Dalla rivista "Giovani"
del 1967 riprendiamo alcune testimonianze sull'intenso dibattito sui nuovi temi
che la canzone poteva veicolare, un dibattito che ruotava attorno alle famose
"linee" (estratti da "Giovani" n.47 del 28/12/1966,
interviste a cura di Daniele Ionio)
Mogol / Gianni
Morandi / Luciano Beretta
/ Herbert Pagani /
Note
D. Che rapporto c'è fra Bob Dylan, che è stato il
primo, grosso simbolo della nuova canzone di protesta, e le canzoni di protesta
italiane? Esistono dei temi particolari italiani che giustificano questo tipo di
canzone, evitando di farne una semplice copia, imitazione dei modelli americani?
R. Gli argomenti su cui si agita la protesta delle canzoni di Bob Dylan hanno
motivo di venir sostenuti anche in Italia sono: 1) la libertà 2) la cessazione
della guerra nel Vietnam 3) la fine della discriminazione razziale fra gli
uomini.
Ma io credo che questi non siano i soli temi per cui si deve protestare in
questo mondo. Ci sono altri temi, altrettanto importanti è anche più
importanti di quei tre argomenti. I valori della vita attuale, ad esempio,
fondati su presupposti falsi: la brama di potere, la brama di denaro, brame per
le quali soltanto l'uomo, oggi, sembra apprezzare il fatto di vivere. Bisogna
protestare, insomma, non solo per le degenerazioni della società che si trovano
all'ultimo, infimo gradino, ma protestare per tutto quello che c'è di sbagliato
ad ogni livello della scala sociale. Ma protestare non significa opporre
violenza alla violenza. La violenza chiama violenza. La protesta, invece, deve
essere costruttiva.
D. Quando e perché hai sentito la necessità di scrivere canzoni di protesta ?
R. Bè, io prima scrivevo canzone d'amore, è vero. Parlavo dell'amore eterno.
Ma potevo realmente credere sempre nell'amore eterno? No, era solo mestiere.
D. Come autore, o coautore, del "Ragazzo della
via Gluck" e del "Mondo in mi settima", ti senti di appartenere
ad una ben precisa corrente o linea?
R. Macchè linea e macchè canzone di protesta! Ci vuole soltanto l'amore. Non
esistono linee. Se ci sono linee, vuol dire che ci sono divisioni. E allora,
tutto va per aria, non si può più parlare di amore.
D. Quindi, a differenza di quasi tutti, tu non consideri il "Mondo in mi
settima" una canzone di protesta?
R. Assolutamente no. Perché dovrei protestare? Per che cosa? Semmai, il mondo
in mi settima è una denuncia, non una protesta. Denuncia dei fatti reali, e
basta. Sai, del resto, com'è nata questa canzone.
Abbiamo detto: "cosa scrivere?". Bè, proviamo ad aprire il giornale,
vediamo se c'è qualche fatto che ci possa ispirare. E così, senza volerlo, è
nata una canzone. Oiuttosto qua in Italia, non si riesce proprio scrivere una
parola come si vorrebbe. Guarda, da questo lato erano mille volte meglio le
canzoni dei nostri nonni: ti facevano piangere, ti facevano ridere, era la vita!
Adesso, se scrivi "il mondo è così sporco" a, pensi: attento, guarda
che alla radio e alla televisione ti censurano la canzone. E, allora, tanto per
evitare inconvenienti, sei costretto a cambiare l'aggettivo: brutto invece di
sporco. Ma perché?
D. Dopo il Festival delle Rose, ti consideri un
cantante di protesta, oppure ritieni che questo tipo di canzone sia una moda
passeggera ?
