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La grammatica della musica / 3

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La musica, così come qualsiasi linguaggio parlato, all’inizio dei tempi, quando l'uomo per motivi misteriosi ha incominciato a crearla, veniva soltanto suonata o cantata, e tramandata a memoria. Poi, come era avvenuto qualche secolo o millennio prima per la lingua parlata, l’uomo ha cercato di codificarla, per ricordarla, trasmetterla e riprodurla.
I testi di teoria musicale sono un po’ come i testi di grammatica, sono fatti per chi deve sistematizzare un codice, per chi è in una fase di crescita (insomma, per i bambini), oppure, per chi ha già una base. Pochi, come sappiamo, soprattutto in Italia, dove è prevalente la figura dell’analfabeta musicale.
Si può provare ad illustrare alcuni elementi della grammatica della musica in un linguaggio non per iniziati, richiamando le conoscenze culturali e scientifiche che fanno parte del bagaglio comune, senza però imprecisioni o approssimazioni eccessive?

Parte terza.
La lingua della musica

Noi ci proviamo. Ogni commento, suggerimento o critica sarà sempre benvenuto.

 
 1. Dal suono alla musica / 2. L'alfabeto della musica / 3. La lingua della musica
 

Il sistema tonale

 

 

La lingua che la maggior parte delle persone del mondo comprende, in musica, si chiama sistema tonale. Come i linguaggi naturali non è stata inventata da nessuno, si è sviluppata nei secoli ed è stata teorizzata, appunto come “sistema tonale” nel XVIII secolo, poi esteso e perfezionato negli anni successivi. Un grande compositore, considerato da molti, per questo motivo, il più importante di tutti, Johann Sebastian Bach, con la sua opera ha consolidato e contribuito a codificare questo sistema.
Il sistema tonale è un insieme di regole che riducono le quasi infinite combinazioni di suoni ottenibili con una tastiera o con un altro strumento ad un sottoinsieme finito che la nostra educazione (o forse, la nostra natura) considera gradevoli ed appaganti. Questo insieme di regole che descrive il linguaggio della musica, così come la grammatica descrive una lingua parlata, non è facile da imparare, ma riconoscere l’effetto all’ascolto di molte di queste regole invece lo è, come vedremo in alcuni esempi in seguito.
Non si tratta dell’unica lingua conosciuta ed usata nel mondo musicale, ne esistono altre sviluppatesi al di fuori del mondo occidentale, e ancora altre elaborate e sviluppate da teorici, un po’ come l’esperanto (ma per diversi fini) per le lingue parlate. Se ne dobbiamo conoscere almeno una, però, non si può prescindere da questa lingua universale, molto più universale di qualsiasi lingua parlata.

 

Gli elementi della lingua musicale

 

 

Se la musica che noi ascoltiamo è un linguaggio (e non c’è dubbio su questo) e se per scriverla usiamo un sistema di segni (e anche di questo siamo sicuri) possiamo continuare con la analogia individuando anche in musica sillabe, parole, tipi di parole, costruzioni sintattiche ammesse per le parole, frasi, composizioni e così via?
E’ un modo molto affascinante di spiegare la teoria musicale, spesso utilizzato, ma le analogie non sono così immediate, aumentando di complessità man mano che ci si addentra nella teoria musicale.
Già nell’alfabeto abbiamo visto che, oltre alla indicazione delle note, è quasi altrettanto importante la indicazione del tempo. Mentre in una lingua parlata leggere senza inflessione può rendere noiosissimo un testo, ma non impedisce di comprenderlo, in musica una sequenza di note non opportunamente intervallata e calibrata nella durata può rendere completamente diverso un motivo musicale, quindi ne altera il “significato”.

E il concetto stesso di significato è totalmente diverso. Una sequenza di suoni che. tradotta in parole, significa per noi “Attenzione, il mammut sta correndo da questa parte” ha un significato che non richiede interpretazione e che non cambia, anche se le parole sono pronunciate velocemente, o lentamente, o variando la frase togliendone alcune parti.
Se pensiamo invece ad un motivo musicale, che potremmo considerare una parola in musica, come il celebre motivo iniziale della V Sinfonia di Beethoven SOL-SOL-SOL-MIb / FA-FA-FA-RE, quattro note, tre semicrome e una croma, può essere ripetuto con diversa orchestrazione e diverso ritmo nello sviluppo del primo tempo, risultando sempre diverso, ora possente (il famoso “destino che bussa alla porta”) ed ora delicato o danzante.
In alcuni casi l’analogia ha puntato ad associare le parole agli accordi, la punteggiatura alle cadenze (Otto Karolji). Ma allora anche una sequenza di note dovrebbe essere una parola. E una scala cos’è?
In sintesi, può darsi che forzare queste analogie anziché aiutare la comprensione crei aspettative di una facile assimilazione di concetti complessi, portando un poco fuori strada.

 

Parole, frasi, periodi della lingua musicale

 

 

Usando quindi l'analogia con prudenza, proviamo a cominciare proprio dall'elemento base, il mattone di qualsiasi costruzione musicale, che è proprio il motivo. Rispetto ad una lingua parlata e a un componimento letterario o poetico scritto tramite essa proprio qui, nell'elemento di base, c'è una grande differenza. Lo scrittore o il poeta non deve inventare le parole, le trova già pronte nella sua lingua. La sua arte consisterà nell'accostarle in modi sempre diversi. Il musicista invece deve iniziare proprio dalla invenzione di un motivo musicale e deve anche fare attenzione a che quel motivo non sia stato già inventato da altri. Sarebbe un plagio, perché è questo l'elemento fondante della sua opera.

Per costruire una composizione musicale partendo da un motivo il compositore deve organizzarlo in forma di frasi musicali, e in questa opera di costruzione, di composizione, entra in gioco il sistema tonale e le sue regole, che possono essere ricondotte alle regole di stile nella scrittura. In questo processo di composizione le analogie con la lingua parlata diventano più forzate, perché la composizione non sarà costituita da un grande numero di parole solo raramente ripetute, ma piuttosto da una sola parola, il motivo principale, ripetuta e ripresa più volte con una serie di variazioni, e da una serie di parole secondarie, motivi musicali di raccordo, spesso variazioni di motivi musicali "standard", ad esempio danze popolari.

Per chiudere un periodo e passare al successivo serve poi qualcosa di analogo alla punteggiatura usata nella scrittura. Nel caso della musica non basta un segno, ma serve proprio una particolare forma musicale, e ve ne sono a disposizione diverse, chiamate cadenze. Le può riconoscere ciascun ascoltatore, ad esempio, alla fine di un tempo o dell'intera composizione in un un componimento classico. Quella finale sarà come un "punto e basta" e darà proprio l'impressione di una fine definitiva. La altre saranno "punti a capo", daranno l'impressione di lasciare aperto il discorso, o ne preannunceranno il tema successivo, come un "punto interrogativo".

