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The Lion Sleeps Tonight (Wimoweh) - La storia |
La storia di questa canzone inizia nel 1939 in Sud Africa, precisamente a Johannesburg, negli studi della casa discografica Gallo Records. Benché la vita dei neri sudafricani non fosse tutta rose e fiori, all’epoca non vigeva ancora l’apartheid, anzi, il governo sudafricano incoraggiava l’emancipazione e l’integrazione degli Zulu nella società creata dai bianchi. Solomon Linda era appunto uno Zulu inurbato, che vestiva come i bianchi, parlava inglese e afrikaans, e si esibiva come cantante con un proprio complesso vocale, chiamato The Evening Birds. Il suo repertorio era formato da canti tradizionali Zulu, che arrangiava personalmente per renderli più orecchiabili, almeno secondo gli standard musicali europei. Quando incise Mbube, Linda fece trascrivere su pentagramma la nenia di un canto tribale che, secondo l’interpretazione più accreditata, apparteneva a un rituale Zulu, ed era intonato prima di iniziare una battuta di caccia al leone (“mbube”, in lingua Zulu, significa appunto “leone”), mentre secondo un’altra interpretazione, più terzomondista, era dedicato all’ultimo re Zulu, Chaka, il “leone” addormentato mentre il suo popolo rimaneva soggiogato dai bianchi invasori. Peccato che il testo non parli affatto di leoni dormienti, anzi, a dire il vero non esiste neppure un testo, giacché l’ unica parola di senso compiuto, scandita ossessivamente dal coro, è “uyimbube”, che significa all’incirca “io sono il leone”. Dopo di che, Solomon Linda e il suo gruppo effettuarono tre registrazioni, improvvisando di volta in volta dei gorgheggi in falsetto sulla lenta e solenne base ritmica. Di queste tre registrazioni venne scelta, per essere pubblicata su disco, quella che, nel finale, accennava una linea melodica di una dozzina di note: in realtà la canzone, sia pur arrangiata e addolcita, rimane un canto ritmico tribale, privo di una vera melodia (se si eccettuano appunto gli accenni di gorgheggio di Solomon Linda). Comunque il disco fu pubblicato con l’etichetta Gallotone, ed ebbe un grosso successo in Sud Africa: si stima che abbia venduto 100.000 copie, una cifra molto elevata se si pensa che il mercato dei 78 giri era molto ridotto, incomparabile con quello dei successivi 45 giri (e considerando anche il fatto che in Sud Africa non erano poi molti quelli che possedevano un grammofono!). Quanto all’autore, il foglio di musica compilato secondo le indicazioni di Solomon Linda, fu depositato alla Società degli Autori sudafricana e accreditata a un fittizio Paul Campbell, in realtà lo pseudonimo collettivo del gruppo degli Evening Birds. I proventi dell’incisione di Mbube furono così divisi tra i membri del gruppo, ma il successo durò solo per il biennio 1939-40 e ben presto la fonte di quel guadagno si esaurì. Nel 1952, ignaro di quanto stava accadendo in America, Linda cedette i diritti di copyright alla casa discografica Gallo per 10 scellini, una cifra assolutamente ridicola. Quando morì, nel 1963, la sua canzone stava facendo il giro del mondo, procurando favolosi introiti ad altri soggetti, ma il patrimonio di Linda ammontava a soli 25 dollari: la vedova non riuscì nemmeno a pagargli una lapide sepolcrale. |
L’America non è interessata agli Zulu |
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Nel 1940 la sudafricana Gallo Records aveva cercato inutilmente di allargare il successo locale di Mbube, tentando di assicurarsi la distribuzione internazionale attraverso case discografiche più grandi e potenti. Per via dei legami politici e commerciali tra Sud Africa e Regno Unito, si rivolse allora all’inglese Decca, la quale però escluse decisamente che una simile canzone avrebbe interessato il pubblico britannico (e tuttavia nel 1962 la versione modernizzata di questa canzone andò al numero uno delle classifiche inglesi, ad opera del Karl Denver Trio), così consigliò alla Gallo di rivolgersi alla filiale Decca americana. Ma nemmeno i discografici statunitensi vedevano un futuro per quella canzone così “africana”, e ritennero che il pubblico americano di colore avesse gusti musicali ben più evoluti (e questo era certamente vero), per apprezzare un canto tribale così rozzo. |
