissimi. Uno dei motivi per cui il "formato ideale" 6x7 tanto ideale non è. Per il formato inferiore (4,5x6) problemi invece non ce ne sono, Le cornicette per diapositive sono difficilmente reperibili, ma si può ovviare facilmente con nastro adesivo nero sul vetrino. Volendo usare invece il bianco e nero la opzione diapositive decade, non essendo in commercio pellicole diapositive B&N. Teoricamente è possibile la inversione, ma è un procedimento alla portata solo di foto amatori ancora dotati di un proprio laboratorio fotografico per lo sviluppo. In questo caso la strada più pratica per l'utilizzo delle immagini è la scannerizzazione, tranne che, ovviamente, per i foto amatori con laboratorio fotografico e ingranditore adatto al formato 6x6. Ingranditori e accessori non costano molto, tempo e spazi in una casa moderna sono l'elemento che solitamente scarseggia per coltivare questo hobby vintage. |
Agfa Silette SL Solinar |
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© Alberto Maurizio Truffi - Musica & Memoria 2006 / Revisioni: Novembre 2007 (immagini Koni Omega, Fuji 690, Mamiya Super) - Agosto 2010 (immagini Contax 645, aggiornamento testi) - Dicembre 2011 (precisazioni e integrazioni su Olympus OM1-OM2, Leica CL, nuova sezione sulle Leica e aggiornamenti legati al tempo trascorso) / Gennaio 2022 (aggirnamwnti sulle ultime macchine analogiche) / Riproduzione del testo e delle immagini non consentita |
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