Alcuni associano invece gli accordi al concetto di parola. Gli accordi, tre note suonate assieme, "consonanti" perché sommano le armoniche di tre suoni in modo "armonico" (secondo la codifica del sistema tonale, quindi) sono effettivamente un insieme finito nel sistema tonale. Ma non consentono di costruire, da sole, una frase musicale, sono di solito suonati assieme ad una melodia (a una sequenza di note) per arrivare ad un motivo musicale.
Potrebbero essere assimilate alle sillabe, che sono a loro volta un insieme finito e con regole di composizione tra esse, se non fosse che non si possono costruire, come si diceva, per mezzo di esse tutti i possibili motivi musicali.
La strutturazione del componimento in motivo (parola) - frase (frase) - periodo (periodo) - cadenza (punteggiatura) ci sembra quindi in ultima analisi la più efficace.

 

L'architettura e la grammatica

 

 

Se il motivo, la frase, la cadenza, sono i componenti elementari, i mattoni, per arrivare a descrivere con un codice una musica manca soltanto una cosa: un metodo per metterli assieme, per "comporre", per creare una "composizione in musica". Come il filo a piombo, le regole strutturali, i metodi per chiudere le volte ad arco, sono gli strumenti usati nell'architettura basata sul mattone (per restare con lo stesso esempio).

Questa serie di regole e di strumenti per applicarle, possiamo ricondurla alla "architettura", che è la tecnica per organizzare lo spazio in modo utile all'uomo, essendo in pratica la tecnica per organizzare i suoni in modo che siano gradevoli ed emozionanti per l'uomo.

Questa serie di regole e di strumenti è quanto prescrive e caratterizza il sistema tonale che stiamo cercando di descrivere per analogia, mentre gli elementi base sono preesistenti, naturali, dati per scontati, sono gli elementi da organizzare, così come il mattone, magari di fango, esisteva anche prima della disciplina architetturale codificata dagli antichi romani e greci, ma i tetti erano di paglia.

Oppure possiamo ricondurlo alla grammatica nello stesso senso etimologico (grammatica = tecnica della scrittura): le regole a cui attenersi per arrivare a un componimento comprensibile nella lingua prescelta. Quindi la struttura della frase, la classificazione delle parole tra verbi, nomi, aggettivi e così via. La struttura matematica della costruzione musicale, che vedremo subito dopo, rende forse più intuibile la prima analogia.

Di regole ovviamente ce ne sono molte e per descriverle servono ponderosi trattati (già scritti) ma quelle essenziali non sono molte, ci sono anzitutto gli strumenti per;

  • creare i motivi musicali accettabili dal sistema: le scale e i toni;
  • classificare i motivi musicali: i modi;
  • variare i motivi musicali: gli intervalli, le alterazioni, le modulazioni;

e poi l'insieme di regole per scrivere una composizione musicale che rispetti i canoni da noi accettati per:

  • la melodia: la sequenza di note
  • l'armonia: la somma di tre o più note, ovvero gli accordi e i loro rapporti e variazioni.

Nelle sezioni successive introduciamo gradualmente i principali di questi strumenti e le regole per usarle, utilizzando un approccio molto semplice. Come? Iniziamo con l'esplorare il nostro pianoforte, o un qualsiasi altro strumento a tastiera.

 

Tasti bianchi e tasti neri

 

 

Osservando la tastiera del pianoforte, si può capire quale sia il sistema che è stato messo a punto nei secoli passati per individuare ogni altezza, ovvero per dare indicazioni a chi suona su quali note deve suonare. A gruppi di 2 e di 3 possiamo vedere dei tasti neri più piccoli tra un tasto bianco e l’altro. Allora: il tasto bianco all’inizio di ogni gruppo di 2 tasti neri è un DO, e quindi inizia una ottava. Che però non è composta da sette note ognuna di altezza uniformemente crescente, come si potrebbe pensare, ma di 12 altezze, spaziate uniformemente all’interno dell’ottava (che, lo ripetiamo, non è altro che un intervallo di frequenza all’interno dello spettro udibile). I tasti neri infatti non servono solo per indicare dove sta il DO, ma suonano anche loro, ed essendo 5, portano a 12 = 7 + 5 il numero di “note” nell’ottava.

Ogni nota ha una distanza fissa dalla nota che la precede e la segue, e la misura di questa distanza è chiamato tono. In realtà questo vale per 5 delle distanze possibili tra le note di un’ottava, le altre 2 sono a distanza dimezzata, cioè a un semitono.
Quali sono queste 5 e quelle altre 2? E’ facile individuarle sulla tastiera. Le note che hanno tra di esse un tasto nero sono a distanza di un tono. Quelle che non hanno un tasto nero che le divide (MI-FA e SI-DO) sono a distanza di un semitono.
Complessivamente, considerando tutti i 12 tasti bianchi e neri di un’ottava, la distanza tra i tasti è costante, ed è pari ad un semitono.

Un altro elemento che dovremo descrivere è la distanza tra due note non adiacenti, che prende un nome diverso, intervallo. Per definire l’ampiezza di un intervallo basta quindi dire quante note copre (prima ed ultima incluse). Un intervallo di 3° potrebbe essere quindi SOL-LA-SI.
Per quanto dicevamo prima, però, gli intervalli codificati in questo modo avranno una ampiezza in frequenza diversa a seconda che le note comprese siano separate tutte da toni interi o comprendano anche semitoni.
Da qui nasce un’altra definizione del sistema tonale: maggiore e minore. Un intervallo di 3° che contiene due note separate da un semitono sarà minore, in caso siano tutte a distanza di un tono sarà maggiore e così via.

Le “note” in più che si possono suonare con i tasti neri non hanno il privilegio di avere un proprio nome, sono individuate invece come alterazioni delle note di base, alterazioni che possono essere chiamate diesis (#) o bemolle (b) e indicano rispettivamente le alterazioni in aumento o in diminuzione. Si possono applicare ad una singola nota o ad una intera riga. Un altro segno, il bequadro, può essere usato per annullare le alterazioni. Quando nei libri di musica si cerca di spiegare questa parte le cose sembrano aggrovigliarsi, ma invece il sistema è abbastanza semplice, e la complicazione è solo una questione di nomi.