Ma non sarebbe stato il pubblico di colore ad apprezzare Mbube, bensì quello bianco: o, almeno, quella parte di pubblico intellettualizzata ed entusiasta di ogni forma musicale autenticamente folk. Alan Lomax, figlio del pioniere della musicologia John Lomax, uno dei più grandi musicologi ed etnologi del Novecento, si imbatté qualche anno più tardi nel disco che la Decca americana aveva ricevuto dalla Gallo Records, e ne afferrò subito le potenzialità nel campo della musica etnico-folkloristica che egli sosteneva e propagandava. Nel 1950 Alan Lomax era già un personaggio mitico negli ambienti intellettuali, e non ebbe difficoltà a trovare il gruppo folk adatto a una canzone come Mbube. Il gruppo si era costituito nel 1948 sulle ceneri dei prestigiosi Almanac Singers (disciolti durante la guerra per la loro attività pacifista), le cui personalità preminenti erano Woody Guthrie e Pete Seeger. La nuova formazione, costituitasi attorno a Seeger, si chiamò The Weavers, e la sua funzione era di avvicinare la gente comune alla musica etnica tradizionale attraverso arrangiamenti più moderni e accattivanti. Non era quindi un progetto improntato a un purismo spinto, i Weavers potevano usare tutti i mezzi, anche la gigioneria, il modo di fare buffonesco di Pete Seeger, pur di infiammare le platee e far loro amare le musiche “alternative”. Cosa che avveniva regolarmente, ovunque si esibissero i Weavers, ma il successo era comunque limitato a settori di pubblico selezionato.
Il progetto di raggiungere il grosso pubblico impiegò una decina di anni per realizzarsi, quando su iniziativa di Seeger venne varato il Festival di Newport e un certo numero di artisti folk arrivò a scalare le classifiche nazionali. Ma quando ciò avvenne, i Weavers non erano lì a raccogliere i frutti del loro lavoro di pionieri del folk; erano stati di nuovo forzatamente disciolti nel 1953 a causa del maccartismo, che vedeva in ogni intellettuale innamorato di altre culture, un “antiamericano” socialmente pericoloso. Comunque, quando nel 1951 essi inclusero la canzone sudafricana nel loro repertorio, la resero molto popolare: dovettero però attendere il 1954 per poterla incidere su disco, non avendo alcun contratto discografico. In concerto, com’era loro abitudine, i Weavers adattarono la canzone alle proprie capacità strumentali e vocali, ne accelerarono il ritmo, dotandolo di un certo swing, e ne cambiarono il titolo. Mbube era effettivamente una parola ostica da pronunciare, e Lion sembrava un titolo troppo banale. Poiché l’unica parola ripetuta dal coro (uyimbube, come si è visto) suonava in inglese come se fosse scritta awimoweh, il titolo divenne così Wimoweh (non si è mai capito perché senza la “a” iniziale…) Sui fogli di musica l’autore fu correttamente citato come Paul Campbell, così come indicato sull’etichetta del disco Gallotone, ma siccome risultava sconosciuto alla società americana degli autori, ci vollero parecchi anni per capire a chi far pervenire i proventi delle vendite dei dischi e delle esecuzioni pubbliche di Wimoweh. Purtroppo, Solomon Linda aveva appena venduto i diritti alla Gallo Records, per un… piatto di lenticchie, come fece Esaù con la sua primogenitura, così i proventi di questo primo rilancio americano (anche se non ancora favolosi) andarono a una società commerciale e non al vero autore. |
Se i Weavers facevano fatica ad incidere su disco la loro Wimoweh, il successo dei loro concerti (dove il pubblico cantava in coro con loro a-wimoweh, a-wimoweh, a-wimoweh...) indusse ben presto altri artisti a sfruttarne la popolarità, vendendo dischi con i più svariati arrangiamenti della canzone, nel tentativo di renderla più appetibile al grosso pubblico, poco avvezzo alle sonorità folk. Il panorama musicale americano stava mutando rapidamente, ma nei primi anni ’50 avevano ancora buona popolarità i gruppi vocali di estrazione jazzistica, giustamente apprezzati per l’abilità nell’intreccio delle voci, capace di formulare accordi difficili e originali. Non era Wimoweh, però, il brano che poteva adattarsi a quelle raffinatezze vocali, e infatti le versioni dei vocalists Tuxedo Swingers e Easy Walkers passarono praticamente inosservate, come anche quella, classicamente jazzistica, di Jimmy Dorsey: il periodo d’oro delle Big Band era tramontato, e il tentativo di trattare Wimoweh nello stile Big Band risulta oggi, all’ascolto, ancora più incongruo di allora. Ma in realtà occorre riconoscere a Jimmy Dorsey di aver individuato una linea melodica ben precisa nel gorgheggio improvvisato da Solomon Linda verso la fine di Mbube, e di averla evidenziata a sufficienza, nelle battute iniziali, per rendere palese l’ispirazione che portò poi alla versione “definitiva” della canzone. Ma nessuno colse, lì per lì, quello sviluppo melodico: avrebbero dovuto trascorrere altri dieci anni perché esso diventasse la carta vincente per il successo mondiale del ritmico canto tribale degli Zulu. |
