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Gene Guglielmi - I capelli lunghi (1966)

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Se la gente riderà di me
rida pure io male non ne faccio
che mi credono magari un pazzo
che cammina per la città
perché porto i capelli lunghi
perché indosso i calzoni stretti
perché metto gli stivaletti
cittadino di questo mondo.

E va bene ridete di me
ma rendetevi conto però
che il malanno più grande del mondo
non lo porto al guinzaglio con me
vergognatevi prima di quell'uomo (1)
sopra i gradini di una chiesa
mendicante per fame
e poi
ridete di me
perché porto i capelli lunghi
perché indosso i calzoni stretti
perché metto gli stivaletti
cittadino di questo mondo.

Se la gente riderà di me
rida pure io male non ne faccio
che mi credono magari un pazzo
che cammina per la città
perché porto i capelli lunghi
perché indosso i calzoni stretti
perché metto gli stivaletti
cittadino di questo mondo.

(parlato)

Perché porto i capelli lunghi
e perché porto i calzoni stretti
la gente ride di me ma non faccio male a nessuno e poi
avete visto la Bibbia?
Anche loro avevano i capelli lunghi e si sentivano felici, felici, felici ...

Note

Un tipico brano manifesto della prima stagione dei capelloni, secondo lo stesso Guglielmi, la prima vera "protest-song" italiana; era il 1966 e la "sfumatura bassa" era già una notevole trasgressione, i primi capelloni qualche anno prima venivano scambiati addirittura per travestiti. Gene Guglielmi, un cantante ribelle e fuori dagli schemi, che abbandonerà il mondo della musica alla fine degli anni '60, esaurita la stagione beat, interpreta in questa canzone, con comprensibile ingenuità, il disagio giovanile e la voglia di distinguersi dal mondo degli adulti, degli "integrati" come si diceva allora, già ad iniziare con il primo messaggio che si dà al mondo, il nostro aspetto esteriore.

Il testo, pur così semplice, incappò egualmente nelle maglie della censura RAI, in particolare era giudicato sconveniente il verso (1) (vergognatevi prima di quell'uomo / sopra i gradini di una chiesa / mendicante per fame), così per rendere più accettabile il passaggio venne aggiunto come secondo un autore noto, Calabrese, e contemporaneamente la canzone venne declassata da lato A a lato B del singolo, e il lato A diventò "La luna, le stelle e il mare" sempre composta dall'eclettico Guglielmi ma, come si può intuire, di argomento e testo più tradizionale. Comunque, grazie anche a diversi personaggi che credevano in lui (tra i quali Mike Bongiorno) Guglielmi ottenne i passaggi in televisione e radio e un discreto successo.

Gene Guglielmi credeva fortemente nel movimento beat (diceva in una intervista dell'epoca « beat per me è cuore, impulso di vita, amore per gli altri; il contrario di arrivismo, egoismo, approfittarsi del prossimo ...» ) e nelle premesse della beat-generation, quando questa fase finì divaricandosi tra movimenti politici antagonisti da un lato e l'industria discografica dall'altro che inseguiva il successo facile preferì abbandonare, dopo alcune altre uscite discografiche (in particolare due cover da Jacques Dutronc, Mini, mini, mini e E voi, e voi, e voi); riprese gli studi di architettura e abbracciò la professione e l'insegnamento.

Dal punto di vista musicale è un brano lento, ai limiti del beat, caratterizzato inoltre da una introduzione al clavicembalo (sembra) con sottofondo di scatole di latta prese a calci (forse per dare l'idea del protagonista che vaga per la città).

(informazioni tratte da una intervista del 1990 di Gene Guglielmi  alla rivista "Anni '60" di Claudio Scarpa)

© Alberto Truffi 2003 - Musica & Memoria / Testo originale di Gene Guglielmi - Calabrese trascritto da A.Truffi, riprodotto per soli scopi di ricerca e critica musicale (vedi Disclaimer) / Copia per usi commerciali non consentita

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