Elenchiamo i 12 semitoni, usando solo l’alterazione diesis. I tasti neri sono quelli indicati in grassetto:

  1. DO
  2. DO diesis
  3. RE
  4. RE diesis
  5. MI
  6. FA
  7. FA diesis
  8. SOL
  9. SOL diesis
  10. LA
  11. LA diesis
  12. SI

Usando invece il bemolle i tasti si chiameranno:

  1. DO
  2. RE bemolle
  3. RE
  4. MI bemolle
  5. MI
  6. FA
  7. SOL bemolle
  8. SOL
  9. LA bemolle
  10. LA
  11. SI bemolle
  12. SI

Nella figura schematica che segue si può vedere una ottava suddivisa nei 12 semitoni che la compongono. Come se una tastiera non avesse tasti bianchi e neri ma solo tasti che suonano a distanza costante. Come si vede l’apparente complicazione nasce solo dal modo tradizionale (ma anche funzionale, per suonare con le 5 dita) di disporre le note, ovvero le altezze dei suoni, sulla tastiera di uno strumento reale.

Complicazioni a piacere

 

 

Con le alterazioni si può complicare a piacere la notazione di ogni frase musicale, dato che si può ricorrere all’uso di più alterazioni, e che le alterazioni possono essere applicate anche alle note naturali, quelle dei tasti bianchi. Nulla impedisce inoltre di applicare due alterazioni ad una nota, che quindi potrebbe diventare la nota precedente (con 2 bemolle) o la successiva.
Gli elementi di base rimangono però molto semplici, l’unica particolarità a cui fare attenzione, come già accennato, è che due coppie di note (MI-FA e SI-DO), essendo le note 7 e i semitoni 12, per poter far tornare i conti sono separate da un semitono, invece che da un tono come tutte le altre.

Volendo approfondire ancora possiamo osservare anche che le due note che compongono un tono possono essere accoppiate in 5 combinazioni, e nel sistema tonale ognuna di essa ha un nome diverso per esigenze legate alle regole di composizione:

  1. stesso nome e una delle due è alterata ascendente (es. DO-DO#): semitoni cromatici ascendenti
  2. stesso nome e una delle due è alterate discendente (es. DO-DOb): semitoni cromatici discendenti
  3. due note naturali di nome differente (es. MI-FA, SI-DO): semitoni diatonici naturali
  4. due note di nome differente di cui una alterata ascendente (es. DO#-RE): semitoni diatonici con diesis
  5. due note di nome differente di cui una alterata discendente (es.MI-REb): semitoni diatonici con bemolle

Quindi abbiamo nei primi due casi un intervallo cromatico (note dello stesso nome) e nel secondo caso un intervallo diatonico (note di nome diverso).
Tutte informazioni aggiuntive che abbiamo aggiunto solo per non lasciare a metà questa parte e soprattutto per far vedere che non si tratta di altro che di una classificazione ulteriore, ma che per i nostri scopi di illustrazione del linguaggio musicale non hanno al momento una utilità pratica.

 

Le scale

 

 

Descrivere una scala musicale non è difficile, perché la scala modello maggiore la conosce chiunque abbia frequentato le scuole medie dal 1963 in poi, cioè da quando è stata introdotta in Italia la scuola media unificata, con l’insegnamento obbligatorio della musica (almeno per un anno). Una novità per il sistema scolastico italiano, di impostazione umanistica, che fino ad allora aveva considerato la musica un insegnamento specialistico, non universale. Un anno di musica alle medie italiane non ha mai consentito di imparare la musica a nessuno, ma più o meno tutti sono arrivati almeno a DO-RE-MI-FA-SOL-LA-SI-DO, che è appunto la scala modello per le scale maggiori.

Le scale maggiori si ricavano da questa scala modello per mezzo di una serie di regole matematiche, ma queste regole non sono altro che gli accorgimenti necessari per rendere la sequenza di suoni “giusta” all’ascolto, almeno per noi che siamo abituati a questo sistema.
Per sincerarsene è sufficiente un semplice test. Basta sedersi alla tastiera di un pianoforte e provare a suonare la scala più semplice che contiene una sola alterazione, la scala di Sol maggiore:
SOL-LA-SI-DO-RE-MI-FA#-SOL

Se non siete capaci di suonare proprio nulla, quindi se non conoscete la diteggiatura, potete anche usare due mani (basta che non vi veda nessun maestro di pianoforte). Suonando in sequenza e a intervalli il più possibile regolari con la mano sinistra le prime 5 note e con la destra le ultime 3, basta provare a suonare il FA normale (tasto bianco) anziché il FA diesis (tasto nero) per accorgersi ad orecchio che qualcosa non va, il suono non è gradevole, è come se ci fosse un salto inatteso rispetto a quello che ci attendiamo.
Il motivo è che la scala, senza questa alterazione, non rispetta l’alternanza di suoni che alla nostra sensibilità appare un “naturale” bilanciamento tra tensione e rilassamento.

 

Le scale in forma grafica

 

 

La sequenza delle scale maggiori è molto semplice e si può visualizzare graficamente con lo schema che proponiamo qui. Nello schema sono visualizzate le 8 scale maggiori ordinate per il numero di alterazioni (diesis in questo caso) che vi sono contenute. Si parte quindi dalla scala di DO, che non ha nessuna alterazione, per proseguire con la scala di SOL con una alterazione, per arrivare alla scala di DO# Maggiore, con 7 diesis. Le alterazioni sono evidenziate in grassetto sottolineato e la I, III e IV nota di ogni scala sono evidenziate con un contorno più spesso (vediamo dopo il perché).

Osservando la musica descritta con questo schema si possono notare diverse cose interessanti. La prima è che la prima nota della scala, la tonica, che poi è l’elemento che da’ il nome al sistema tonale, è sempre alla distanza di una quinta dalla scala precedente. Osserviamo poi che in ogni scala viene aggiunta una alterazione su una nota (un diesis) e che ogni alterazione viene portata alla scala successiva. La sequenza delle note alterate, che saranno indicate in chiave, nell'"armatura" (vedi dopo) è FA-DO-SOL-RE-LA-MI-SI.

Resta da capire perché bisogna introdurre queste alterazioni per ritrovare l’equilibrio sonoro che abbiamo sperimentato prima.
Per farlo riproponiamo la descrizione grafica della scala, composta da 12 semitoni tutti allineati già vista prima, come se i tasti di un pianoforte fossero tutti su una sola fila anziché su due file.