Nei primi anni ’50 vi furono altre versioni della canzone ormai conosciuta come Wimoweh. Del 1952, l’anno successivo a quello in cui i Weavers l’avevano fatta conoscere, sono quelle già ricordate di Jimmy Dorsey, dei Tuxedo Swingers e degli Easy Walkers. A queste va aggiunta la versione, sempre del 1952, di Yma Sumac, una cantante peruviana dalla voce eccezionalmente estesa, nota all’epoca come “l’usignolo delle Ande”, ma dal 1946 newyorkese a tutti gli effetti (otterrà la cittadinanza americana nel 1955). Versione non del tutto esotica, dunque, ma per combinazione, nello stesso 1952 un altro gruppo sudafricano incise Wimoweh. Sì, proprio la Wimoweh più veloce e con un certo swing arrangiata dai Weavers, piuttosto che una copia di Mbube. La pubblicò sempre la Gallo Records di Johannesburg, subito dopo averne acquistato i diritti da Solomon Linda per la “favolosa” somma di 10 scellini. Probabilmente in Sud Africa si pensava che la versione americana fosse più... esotica di quella locale, tant’è vero che il gruppo a cui fu affidata la canzone si chiamava The Manhattan Brothers, pur essendo composto da genuini Zulu! Ma questa versione non ebbe un successo paragonabile a quello di Solomon Linda dodici anni prima, così come le varie versioni americane non raggiunsero nemmeno lontanamente le vendite del disco dei Weavers, quando questo fu finalmente pubblicato nel 1954 dalla casa discografica di Lomax, la Folkways Records (una piccola struttura artigianale, con seri problemi di distribuzione, che vendeva poche migliaia di copie). |
Wimoweh fu una felice eccezione, il più grande successo della Folkways: le stime delle vendite partono da un minimo di 200.000 copie. In seguito vi fu ancora una versione tardiva nel 1955, dei Wilder Brothers, ma la canzone sembrava definitivamente archiviata, almeno per quanto riguardava i discografici, e se sopravviveva nella memoria di qualcuno, era solo grazie agli spettacoli dal vivo di Pete Seeger e di altri folk singers. |
Dopo lo scioglimento forzato dei Weavers, infatti, Pete Seeger, inquisito
dalla Commissione per le attività antiamericane, sorvegliato a vista dall’FBI e
sottoposto a restrizioni della propria libertà, proseguì da solo la propria
missione lottando contro ogni tipo di ostacolo e di boicottaggio. Nel 1955 riunì
saltuariamente i Weavers per qualche concerto, ma si esibì prevalentemente come
solista, portando in giro per l’America il repertorio folk che già apparteneva
al gruppo, e siccome era un suonatore di banjo, era costretto ad arrangiare i
brani per l’uso di quello strumento. La versione di Wimoweh che eseguiva nei
suoi recital era ancora priva di una linea melodica (ignorando così l’intuizione
di Jimmy Dorsey), e si limitava a modulare gridolini in falsetto. Non era più
folklore africano, ma non era nemmeno una canzone commerciabile: pareva davvero
essere destinata alle esibizioni dal vivo, nelle quali conta assai di più la
comunicativa dell’artista, che non il fascino delle canzoni. Il Kingston Trio era in quel momento all’apice del successo, avendo raggiunto la vetta delle classifiche di mezzo mondo con la loro versione di Tom Dooley, un brano western tradizionale, che diede il via a una vera e propria “moda” della canzone folk, destinata a durare fino al 1963. Naturalmente non era Wimoweh il pezzo forte di quel concerto dal vivo (registrato a San Francisco in un locale chiamato Hungry I), ma la sua presenza in un disco che resistette nelle classifiche per 178 settimane, contribuì a mantenerne vivo il ricordo e in qualche modo fu responsabile dei successivi sviluppi della vicenda. |