R. Prima che io aprissi bocca, ne hanno detto di tutti colori sul mio conto. Io
ho cantato una canzone di protesta al Festival delle Rose: perché mai dovrei
smentirmi adesso? Ma ho l'impressione che, in questo mondo, si cerchi di fare di
tutto, della vita uno slogan. È assurdo. Uno, un giorno, può parlare di un
argomento, un altro giorno di un altro argomento, senza per questo cessare di
essere se stesso. Si cessa di vivere, di essere se stessi solamente quando si
diventa un cliché, e forse alcuni di quelli che adesso protestano, in realtà
andrebbero protestati come si fa con le cambiali, perché non hanno nessuna
validità, perché dicono cose di cui non conoscono il significato.
D. Tu protesti?
R. lo dibatto per la parola. In Italia non ci sono testi intelligenti di
canzoni, non c'è un'idea capace di resistere al passaggio di frontiera. Si fa
verso gli americani ma che senso ha in Italia? Per questo, ripeto, a me
interessa creare un linguaggio (e mi interessa più della musica ) un linguaggio
intelligente popolare, capace di essere capito in ogni zona d'Italia. Il
problema di trovare un linguaggio adeguato viene secondo me, prima ancora dei
contenuti. Un esempio: io ho tradotto in italiano "Le elucubrazioni"
di Antoine, il testo italiano e molto più preciso e corretto di quello
originale francese. Ebbene subito dopo ho tradotto in italiano "Capelli
lunghi, idee corte", cioè una canzone di Johnny Halliday che buttava a
terra quanto era sostenuto da Antoine. In entrambi i casi, ero sempre io
scrivere il testo italiano. Perché questo che conta: battersi con intelligenza
D. Quindi non sposi la causa della protesta?
R. La mia, più che una protesta, è una proposta. Per esempio la mia canzone
per Sanremo è una canzone autobiografica, ma non nel senso del "Ragazzo
della via Gluck" di Celentano. Una canzone basata sulle mie esperienze e
intenzioni. Non posso certo condividere tutta la falsa protesta che c'è in
giro, incapace di capire i temi scottanti delle canzoni americane e abilissimo
nel fornire giovani lo sfogo di piccoli problemi, per soddisfarli nella loro
rinuncia a temi ben più grossi. Certo in questo modo la censura televisiva è
facilmente superata. Ma che serve?
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Mogol |
Anche a distanza di anni appare notevole la
chiarezza di idee e la onestà intellettuale di Giulio Rapetti, vero
ideatore della Linea verde e della "canzone di protesta", come
necessaria evoluzione della canzone italiana, prima della fortunata e
irripetibile stagione con Battisti. |
Beretta |
Tipico dell'epoca l'ingenuo qualunquismo e la
fatalistica acquiescenza al potere (vedi la citazione della auto-censura
preventiva di un verso della celebre canzone di Celentano "Mondo in
mi settima"). Rivelatrice infine la nostalgia per il buon tempo
andato e le canzoni dei nonni. |
Morandi |
Il grande cantante italiano si riferisce
ovviamente a "C'era un ragazzo",
la canzone di protesta scritta da Mauro Lusini,
un classico ancora attuale, con la quale aveva dato una svolta alla sua
carriera. Anche lui non rinuncia però al vizio italiano della denuncia
generica (in questo caso a chi fa canzoni di protesta solo per seguire la
moda). |
Pagani |
Il grande Herbert Pagani, da poeta qual era,
aveva come maggiore interesse la parola, e la strada migliore per
raggiungere attraverso di essa la gente di tutti i tipi. Parlando di
proposta e non di protesta e dichiarandosi pronto ad ogni tema oggi però
verrebbe facilmente classificato come "cerchiobottista".
Le canzoni che cita sono "Le
elucubrazioni" di Antoine, della quale aveva trattato la trasposizione
in italiano, e una "canzone di protesta" contro la
generazione beat (e i capelloni) del cantante rock francese Johnny
Halliday (peraltro ancora attivo come bravo attore), quindi un
alternativo, ma della generazione precedente (4-5 anni prima), che però
così sembrava prendersela con quelli che lo avevano fatto passare di
moda. |
©
Musica
& Memoria 2003 / Interviste riprese
parzialmente dalla rivista citata per soli scopi di ricerca e critica
musicale
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