Su questo schema abbiamo indicato le prime tre scale maggiori, per ciascuna di esse è indicato con 1 il semitono da suonare, e con 0 quello da saltare. I semitoni da suonare sono, ovviamente, sempre 7+1 (con la ripetizione della tonica) e quindi quelli da saltare sono sempre 5. Si nota quindi subito che la sequenza di semitoni da suonare è sempre la medesima per tutte le scale, e cioè 1 0 1 0 1 1 0 1 0 1 0 1 1.
Un altro modo di esprimere la stessa ripetizione del medesimo schema è quello più comune nei testi di teoria musicale (ma meno immediato da riportare in una tabella) consistente nell’ordine delle note in una scala, indicato in numeri romani nello stesso grafico.
Come si vede nelle scale maggiori tutte le note sono separate dalla successiva da un tono, tranne la III e la VII che sono separate dalla IV e dalla VIII da un semitono.

A questo punto si sarà capito che tutte le scale in maggiore devono rispettare questo stesso ordinamento per suonare “armoniche” al nostro udito, e che quindi, quando non è presente nel posto giusto della sequenza una nota naturale, sarà necessario suonare una nota alterata. Nella scala di DO non succede mai, in quella di SOL una volta (sul FA), in quella di RE due volte (sul FA e sul DO) e così via sino alla scala in DO# dove tutte le note devono essere alterate, ovvero dove si suonano solo i diesis.
Suonando (magari con qualche acrobazia) queste scale su una tastiera (o chiedendo a qualcuno di farlo) si potrà facilmente verificare che rispettando questa sequenza si percepisce sempre un crescendo “armonico” del suono, mentre modificando una nota si percepisce una “disarmonia”.

Un’altra cosa che si può ricavare dal primo schema sono gli accordi fondamentali. Per ogni scala il sistema tonale consente di definire anche un accordo fondamentale basato sulla prima nota della scala (la tonica già citata). L’accordo fondamentale (che come si accennava in precedenza, non è altro che la somma di tre note suonate assieme) è composto sempre dalla I, III e V nota della scala, e gli accordi fondamentali per ogni scala sono quelli indicati con il bordo più spesso nel primo schema.

Le scale minori si differenziano per il posizionamento delle note separate da un semitono anziché da un tono. In questo caso si trovano tra la II e la III e tra la V e VI nota (scale minori naturali). Esistono però anche due varianti: le scale minori armoniche e le scale minori melodiche. Per tutte però rimane fermo il primo intervallo a distanza di un semitono tra la II e III nota della scala.
Un altro modo, più mnemonico, di indicare la differenza tra le scale maggiori e le scale minori è la distanza tra la I nota della scala e la III, che è di 2 toni nelle scale maggiori, e di un tono più un semitono nelle scale minori.
Utilizzando il nostro schema "binario" le scale minori naturali sono caratterizzate dalla sequenza
 1 0 1 1 0 1 0 1 1 0 1 0 1.

 

Le tonalità

 

 

Dalle scale si arriva all'elemento fondante del sistema tonale, che è (ovviamente) la tonalità. Ognuna delle sette note nella scala ha un suo ruolo e compito diverso, e in ogni scala questo ruolo è interpretato da una nota diversa, anche se in questo caso invece che di note, si parla di grado della scala musicale (ma è la stessa cosa).
Al grado I, come abbiamo visto, c'è la tonica, che da' il nome al tipo di scala (in DO maggiore, in SOL maggiore e così via). Una composizione che utilizza come base quel tipo di scala sarà quindi in quella tonalità, come la Sinfonia n. 5 di Beethoven citata in precedenza, che è basata su una scala in DO minore, ed è quindi chiamata 5° Sinfonia in Do Minore. La nota caratterizzante la "sensazione" che la scala trasmette è la V, la dominante, ma caratterizzano la scala anche le altre note o gradi della scala, ognuna con ruolo diverso, dalla sopratonica alla sottodominante, elencate nel seguito assieme al loro "carattere", come tradizionalmente descritto:

 

  1. Tonica: da' il nome alla tonalità, trasmette una sensazione di equilibrio, di staticità

  2. Sopratonica: all'opposto, trasmette una sensazione di perdita di equilibrio

  3. Caratteristica (o Mediante o Modale): determina se il modo è maggiore o minore (se è a una distanza di 2 toni o 1 tono ed mezzo, vedi schema precedente), ed è mediana nell'accordo tonale; fa tornare ad una sensazione di stabilità

  4. Sottodominante: il grado da cui possono essere generate le modulazioni (varianti alle scale principali)

  5. Dominante: completa l'accordo tonale (I-III-V); è definita dominante nel senso che richiama la tonica, per completare l'equilibrio soggettivo, ovvero "domina" la tonica

  6. Sopradominante: altro grado, come la sottodominante, di sospensione e di avvio per modulazioni

  7. Sensibile: ha una tendenza risolutiva sulla tonica successiva, "sensibile" perché instabile, anche perché prossima ad essa (è sempre a distanza di mezzo tono)

  8. Tonica. Primo grado dell'ottava superiore

Una caratterizzazione che, come si vede, punta a codificare la sensazione prevalente che la scelta di una scala o di un'altra e la posizione dei gradi all'interno di essa trasmette alla nostra sensibilità, anche in base ad elementi di fisica acustica, legati alla sommatoria delle armoniche.
Per sperimentare la attendibilità di queste definizione si può semplicemente suonare una scala, anche la più semplice, quella di DO maggiore. Si riconoscerà facilmente il senso di stabilità, di rilassamento, che trasmettono la III e la V nota. Si riconoscerà ancora più nettamente il senso di non compiutezza che lascia la Sensibile. Basta provare a smettere di suonare la scala sulla settima nota anziché sull'ottava per sincerarsene.

 

Le successione delle scale

 

 

Le scale maggiori che abbiamo visto (in grande sintesi) derivano, quindi, da un modello matematico, per ripetizioni. E’ possibile applicare lo stesso sistema per creare altri modelli e altri varianti di scale, come le minori cui abbiamo accennato, per un numero totale di 30, più altre scale cosiddette di eccezione. Ancora una volta non si tratta di tutte le possibili combinazioni, ma di quelle che appartengono al “dizionario” del sistema tonale.

Il sistema delle scale è la base del linguaggio della musica e il suo studio è fondamentale per chiunque voglia imparare questo linguaggio. Per avere una idea di come si compongono matematicamente le varianti di scale ammesse nel sistema e quali relazioni hanno tra di loro si usano diverse schematizzazioni, la più nota e diffusa è il “giro delle quinte”.
Esistono altre schematizzazioni possibili, ad esempio quella originale che abbiamo proposto, e che consentono di “vedere” in forma grafica intuitiva le relazioni tra i tipi di scale e passare facilmente da una all'altra.

Il concetto fondamentale è comunque che la sequenza di alterazioni riconduce progressivamente alla scala iniziale, e ciò è importante perché, capendo il meccanismo mediante il quale le scale si susseguono e si trasformano l'una nell'altra si può individuare la tonalità della frase musicale e le possibilità di alterazione ammesse.