Nel 1960 The Linc-Tones, un gruppo vocale di Brooklyn che aveva lavorato con Neil Sedaka all’inizio della sua carriera, si era ricostituito col nome The Tokens per iniziativa di Hank Medress, unico superstite della precedente formazione, ma era rimasto pressoché disoccupato. La RCA, la più potente casa discografica di New York, aveva già rifiutato i Linc-Tones quando ingaggiò Neil Sedaka, sostenendo di avere già gruppi di supporto molto migliori di loro, e anche dopo aver inciso un singolo per la piccola etichetta Warwick (Tonight I fell in love, in puro stile Sedaka, che ebbe comunque un certo successo) non riuscirono ad ottenere un contratto discografico stabile. Il nuovo gruppo decise allora di dedicarsi al genere folk, dato che quel tipo di musica era in gran voga in quel momento, e dopo aver ricevuto parecchi rifiuti, i Tokens si rivolsero ai produttori indipendenti, legati sì alle grandi Case per la distribuzione dei dischi, ma assolutamente autonomi in campo produttivo. Hugo Peretti e Luigi Creatore, a buon titolo considerati una forza emergente della produzione indipendente (da qualche tempo lavoravano per Elvis Presley, in sostituzione di Jerry Leiber e Mike Stoller), per buona sorte dei Tokens operavano proprio a New York, e precisamente a Brooklyn. Peretti e Creatore non si erano ancora specializzati in un genere musicale, ma la loro “ditta”, nota come Hugo & Luigi, non aveva mai avuto a che fare col nuovo mondo della musica folk. Accettarono quindi di concedere un’audizione ai Tokens, i quali presentarono una loro versione di Wimoweh, conosciuta attraverso il diffusissimo disco del Kingston Trio. Né Peretti né Creatore conoscevano la storia della canzone, che d’altronde i Tokens avevano presentato come “tradizionale”, presumendo che tutto il repertorio del Kingston Trio fosse basato appunto su canzoni popolari, e quindi di autore anonimo. Invece sul disco del Kingston Trio la canzone era accreditata a Campbell-Linda: era la prima volta che compariva il nome del sudafricano, segno evidente che il trio folk conosceva bene la genesi di quella canzone, e ne riconosceva il vero autore in Solomon Linda. Peretti obiettò che il brano era privo di melodia, ma Creatore afferrò subito ciò che era sfuggito a tutti, tranne che a Jimmy Dorsey: la linea melodica c’era, andava solo sviluppata. Si mise immediatamente al lavoro per trovarvi un seguito, e ne venne fuori finalmente un refrain orecchiabile. Mbube non era più un canto tribale africano, ora era inconfondibilmente una canzone. Da parte sua, Peretti sostenne che occorrevano delle parole, per banali che fossero, perché non sarebbero bastati i gorgheggi in falsetto per farne un grosso successo. |
Il testo infatti è di una banalità sconcertante (lo è anche nella versione italiana, non a caso è considerata una canzone per l’infanzia), ma era assai meno importante della ricerca degli effetti esotici che Hugo & Luigi volevano creare. L’arrangiamento fu affidato al collaboratore abituale George Weiss, che suggerì tra l’altro di ingaggiare una voce soprano, Anita Darian, per sostituire alcune parti strumentali. Jay Siegel, la voce leader dei Tokens, era abilissimo nel falsetto, e ha sempre sostenuto di essere lui a cantare il refrain, ma non tutti ne sono convinti, perché la voce che si ascolta nel disco è veramente troppo “bianca”, con un’estensione molto più naturale del falsetto. Mitch Margo, il più giovane componente del gruppo, aveva allora 13 anni e molti sospettano che in realtà fosse sua la “voce bianca”. La canzone fu comunque registrata in diverse sedute, con sovrapposizione di voci, strumenti e “rumori esotici”, ed è un tipico prodotto da studio, irripetibile dal vivo (e infatti i Tokens si esibirono sempre in playback). Alla Società degli Autori il brano venne presentato come originale, col titolo The Lion Sleeps Tonight, parole e musica di Peretti, Creatore e Weiss. Fu pubblicata dalla stessa RCA che aveva rifiutato un contratto ai Tokens, ma che aveva piena fiducia in Hugo & Luigi. Tutti i partecipanti all’impresa erano convinti di aver fatto un ottimo lavoro, ma nessuno di essi (lo giurano ancora oggi) avrebbe immaginato le dimensioni cosmiche del successo che stava per arrivare. Non solo la nuova versione della vecchia Mbube scalò la vetta delle classifiche americane, ma anche quelle di un’altra cinquantina di Paesi (compresa l’Italia, Numero Uno nel 1962 e in classifica per 16 settimane; mentre in Gran Bretagna la versione dei Tokens non raggiunse il Top solo perché le venne preferita quella - pressoché identica - dell’inglese Karl Denver Trio). I Tokens, sull’onda di quel successo, pubblicarono con la RCA il loro bravo album folk (We, the Tokens, sing Folk) ma non riuscirono a sfondare in quel campo. Poco dopo sparirono definitivamente dalla scena, travolti come tanti altri gruppi dalla British Invasion, e cercarono di sfruttare la loro breve popolarità mondiale dedicandosi a loro volta alla produzione musicale, e alla scoperta di nuovi talenti. |