 

Riconoscere la tonalità

 

 

Lo schema mostrato consente anche di capire come si può riconoscere la tonalità, una operazione che, come si sarà capito, è fondamentale nel sistema tonale. Se esistessero solo le scale maggiori questa operazione sarebbe banale. Infatti, come si vede nella figura precedente, una scala in una tonalità si caratterizza per le note alterate, quelle sottolineate in figura:

  • DO MAGGIORE: nessuna
  • SOL MAGGIORE: FA
  • RE MAGGIORE: FA + DO
  • LA MAGGIORE: FA + DO + SOL

E così di seguito. Quindi se in una composizione vediamo che devono essere alterate, o diesizzate, le note FA, DO e SOL ciò significa che quella composizione è in LA Maggiore. Questo è indicato all'inizio del rigo musicale con la armatura di chiave, che si presenta nel pentagramma come si vede nella figura seguente.

Le cose però non sono così semplici, per via della ciclicità delle scale cui abbiamo accennato prima. La stessa armatura di chiave si applica infatti anche alla scala che si ottiene alterando le note in senso inverso (quindi passando di quinta in quinta in "discesa", ovvero per quinte discendenti). La scala corrispondente in questo caso è quella di FA# Minore naturale. Per individuare quale delle due è quella corretta esistono diverse tecniche, e quella di base fa ricorso agli accordi tonali (o principali, o perfetti) formati dalle note al grado I (tonica), III (caratteristica) e V (dominante) di una scala, citati in precedenza, accordi che sono indicati graficamente nelle figure precedente con un contorno più spesso.
Se nelle prime 8 battute della composizione (ma spesso è nella prima) sono presenti le note dell'accordo perfetto in LA Maggiore la composizione sarà in questa tonalità, altrimenti sarà in quella corrispondente di FA# Minore.
Inutile aggiungere che nel complesso delle composizioni le cose non sono così semplici, ma il punto di partenza per riconoscere la tonalità riteniamo sia sia capito.
 

 

Modo maggiore e modo minore

 

 

Parlando in precedenza degli intervalli e poi delle scale sono stati usati più volte i termini “maggiore” e “minore”. Questi sono gli unici due “modi” previsti nel sistema tonale. Un modo è all’incirca quello che suggerisce il nome: un modo di suonare per dare una determinata sensazione. Sarà per motivi di psicoacustica o culturali, ma i modi in maggiore evocano sensazioni positive, di forza e risolutezza, sono positivi e solari, mentre i modi in minore suggeriscono sensazioni di sospensione, di attesa, con diverse modulazioni, fino al dramma. Ovviamente, con moltissime sfumature e varianti. Nella lingua musicale che precede il sistema tonale, la musica “modale” (codificata dagli antichi greci, che hanno fatto anche questo) i modi erano molti di più, ma le combinazioni di note molte di meno. E al nostro orecchio questa musica (almeno quello che i musicologi hanno ricostruito) suona infatti piuttosto aliena.

 

Accordi

 

 

Un accordo, chiamato anche triade, è un insieme di tre o (più raramente) quattro o cinque note suonate assieme (in questo caso chiamate ovviamente con un nome diverso: quadriade o quintiade).
Dal punto di vista delle fisica acustica suonare un accordo genera una sommatoria di forme d'onda e delle relative armoniche (forme d'onda secondarie, di minore intensità, ma tutte sincronizzate tra loro) che si compongono fra loro raggiungendo il nostro sistema uditivo. Le forme d'onda possono sommarsi tra loro o anche annullarsi, se sono in contro fase (un po' come avviene nelle onde del mare) e quindi non tutte le combinazioni di tre note sono "armoniche" e quindi usabili nel sistema tonale. Più o meno come le sillabe in una lingua, usate per comporre tutte le parole, ma in numero finito e definito e soggette a regole, ad esempio per l'accoppiamento tra vocali e consonanti.

La classificazione degli accordi ammessi e della loro variazione e composizione è il secondo pilastro del sistema tonale e dello studio della composizione, e prende proprio il nome di studio dell'armonia, ovvero dell'insieme delle regole che, secondo il sistema tonale, consentono di creare musica e suoni armonici, gradevoli e accettabili nel nostro sistema musicale estetico - psicoacustico.

Ovviamente lo studio dell'armonia è un mondo a parte, ma in massima parte riguarda chi vuole comporre musica. Chi si limita a suonarla o addirittura a leggerla può limitarsi a conoscere le regole di base, un compito che esula comunque dai nostri obiettivi.

 

Gli accordi nella musica di oggi

 

 

Gli accordi (chord in inglese), le tecniche per passare dall'uno all'altro e le sensazioni emotive che trasmettono, le tecniche per variarli e modificarli, sono la peculiarità principale della musica occidentale e anche la base con la quale sono composte la canzoni che ascoltiamo e cantiamo, almeno per la maggior parte. Gli accordi costituiscono un sistema che prevede un gran numero di variazioni e passaggi da uno all'altro e di derivazione di altri accordi composti, e una serie di regole per utilizzarmi in modo espressivo, per esempio creare una sospensione, un senso di attesa nel discorso musicale, e poi risolverlo, ad esempio con la classica struttura del refrain.

L'insieme completo di queste regole è, come anticipato, codificato e approfondito nello studio dell'armonia, che è la conoscenza di base che deve avere un compositore di musica classica, un direttore d'orchestra, ma anche un esecutore professionista. Per comporre una canzone non è indispensabile tutta questa scienza musicale, come sappiamo (difatti i cantautori e i compositori di canzoni non hanno come prerequisito un diploma al conservatorio e a volte non hanno una conoscenza completa della grammatica della musica) come peraltro non è mai stato necessario per comporre canzoni popolari, che pure hanno raggiunto i vertici della purezza musicale (come The House Of The Rising Sun o Scarborough Fair).

Per questi scopi è necessaria una conoscenza più limitata, ma comunque gli elementi da dominare non sono pochi. Solo come impulso ad ulteriori approfondimenti diamo alcune informazioni sugli elementi di base e un esempio pratico:

  • accordi fondamentali: sono gli accordi di base, composti dal I (tonica), III (mediante) e V (dominante) grado di ogni scala; sono quindi 30 combinazioni;
  • rivolti: sono la disposizione nelle altre due possibili combinazioni degli stessi tre gradi dell'accordo tonale. Per esempio nell'accordo tonale di DO (DO-MI-SOL) i possibili rivolti sono MI-SOL-DO e SOL-DO-MI;
  • accordi di settima (o 7a): una variante degli accordi tonali (e dei loro rivolti) che introduce una dissonanza e che quindi richiede un successivo accordo risolutore; si ottengono aggiungendo all'accordo una quarta nota, la settima della scala appunto, o suonando questa nota al posto della quinta;
  • gli accordi di settima normalmente usati sono quelli in "7a di dominante": la settima nota aggiunta è sempre distante un tono dalla tonica, quindi sarà alterata in bemolle nelle scale di DO e FA e resterà invece naturale in tutte le altre maggiori naturali;
  • il passaggio da un accordo in settima dominante al successivo accordo risolutore, chiamato anche "cadenza" è un sistema largamente usato nella composizione delle canzoni e della musica popolare.

Come si capisce già da queste modalità di lavoro sugli accordi, che sono le più comuni nella composizione delle canzoni e delle musiche di accompagnamento, le combinazioni possibili sono molte. Ma come vengono usate in pratica lo vediamo nella sezione successiva.

 

Gli accordi nelle canzoni

 

 

La maggioranza delle canzoni che ascoltiamo oggi sono composte da 2 elementi: una sequenza di accordi di accompagnamento ed una linea melodica. La linea melodica è la parte cantata e quindi può anche essere non suonata ma, appunto, cantata, se l'esecutore è intonato e ricorda le parole e, ovviamente, la melodia. Nella classica esecuzione per voce e chitarra lo strumento serve appunto per fornire la base musicale con una serie di accordi che si ottengono premendo le corde nelle posizioni opportune del manico. La voce esegue invece la melodia che è una sequenza di note di varia altezza e varia durata. Se la canzone si esegue al pianoforte, usando le due mani, con la sinistra si possono suonare gli accordi e con la destra la melodia, che quindi accompagna e sostiene la voce. Si comprende quindi quanto sia importante la padronanza del sistema degli accordi. Conoscendolo, anche in parte, si può "suonare", non professionalmente, ovviamente, ma quanto basta per intrattenere gli amici sulla spiaggia la sera cantando La canzone del sole.

Un esempio molto semplice si può fare usando una canzone notissima e anche molto bella, un autentico classico della canzone italiana, Il cielo in una stanza di Gino Paoli. Osserviamo le prime due righe dello spartito (che spieghiamo subito dopo).

Nella chiave di basso si vede che si susseguono gli accordi, uno per battuta, sempre con il ciclo DO (accordo di tonica della scala di DO maggiore), LA, FA, SOL (tutti in modo maggiore). Sul pentagramma superiore, in chiave di violino, c'è la linea melodica, che inizia dopo le 4 battute introduttive. Ogni nota corrisponde ad una sillaba in questa canzone di struttura molto semplice (sillabica, appunto) e dalla quinta battuta in poi inizia il canto: 5a battuta: quan-do-sei / 6a: qui-con-me / 7a: que-sta-stan-za / 8a: non-ha-piu-pa / 9a: reti-ma-al ...
Cantandola mentalmente si può notare subito come la voce debba salire in corrispondenza alla sesta battuta e poi ridiscendere, e come alcune sillabe (quan all'inizio della quinta, me alla fine della settima) debbano essere tenute, allungate, più delle altre. La melodia è tutta in queste variazioni. E gli accordi di accompagnamento, che seguono in questo caso uno schema notissimo e molto usato, il giro di DO, costituiscono l'accompagnamento musicale necessario a completare la canzone.

Altre canzoni sono molto più complesse e prevedono parti per altri strumenti, hanno varianti che escono parzialmente fuori della regole del sistema tonale perché derivano dal blues e quindi dal jazz, ma questo schema di base consente di capire come la notazione musicale può descrivere e registrare con un sistema di segni sia musica sia accompagnamento.
 

Le regole del sistema tonale

 

 

Abbiamo scritto più volte che il sistema tonale è una lingua, e quindi ordina mediante una serie di regole le infinite composizioni dei suoni in modo da rendere il risultato gradevole al nostro sistema uditivo, in altre parole, musica. A  questo punto si può anche avere una idea di quali siano queste regole, almeno le prime che si imparano in un corso di teoria musicale. E delle conseguenze di queste regole che, tutte assieme, costituiscono il sistema tonale, o il temperamento equabile, usando la prima definizione teorica che venne data.
Cominciamo dalla regola numero uno: le scale ammesse dal sistema sono in numero finito e predeterminato, le combinazioni di alterazioni, le armature di chiave, sono quindi anch'esse in numero finito, non sono ammesse tutte le combinazioni teoricamente possibili.
Possiamo vederlo graficamente nella figura seguente per le 15 scale maggiori:

Che descrive in modo schematico le 15 armature di chiave ammesse, che sul pentagramma si scrivono in questo modo (e sono applicabili a tutte le 30 scale, le 15 maggiori schematizzate sopra, e le 15 minori naturali):

Anche senza calcolare le combinazioni con ripetizione di 7 elementi si vede ad occhio che le combinazioni delle armature di chiave non sono tutte quelle possibili. Così come non possiamo scrivere "Se Mario avrebbe mangiato una mela" così non possiamo impostare una composizione con 3 diesis diversi da quelli ammessi se vogliamo rimanere all'interno del sistema tonale. Anche se naturalmente nel corso della composizione si possono diesizzare per una o più battute altre note.
Questo è un esempio delle regole che il sistema impone, e quindi si capisce anche che possa essere interpretato come una gabbia. Che infatti nel corso dei secoli i musicisti più creativi hanno via via forzato, superato o infranto. Così come è avvenuto nella scrittura, da Joyce che ha abolito la punteggiatura, a Pasolini che ha usato la lingua parlata e il nuovo gergo urbano.

Abbiamo quindi introdotto in queste ultime sezioni, in sintesi ma facendo riferimento alle regole reali della grammatica musicale, i principali elementi che compongono il sistema tonale. Possiamo quindi riprendere nelle sezioni successive con più cognizione di causa le considerazioni e le analogie tra il linguaggio naturale e quello musicale, per proseguire nel nostro obiettivo

 

Il ruolo della tonalità

 

 

Per cercare di approfondire, dopo questi ulteriori elementi, il ruolo che in musica ha la tonalità, riprendendo quanto si era accennato all’inizio riguardo alle analogie e alle somiglianze e differenze tra una composizione in musica e una composizione letteraria, immaginiamo a confronto il musicista e il letterato. Uno scrittore ha a disposizione una lingua, la sua, quella che ha imparato quando è nato, composta da decine di migliaia di parole, molte delle quali sono sinonimi o raccordi, ognuna composta da sillabe elementari, conosce le regole per mettere assieme le parole facendosi capire da chi legge, le regole grammaticali e sintattiche e anche le regole di stile che deve seguire perché quello che scrive sia gradevole alla lettura. Per esempio, non ripetere la stessa parola nella frase, ma usare un sinonimo.