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La dimensione del successo di The Lion Sleeps Tonight smosse naturalmente le acque riguardo la proprietà intellettuale della canzone. Pete Seeger, indignato, si fece promotore di una causa per plagio, sostenendo che i favolosi diritti d’autore raccolti da The Lion Sleeps Tonight dovevano essere devoluti a Solomon Linda (ignaro del fatto che questi li aveva ceduti alla sua casa discografica). Ma quando la causa venne discussa, Peretti e Creatore ebbero buon gioco nel dimostrare che la loro composizione era solo vagamente ispirata a Mbube, e che la melodia che la contraddistingue non era contemplata nella composizione di Solomon Linda, così come registrata alla Società degli Autori sudafricana. E’ pur vero che il cantante accennava la stessa linea melodica durante l’incisione che venne poi pubblicata, ma l’esame delle altre sedute di registrazione del 1939, nelle quali tale melodia era assente, dimostrava che si trattava di una casuale ed estemporanea improvvisazione, sulla quale non aveva alcun diritto di copyright. Tuttavia, siccome Linda era morto povero in canna nel 1963, ancor prima del processo, su pressione dell’opinione pubblica Peretti e Creatore accettarono di devolvere una piccola percentuale dei loro proventi a un’istituzione sudafricana per la salvaguardia e la conservazione della cultura Zulu. Le anime candide degli Stati Uniti sembrarono soddisfatte, ma non così la vedova e le quattro figlie di Solomon Linda, che dopo l’uscita del film Il Re Leone (nel quale era utilizzata una versione strumentale di The Lion Sleeps Tonight) si impegnarono in una lunga e costosa controversia legale con la Disney per ottenere un milione e mezzo di dollari, che, a loro parere, erano dovuti al padre in quanto autore di una delle canzoni del film. Nel 2006 un tribunale del Sudafrica ha accolto finalmente la loro tesi, spogliando Weiss, Peretti e Creatore dei loro diritti, e la Abilene Music, attuale detentrice del copyright sulla canzone, ha stipulato un accordo con le eredi di Solomon Linda per dividere con loro i proventi passati e futuri. Anche la Folkways di Alan Lomax, benché non obbligata, dal 2003 sta pagando alle figlie di Linda un risarcimento per le versioni di Wimoweh registrate dai Weavers. |
Dal momento in cui Peretti e Creatore cambiarono il volto della canzone, introducendovi una melodia, le versioni di The Lion Sleeps Tonight divennero quasi impossibili da contare. Chi ci ha provato, è arrivato a elencarne 175 solo in lingua inglese, ma c’è da giurare che sia stata tradotta in tutte le lingue, e interpretata da artisti locali. In Italia, infatti, è conosciuta come Il leone si è addormentato, anche se in questa versione non entrò mai in classifica (si vendette praticamente solo l’originale dei Tokens) ma è considerata, per via della semplicità del testo, un “sempreverde” delle canzoni per bambini. Curiosamente, le varie versioni si succedettero ad ondate, distanziate di dieci anni l’una dall’altra, e per questa ragione The Lion Sleeps Tonight entrò nel repertorio di musicisti di almeno tre generazioni. Nel 1962 la canzone fu incisa da molti artisti per sfruttare il momento di enorme popolarità (e anche per fare concorrenza ai Tokens: certuni vi riuscirono, entrando in classifica dietro la versione originale, e in alcuni casi anche davanti), ma la versione più interessante, storicamente, è quella dei Belafonte Folk Singers, la cui voce solista era Miriam Makeba, una cantante sudafricana allora sconosciuta, e scoperta proprio da Harry Belafonte. La Makeba avrebbe raggiunto un grande successo personale qualche anno più tardi (con Pata Pata, del 1968), e in seguito avrebbe inciso diverse versioni della canzone, chiamandola Mbube per rispetto del suo sfortunato conterraneo Solomon Linda. |
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