Un compositore ha a disposizione i due modi, una serie di scale, e per ogni scala una serie di accordi e di sequenze di note corrette per la scala in questione (che rispettano le regole grammaticali), e le regole per passare, se ne ha necessità o la volontà, da una scala ad un’altra o per variare quella che ha scelto. E lo stesso per gli accordi. Sceglierà una scala, ovvero una tonalità, in base al tipo di sensazione che vuole trasmettere. A differenza dello scrittore non deve (e non può) esprimere un concetto usando solo la musica. La musica è astratta per definizione. Sceglierà quindi nel sistema delle scala la tonalità più adatta ad esprimere quello che sente. O per commentare e sottolineare le parole o le immagini che la musica che sta scrivendo deve accompagnare.

Quello che deve fare, a questo punto, scelta la tonalità e quindi la scala, a differenza dello scrittore, è creare, inventare uno o più motivi musicali, possibilmente mai inventati da nessun altro prima. Come la celebre sequenza di note SOL-SOL-SOL-MIb / FA-FA-FA-RE che caratterizza l’inizio della V Sinfonia di Beethoven e che abbiamo già citato. Che è nella tonalità di Do Minore, quindi drammatica, tesa, irrisolta, come appunto è il sentimento che suggerisce e induce nell'ascoltatore questa celebre composizione.

Quindi c’è una differenza fondamentale  con lo scrittore, lo scrittore non inventa parole, le usa, inventa frasi e periodi. Il compositore inventa motivi musicali. Ma non in modo libero, bensì usando gruppi di note predefinite (accordi e sequenze di scale) che possiamo considerare come le sillabe per le parole, scegliendo una forma musicale e rispettando una serie di regole (quelle che abbiamo descritto in grande sintesi nelle sezioni precedenti, più diverse altre codificate nella ”armonia tradizionale”) per costruire per mezzo di esse le frasi musicali e da queste un componimento in musica.

 

Il sistema tonale è un sistema naturale?

 

 

Possiamo provare a sederci ad una tastiera di pianoforte e suonare la stessa nota in due ottave diverse, ad esempio a distanza di due ottave. Un esercizio semplicissimo che può fare chiunque sia in grado di individuare un DO su una tastiera.
Sentiremo un suono “armonico”, gradevole al nostro udito. Provando invece a suonare insieme due note diverse, a caso, sentiremo con ogni probabilità un suono non armonico, disturbante, ad esempio suonando un MI e un DO.
Quello che si ottiene schiacciando assieme i tasti è infatti, come si descriveva prima, la emissione di un’onda sonora, composta da un suono primario e da una serie di suoni secondari, “armoniche” di minore intensità (a più basso volume), onde sonore in relazione tra loro secondo le leggi della fisica. La nota a frequenza più bassa di una ottava o due è "sincronizzata" con la prima e quindi naturalmente armonica. Suonando note diverse avremo invece onde sonore non sincronizzate, che possono anche annullarsi tra loro in alcuni istanti, con un effetto che può risultare gradevole o meno a seconda delle possibili combinazioni. Combinazioni che però sono fondamentali per dare varietà alla musica.

“Gradevole”, naturalmente, nel nostro sistema culturale. In altri sistemi potrebbe essere l’opposto, come avviene per esempio in cucina per certi sapori amati da alcuni popoli ma poco accetti ad altri (come il wasabi giapponese o il rafano dei tedeschi).
Come già anticipato, il sistema tonale, messo a punto in modo strutturato nel ‘600 - ‘700 e diffuso universalmente nei secoli successivi, si propone appunto di codificare i suoni armonici, è il vocabolario, la grammatica e la sintassi della nostra lingua musicale.

Un sistema che esclude a priori i suoni non ammessi perché non "armonici". Sempre mettendosi alla tastiera di un pianoforte possiamo facilmente notare che chiunque può emettere suoni, che solo per motivi culturali non consideriamo “musica”. Proprio come un quadro. Un paesaggio ad olio, bello o brutto, è sicuramente un “dipinto”. Segni e scarabocchi a caso, o ampie zone di colore uguale, teoricamente potrebbe farli chiunque, eppure soltanto Pollock o Rochtko o Mondrian sono riusciti a fare quadri con questi elementi di base che tutto il mondo, per motivi misteriosi, trova affascinanti e fa la fila per vedere (e che raggiungono le più alte quotazioni). Evidentemente, hanno elaborato una nuova lingua, che molti comprendono.

Nella musica il sistema tonale è come l’arte figurativa in pittura, il linguaggio universale di base che tutti comprendono naturalmente. Non racchiude e non può racchiudere in sé tutte le musiche possibili, ma è necessario conoscerlo, anche per negarlo o andare oltre. Come la pittura figurativa nel caso dei grandi pittori astratti.

La musica però è un linguaggio astratto, il messaggio che ci manda è solo parzialmente codificabile, e tocca elementi della nostra sensibilità che sono rimasti comuni ai popoli anche dopo che ci siamo dispersi sui cinque continenti. E’ probabile quindi, come sostengono alcuni, che tutta una serie di suoni “armonici” lo siano per tutto il genere umano. Interiorizzati da ciascuno di noi già con le filastrocche e le ninne nanne per addormentarci che, inconsapevoli, ascoltavamo da bambini dalla mamma e dal papà. E quindi è possibile che il sistema tonale si è imposto progressivamente nel mondo anche perché in qualche modo è “naturale”. Ma, come si sarà capito, ciò non significa che sia “unico” e "definitivo".

Resta da completare il parallelo con le lingue. Valido solo parzialmente per la musica. Usando il nostro alfabeto latino possiamo scrivere testi in qualsiasi lingua. Testi per noi italiani incomprensibili, ma per un finlandese perfettamente chiari, per esempio, grazie alle infinite combinazioni (virtualmente) dei 27 o più segni. La esemplificazione perfetta di questa potenzialità dell’alfabeto dei segni esiste ed è contenuta nel capolavoro di Jorge Luis Borges, La biblioteca di Babele.

 

Leggere la musica

 

 

Il compositore, come lo scrittore, scrive quindi una sua opera originale e la registra su un foglio di carta, carta da musica in questo caso (o su computer con un editor per la musica, ne esistono molti e sono l’equivalente dei word processor per la scrittura, uno ottimo e gratuito e MuseScore, il più noto professionale è Sibelius). In qualche modo poi, a partire da questi fogli di carta, dallo spartito, si dovrà ricreare la musica per le nostre orecchie, e per spiegarne le particolarità ricorriamo ancora una volta ad analogie con la scrittura.

La lettura di un testo scritto, di un libro, è apparentemente alla portata di qualsiasi persona che non sia un analfabeta.
Se riflettiamo un momento, ci accorgiamo però subito che in realtà non è così. Se il testo parla di argomenti che non conosciamo, anche se usa soltanto parole che conosciamo e scritte nella nostra lingua, non siamo in grado di comprenderne il significato. Un testo di filosofia, un testo di logica matematica, di informatica, o di teoria musicale, che danno per scontate le basi di conoscenza per comprendere gli argomenti, possono essere quasi del tutto incomprensibili al lettore che non ha studiato queste materie.
Ancora di più lo saranno se utilizza parole di uso non comune, il cui significato non è noto al lettore. Potrebbe consultare un dizionario, ma questo è applicabile solo se, una volta acquisito il significato, il lettore è in grado di inserirlo nel contesto. Quindi per poche occasionali parole del testo.

Ancor più incomprensibile per noi il testo se fosse scritto in una lingua che non conosciamo, ovviamente.
E se lo leggessimo noi ad un’altra persona, che capisce in modo specialistico le speculazioni filosofiche, o la lingua nel quale è scritto il testo? La comprensione arriverebbe all’ascoltatore?
Potremmo fare il test, leggere ad un portoghese o uno spagnolo che non conosce l’italiano un testo nella sua lingua (la fonetica è simile e l’esperimento potrebbe riuscire) o potremmo provare il viceversa.

Ma ci attendiamo già il risultato. Poche semplici frasi di contenuto pratico si potrebbero ancora capire, ma un testo più ampio e complesso arriverebbe deformato all’ascoltatore, non solo dalle inevitabili differenze fonetiche (ogni lingua ha le sue varianti di alfabeto) ma soprattutto per la carenza di interpretazione. Dovrebbe essere l’ascoltatore a ripristinare il senso delle frasi, ignoto al lettore. La deformazione alla fine potrebbe essere abbastanza profonda da rendere incomprensibile un testo appena complesso. Senza contare poi lo stile nella lettura. Molti hanno sperimentato con le performance dell’attore Roberto Benigni nella lettura di Dante quanto la interpretazione nella lettura faccia la differenza nel valorizzare un testo.

Nella musica la importanza della interpretazione, e quindi della piena comprensione del contenuto musicale, è enormemente enfatizzata.

 

La interpretazione

 

 

Come prima cosa, per ricreare la musica occorre necessariamente suonarla. Un libro si può leggere mentalmente (anzi quasi sempre si fa così, non si legge ad alta voce), nel caso della musica solo compositori o musicisti esperti sono in grado di ricreare mentalmente il discorso musicale leggendo lo spartito. E spesso anche loro preferiscono sedersi al piano per sperimentare l’effetto di una composizione.
Suonare richiede una abilità non solo “artistica”, come quella di Benigni citata prima, ma anche tecnica, e richiede di fare ricorso anche ad una abilità manuale e ad un notevole grado di coordinazione dei propri movimenti, oltre che la capacità di gestire i tempi della musica, quello che comunemente si chiama "ritmo".

E, soprattutto, bisogna, oltre che saper leggere le note scritte sullo spartito con l’alfabeto musicale più o meno universale (l’equivalente dell’alfabeto a caratteri latini per la musica) anche comprendere la lingua con la quale è composta la frase musicale.

Comprendere questa lingua vuol dire comprendere la tonalità, ovvero saper individuare frase per frase musicale in quale tonalità è scritto quel brano, e quali variazioni o modulazioni ha subito. “Ma non è una cosa ovvia?”, dirà qualcuno. C’è scritto sul CD: Sinfonia n. 5 in Do Minore di Ludwig Van Beethoven (o in C-Minor o in C-Moll, se è una edizione inglese o tedesca).
Non basta, ogni scala può essere mutata in altre e poi ritornare su se stessa, e chi interpreta (suona) la musica deve saper individuare le mutazioni mentre suona per dare la giusta interpretazione. Oltre che le molte notazioni di espressione che anch'esse modificano il motivo musicale. Proprio come, quando si legge, si da’ un tono interrogativo quando si intravvede un punto di domanda alla fine della frase (ma gli spagnoli e gli inglesi sono più previdenti e lo scrivono prima).
Ma tutto ciò al quadrato. Nel senso che una scadente lettura può annoiarci o farci piacere meno un’opera scritta, mentre una lettura di un’opera musicale da parte di un ipotetico musicista che conosca le note e le altre notazioni musicali, ma non il sistema tonale nel quale il brano è scritto, ne rende totalmente deformata la fruizione.

 

In sintesi

 

 

Abbiamo provato a fornire alcuni elementi per illustrare le basi della teoria musicale, e quindi per dare una idea di cosa dovrà fare l’analfabeta musicale per uscire dal suo stato. Conoscere la notazione musicale, apprendere almeno le basi del sistema tonale (scale, accordi e basi dell’armonia) il ritmo e le principali forme della musica. E dovrà farlo in parallelo all’apprendimento della tecnica per suonare uno strumento. Che potrebbe essere anche la voce (se ne è dotato a sufficienza) ma più spesso sarà il pianoforte (che richiede tecnica ed educazione del corpo, ma molto meno degli strumenti a fiato o ad arco). Dovrà mettere in conto almeno tre anni di studio per raggiungere qualche risultato, un tempo sicuramente lungo, ma per uscire dall’analfabetismo letterale ed essere in grado di comprendere e leggere speditamente libri anche di narrativa, ne servono probabilmente anche di più.

 

Indice

 

 

Il sistema tonale / Gli elementi della lingua musicale / Parole, frasi, periodi della lingua musicale / L'architettura e la grammatica / Tasti bianchi e tasti neri / Complicazioni a piacere / Le scale / Le scale in forma grafica / La tonalità / La successione delle scale / Riconoscere la tonalità / Modo maggiore e modo minore / Accordi / Gli accordi nella musica di oggi / Gli accordi nelle canzoni / Le regole del sistema tonale / Il ruolo della tonalità / Il sistema tonale è un sistema naturale? / Leggere la musica / La interpretazione

 

Parte prima: Dal suono alla musica / Parte seconda: L'alfabeto della musica

 

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© Musica & Memoria - Alberto Maurizio Truffi / Ottobre 2011 / Giugno 2012 / Fonti: Zoltán Kodály - La grammatica della musica (Einaudi), Nerina Poltronieri - Lezioni di teoria della musica (ESR - Sedam), Cosimo Carocci e Benedetto Passannanti - L'alfabeto dell'ascolto (Carocci)

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